di Silvia Sottile
Il Piccolo Principe è tratto dall’omonimo romanzo di Antoine de Saint-Exupéry, un
capolavoro senza tempo che, pubblicato per la prima volta nel 1943 e tradotto in
oltre 250 lingue, ha fatto sognare intere generazioni di adulti e bambini.
Un libro intimo, magico, per sognatori, non facile da trasporre al cinema. Va
dato dunque merito al regista Mark Osborne (Kung Fu Panda) di essersi
assunto l’onere e l’onore, con umiltà e coraggio, di portare sul grande schermo
un’opera tanto amata quanto delicata, cercando di rispettarne al massimo
emozioni e valori e mantenendo quel tono poetico pienamente coinvolgente.
L’idea originale grazie alla quale il film riesce a prendere
forma senza tradire lo spirito del romanzo, anzi tutelandolo e proteggendolo, è
quella di costruire una storia che lo contenga, ovvero creare una cornice
all’interno della quale inserire le avventure del Piccolo Principe. La storia è
dunque quella di una bambina molto intelligente, trasferitasi insieme alla
madre in un nuovo quartiere dove non conosce nessuno, impegnata in intenso
programma di studio per accedere ad una scuola prestigiosa.
Non c’è spazio dunque per
il gioco e per la sua fantasia di bambina, almeno finché non incrocia l’eccentrico
vicino di casa, un anziano aviatore che le racconta del suo incontro, avvenuto molti
anni prima, nel deserto, col Piccolo Principe, giunto sulla Terra dopo aver vagato
tra pianeti ed asteroidi. Questo le consente di aprire le porte della sua mente
all’immaginazione e alle emozioni. Viene spesso sottolineato (nel film come nel
libro) quanto sia importante non dimenticare mai di essere stati bambini per
diventare ottimi adulti ed anche vedere le cose col cuore dato che «l’essenziale è invisibile agli occhi».
La particolarità tecnica che contraddistingue la pellicola,
rendendola un piccolo gioiello, è quella di combinare l’animazione 3D in
computer grafica (utilizzata per le vicende della bambina) con quella in stop
motion (usata per il racconto dell’aviatore sul Piccolo Principe) per
differenziare graficamente le due storie facendo comunque in modo che il
passaggio dall’una all’altra risulti sempre molto delicato, graduale, quasi
magico, oltre che di elevata qualità tecnica e artistica, partendo addirittura
da disegni cartacei, fortemente ispirati a quelli originali di de
Saint-Exupéry che tanto ci sono familiari. I colori utilizzati per dar corpo
alla storia della bambina sono inizialmente spenti, sui toni del grigio, poi
c’è un’esplosione di colori sfumati e variopinti collegata allo stravagante aviatore
mentre una predominanza di bianco e giallo (caldi e luminosi) rende alla perfezione il deserto e l’incontro
col Piccolo Principe, sempre un po’ malinconico ma al contempo affascinato
dalla bellezza delle piccole cose.
Va sottolineato
anche l’ottimo doppiaggio italiano che ha visto cimentarsi nei ruoli principali
grandi attori nostrani: Toni Servillo dà la sua voce all’aviatore, Paola
Cortellesi la presta alla mamma, Stefano Accorsi è la Volpe, Micaela Ramazzotti
è la Rosa, Alessandro Gassmann doppia il Serpente. E ancora Giuseppe Battiston
(l’Uomo d’affari), Angelo Pintus (il Sig. Principe), Pif (il Re), Alessandro
Siani (l’Uomo vanitoso) e per finire i piccoli Vittoria Bartolomei (la Bambina)
e Lorenzo D’Agata (il Piccolo Principe).
A quale pubblico si
rivolge Il Piccolo Principe? Assolutamente a tutti: ai bambini per
imparare a sognare e ad emozionarsi, a dare spazio alla propria immaginazione e
ad ascoltare il cuore, ma forse ancor di più agli adulti per far ricordare loro di essere stati bambini, sperando anche di far riscoprire il libro a chi l’ha
letto e farlo conoscere ad una nuova generazione di giovani lettori.
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