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venerdì 25 marzo 2016

“Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2”: il ritorno della famiglia Portokalos

di Silvia Sottile

A distanza di ben 14 anni dall’inaspettato e travolgente successo della divertente commedia romantica Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco (2002), torna finalmente sul grande schermo la simpatica, esilarante, invadente ma amorevole famiglia Portokalos. A scrivere il seguito, oltre che ad interpretarlo, è sempre Nia Vardalos, l’attrice canadese di origini greche (nominata agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale proprio grazie allo script del primo capitolo) che nonostante le ripetute richieste avute fin da subito per dare vita ad un sequel, non si era evidentemente sentita pronta fino ad ora, o meglio, non aveva avuto quell’idea sfavillante che potesse essere almeno in parte all’altezza dell’originale. Anche i produttori sono rimasti fedeli: si tratta di Tom Hanks e della moglie Rita Wilson che per prima si era innamorata dello spettacolo portato in scena nel 1997 dalla stessa Vardalos. Cambia però il regista, infatti a dirigere non troviamo più Joel Zwick ma Kirk Jones.

Ne Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2 ritroviamo dunque l’allegra, numerosa ed esuberante famiglia Portokalos a distanza di diversi anni: Toula (Nia Vardalos) e Ian (John Corbett) hanno una figlia diciassettenne, Paris  (Elena Kampouris) che, per quanto molto legata affettivamente alla sua caotica famiglia greca, si sente soffocare e vorrebbe andare al college lontano da casa. I problemi per Toula, che ha ripreso a lavorare nel ristorante di famiglia, provengono anche dai suoi genitori che scoprono casualmente di non essere legalmente sposati a causa di un cavillo burocratico e sebbene Maria (Lainie Kazan) voglia un po’ tenere sulle spine il burbero Gus (Michael Constantine) la soluzione ottimale è organizzare un altro ancor più grosso grasso matrimonio greco.

La storia non è particolarmente originale e risulta abbastanza prevedibile, ma è comunque ben scritta. Il punto di forza di questa brillante commedia familiare è l’eccellente cast corale su cui spicca, come anche nel primo episodio, la vulcanica Andrea Martin che interpreta l’eccentrica Zia Voula. In realtà tutti i protagonisti contribuiscono a rendere il film un’allegra rimpatriata. Non siamo certo ai livelli stratosferici di comicità visti nel 2002, c’è meno romanticismo, gli spunti centrali della trama riguardano più il rapporto genitori–figli–nipoti  che non la coppia Toula–Ian, ma ci troviamo ancora una volta di fronte ad una frizzante e spassosa commedia, in grado di far ridere di gusto con gioia e brio, senza ricorrere a volgarità, solo grazie alla verve insita nei simpatici personaggi e nelle tematiche in cui un po’ tutti noi ci ritroviamo. Perché sappiamo bene che la famiglia italiana, specie quella del sud, è un po’ come quella greca descritta dalla Vardalos.

Indubbiamente l’effetto nostalgia, ottenuto riproponendo alcune gag ormai diventate cult come l’utilizzo del Vetril, contribuisce a rendere ancor più divertente e irresistibile questa piacevole commedia, rivolta principalmente a tutti coloro che avevano amato il primo capitolo e speravano di rivedere un altro spaccato di vita dell’esuberante, invadente ma sempre unita famiglia Portokalos.

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco 2, nelle nostre sale dal 24 marzo, è un film fresco e gradevole, che trasporta facilmente in un clima di festa grazie anche alle musiche (rigorosamente ispirate alla tradizione greca) di Christopher Lennertz.



mercoledì 23 marzo 2016

“Batman V Superman: Dawn of Justice”: epico scontro fra supereroi

di Silvia Sottile

Il 23 marzo arriva finalmente nelle nostre sale l’attesissimo cinecomic Batman V Superman diretto da Zack Snyder, già regista de L’Uomo d’Acciaio (Man of Steel), di cui Dawn of Justice rappresenta idealmente il sequel. Per la prima volta troviamo insieme sullo schermo due dei supereroi più amati e iconici in assoluto alle prese con uno scontro tra due mondi diametralmente opposti, due diversi modi di vedere, vivere ed essere un eroe. Questa pellicola ha anche un altro difficile compito da portare a termine, ovvero introdurre la Justice League dell’Universo DC Comics, prossimo progetto in cantiere per rivaleggiare ad armi pari con la Marvel.

Come gentilmente richiestoci dallo stesso regista e dalla Warner (che distribuisce il film) la nostra recensione non conterrà spoiler, né elementi salienti della ricca trama al di fuori di una breve sinossi.
Circa 18 mesi dopo lo scontro con Zod, che portò ad una devastante distruzione della città di Metropolis, i media e il mondo intero si chiedono se c’è davvero bisogno di un Supereroe come Superman (Henry Cavill), simile a un semidio, che con i suoi poteri può salvare l’umanità ma potrebbe anche distruggerla. Intanto Batman (Ben Affleck), l’oscuro vigilante di Gotham City, ancora in lotta contro la criminalità, ma provato e reso cinico dagli anni e dall’esperienza, vede in Superman una minaccia perché, secondo il giustiziere mascherato, è facile cedere alla corruzione che deriva dal potere. Ed in quel caso le azioni di Superman potrebbero avere conseguenze devastanti. A fomentare lo scontro tra i due c’è Lex Luthor (Jesse Eisenberg), un giovane e folle miliardario. Chi vincerà? Intanto si staglia rapidamente all’orizzonte un nuovo grave pericolo che potrebbe portare alla distruzione di tutto il genere umano.

Una delle più grandi incognite era rappresentata da Ben Affleck. La scelta dell’attore, regista e sceneggiatore vincitore di due premi Oscar (Will Hunting – Genio ribelle e Argo) per il ruolo di Batman/Bruce Wayne si è invece rivelata perfetta: il suo personaggio è avvantaggiato da un’ottima caratterizzazione (più oscuro, cupo, disilluso e brutale), ma sono proprio la fisicità di Affleck e la sua interpretazione, a renderlo il migliore. Henry Cavill, invece, regge bene il suo ruolo luminoso, quasi divino, ma rimane purtroppo una figura poco sfaccettata, piatta, soprattutto in versione Clark Kent. Completamente negativo invece il nostro parere sul villain di Jesse Eisenberg, costruito in maniera caricaturale e recitato troppo sopra le righe. Non aiuta certo l’inevitabile paragone con lo straordinario Luca Marinelli attualmente sugli schermi con Lo chiamavano Jeeg Robot
Nel cast anche Amy Adams (Lois Lane), Diane Lane (Martha Kent), il premio Oscar Jeremy Irons (impeccabile e molto ironico il suo Alfred), l’attrice premio Oscar Holly Hunter (Senatrice Finch) e infine, in un breve ma decisivo ruolo, la splendida Gal Gadot che si cala perfettamente nei panni di Wonder Woman/Diana Prince.

L’impressione generale è di un film che vuole prendersi troppo sul serio e aspira ad essere qualcosa di più di un fumetto senza riuscire ad esserne all’altezza fino in fondo. Ottima la prima parte con una scena iniziale mozzafiato, epico e spettacolare il tanto atteso (quanto temuto) scontro tra i due protagonisti, peccato però che nell’insieme venga messa troppa carne sul fuoco senza approfondire a dovere. A tratti sembra che si voglia solo trovare un modo di tirare per le lunghe l’inevitabile, tanto che la durata di 2 h e 30’ pare eccessiva. La trama evidenzia alcune incongruenze, non risultando plausibile ma questo, volendo, ci può stare:  si tratta pur sempre di un film di supereroi. Troppi gli effetti speciali sul finale, con un uso eccessivo della CGI e combattimenti che ricordano quei cinecomics fracassoni che pensavamo di aver lasciato alle spalle.

Dispiace notare ancora una volta l’inutilità del 3D (il rischio mal di testa è dietro l’angolo). Decisamente azzeccate invece le musiche epiche di Hans Zimmer e Junkie XL  i cui temi  riescono ad accompagnare gli eventi e ad enfatizzare al momento giusto i punti cruciali.

Ci rendiamo indubbiamente conto che il progetto era tanto ambizioso quanto di difficile realizzazione così come non era facile mantenere le elevate aspettative. Snyder non è riuscito ad essere del tutto convincente ma tutto sommato ha fatto un discreto lavoro: prendendo la pellicola per quello che è, ovvero puro intrattenimento senza pretese, Batman V Superman risulta un film pienamente godibile i cui punti di forza (che valgono il prezzo del biglietto) sono la figura di Batman e l’introduzione di Wonder Woman in prospettiva Justice League. Ipotizziamo anche che sarà un successo al box office.

“La Macchinazione”: chi ha ucciso Pasolini?

di Silvia Sottile

Per l’omicidio del grande scrittore e regista Pier Paolo Pasolini, consumatosi ad Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975 presso l’Idroscalo, è stato condannato il giovane “ragazzo di vita” Pino Pelosi. Ma a distanza di oltre 40 anni da quel delitto sono ancora molti i punti oscuri e i misteri che circondano questa vicenda. Il regista David Grieco, che ha recitato in Teorema ed era divenuto giornalista di fiducia e amico dello stesso Pasolini, prova a ricostruire la realtà dei fatti, basandosi sulle testimonianze emerse nel corso degli anni e sulle migliaia di pagine dei verbali d’inchiesta. Se dal punto di vista giudiziario nulla è stato ancora provato, la credibilità dell’ipotesi del complotto e la verosimiglianza di quanto portato sullo schermo da Grieco non possono essere messe in dubbio. Alla luce delle ultime dichiarazioni dello stesso Pelosi e di prove effettivamente verificate, potrebbe davvero trattarsi di ciò che realmente accadde. Di certo Pelosi non era solo e non si trattava di un incontro occasionale: la sua relazione con il controverso intellettuale durava da alcuni mesi. Molti altri ragazzi di borgata erano presenti quella notte all’Idroscalo, riconducibili a quella malavita romana poi divenuta nota come la Banda della Magliana. E dietro c’erano poteri molto più forti: non dimentichiamoci che si tratta di un periodo buio della storia italiana, fatto di collusione tra stato e mafia, attentati terroristici, stragi e complotti, spesso coperti da qualcuno nelle alte sfere.

La Macchinazione ricostruisce proprio gli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini (interpretato da un somigliantissimo Massimo Ranieri, a cui bastano solo un paio d’occhiali per trasformarsi): il furto del negativo di Salò o le 120 giornate di Sodoma (film che stava ultimando al montaggio),  il suo rapporto con Pino Pelosi (l’esordiente Alessandro Sardelli), il legame con la madre (Milena Vukotic) e soprattutto l’ultimo romanzo incompiuto, Petrolio, sul quale stava lavorando in maniera ossessiva, toccando gli interessi di qualcuno molto potente che non si fece scrupoli ad eliminarlo con l’aiuto della criminalità locale. Di cosa (o meglio, di chi) parlava Petrolio? Di Eugenio Cefis (presumibilmente mandante dell’attentato in cui perse la vita Enrico Mattei), presidente dell’Eni e poi della Montedison, ma anche il fondatore della loggia massonica deviata nota come P2.

Dal punto di vista giornalistico l’intento di Grieco è nobile. L’atmosfera è quella di un thriller d’inchiesta in cui si cerca di ricostruire con precisione la realtà dei fatti. Ed è sempre un bene ricordare una pagina buia della nostra storia, scavare per ottenere la verità nella speranza che simili macchinazioni non accadano più. Dal punto di vista cinematografico, purtroppo, i difetti dell’opera sono tanti ed inficiano un film che avrebbe potuto avere un’elevata risonanza osando di più. Massimo Ranieri è impeccabile, la sua evidente somiglianza con Pasolini lo rende perfetto per la parte, ottima anche l’interpretazione di Libero De Rienzo (Antonio Pinna, meccanico legato alla Banda della Magliana, proprietario di un’auto identica a quella di Pasolini: quale delle due passò sul corpo del regista, uccidendolo?) mentre il resto del cast soffre la poca esperienza o il poco spazio concesso. Alcune scelte registiche non convincono, sembrano più tecnicismi fini a se stessi di stampo televisivo che non espedienti d’aiuto alla narrazione. Oltretutto la trama risulta troppo costruita, farraginosa, i collegamenti a tratti forzati e si fatica a mantenere desta l’attenzione per gran parte del film, che manca di qualcosa che possa renderlo coinvolgente. 
A salvare la pellicola dalla noia c’è il montaggio dinamico della parte finale, decisamente la migliore (proprio quella relativa all’omicidio), che riesce ad essere avvincente e a trasmettere emozioni. Segnaliamo anche le musiche dei Pink Floyd, i costumi di Nicoletta Taranta (Romanzo Criminale) e la fotografia di Fabio Zamarion (La migliore Offerta).

La Macchinazione, nelle nostre sale dal 24 marzo, è in parte un’occasione mancata ma resta un valido tentativo di offrire una nuova e lucida ricostruzione del delitto Pasolini. 

giovedì 17 marzo 2016

“Truth – Il prezzo della verità”: dietro le quinte del giornalismo d’inchiesta

di Silvia Sottile

Dopo lo straordinario successo di Spotlight di Tom McCarthy, fresco vincitore del premio Oscar come miglior film, ecco arrivare in sala un'altra storia di grande giornalismo d’inchiesta. Truth – Il prezzo della verità, presentato come film d’apertura alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma,  parla del cosiddetto “Rathergate”, ovvero la vicenda realmente accaduta che coinvolse la produttrice della CBS News, Mary Mapes (Cate Blanchett), ed il noto conduttore di 60 Minutes, Dan Rather (Robert Redford), messi a dura prova in seguito alla messa in onda di un servizio investigativo sul Presidente degli Stati Uniti allora in carica, George W. Bush.

Il regista James Vanderbilt ha curato anche la sceneggiatura basata sul libro autobiografico scritto dalla stessa Mapes, una sorta di memoriale intitolato Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power, in cui racconta i fatti dal suo punto di vista.

L’inchiesta, andata in onda nel settembre 2004 (in piena campagna elettorale per le presidenziali americane), andava a toccare un tema politico scottante e molto delicato, ovvero i presunti favori ottenuti da George W. Bush tra il ’68 e il ’74 per entrare nella Guardia Nazionale dell'Aeronautica del Texas in modo da evitare di andare in guerra nel Vietnam; in più furono resi pubblici dei documenti che dimostravano come non avesse adempiuto ai suoi doveri durante il periodo di leva. Questo servizio televisivo fece subito scalpore (Bush era in corsa per la rielezione, poi avvenuta) e fu immediatamente attaccato, rivelandosi un boomerang per la CBS e tutto lo staff coinvolto che venne messo sotto accusa per non aver accuratamente verificato l’autenticità di alcune prove e segnò la fine della carriera giornalistica sia della Mapes (licenziata) che di Rather (costretto a dimettersi).

Truth non solo racconta i retroscena di una grande inchiesta giornalistica, proprio all’interno di una redazione investigativa, ma esplora anche i rapporti tra giornalismo e politica (le difficoltà che si incontrano quando si vanno a toccare gli interessi dei poteri forti) ed in più dà spazio ad una delicata riflessione sull’avvento dei nuovi media, internet in particolare, che cambia (in peggio) il modo di fare informazione. Infatti, sebbene probabilmente ci fossero all’interno del servizio dei dettagli non correttamente verificati per la troppa fretta, ciò non andava ad inficiare il nocciolo della questione:  i fatti esposti erano assolutamente veri e confermati. Eppure l’attacco mediatico che ne conseguì, puntando il dito sui cavilli tecnici e gli errori formali, sviò l’attenzione dai solidi e scottanti contenuti che persero d'interesse. L’inchiesta segnò purtroppo la fine della carriera di due grandi giornalisti e forse di tutto un modo di fare giornalismo. Una curiosità: nello stesso anno Mary Mapes aveva curato una scrupolosa inchiesta sulle torture nella prigione di Abu Ghraib che nel 2005 (a licenziamento avvenuto) le valse il prestigioso Peabody Award.

Dal punto di vista cinematografico la messa in scena è assolutamente impeccabile e rigorosa, lo stile decisamente classico si sposa perfettamente con l’argomento trattato. Truth si rivela un film coinvolgente, forse a tratti un po’ troppo didascalico ma sempre avvincente (anche grazie all’ottimo montaggio), caratterizzato da una scrittura precisa, dettagliata e lineare. Il punto di forza della pellicola è indubbiamente il cast capitanato da due star indiscusse del grande schermo, i premi Oscar Cate Blanchett (sempre immensa e convincente) e Robert Redford (più che perfetto per il ruolo del giornalista, ricoperto innumerevoli volte a partire dal 1976 nel capolavoro di Alan J. Pakula Tutti gli uomini del Presidente). Tra i comprimari segnaliamo Dennis Quaid, Elisabeth Moss, Topher Grace, Bruce Greenwood, Stacy Keach e Dermot Mulroney.

Truth – Il prezzo della verità, al cinema dal 17 marzo, ha tutta la tensione di un thriller politico unita al coraggio che dovrebbe dimostrare ogni vero giornalista.

mercoledì 16 marzo 2016

“Kung Fu Panda 3”: una nuova sfida per Po

di Silvia Sottile

Dopo il successo di Kung Fu Panda (2008, diretto da Mark Osborne) e Kung Fu Panda 2 (2011, di Jennifer Yuh) la DreamWorks Animation torna a raccontare una nuova avventura di uno dei suoi personaggi  di punta, tra i più amati dal pubblico, il panda Po. Questa volta alla regia la Yuh viene affiancata dall’italiano Alessandro Carloni, già head of story in casa DreamWorks per i precedenti capitoli e per vari altri progetti tra cui il noto franchise di Dragon Trainer.

Nell’attesissimo Kung Fu Panda 3 ritroviamo il protagonista Po (doppiato in originale da Jack Black mentre nella versione italiana ha la voce di Fabio Volo) che dopo essere diventato Guerriero Dragone (nel primo film) ed aver scoperto la verità sulle sue origini (alla fine del secondo episodio), si ritrova ad affrontare una nuova doppia sfida. Innanzitutto da allievo deve diventare maestro per volere di Shifu (Dustin Hoffman) ed avrà enormi difficoltà in questo nuovo ruolo. In più dal Regno degli Spiriti riemerge un vecchio nemico del maestro Oogway, Kai (J. K. Simmons), un potentissimo guerriero che inizia a terrorizzare la Cina sconfiggendo tutti i maestri di kung fu. Solo chi sa padroneggiare il Chi (una sorta di energia vitale interiore che può volgersi al bene o al male) può sconfiggerlo. 

Anche sul piano personale ci sono grandi e rilevanti novità con l’arrivo di un nuovo importante personaggio: Po si ricongiunge finalmente con il suo vero padre, Li Chan (Bryan Cranston). Il giovane Guerriero Dragone dovrà così confrontarsi con due papà (inizialmente gelosi l’uno dell’altro): quello biologico e quello adottivo (Mr. Ping). Giunge dunque per Po il momento di essere davvero se stesso, capire cosa vuol dire essere un panda e pertanto decide di seguire il padre in una meravigliosa e amena località segreta tra le montagne (una sorta di Paradiso dei Panda) dove conoscerà tutti i suoi simili nei panni di tanti nuovi, deliziosi, divertenti, colorati e spassosissimi personaggi. Quando Kai estende il suo potere (sconfiggendo anche i 5 Cicloni) e avanza verso il villaggio, per salvare la Cina a Po non resta che creare un esercito di panda insegnando loro (più o meno) l’arte del Kung Fu. Naturalmente ritroviamo anche Tigre (Angelina Jolie), Scimmia (Jackie Chan), Mantide (Seth Rogen), Vipera (Lucy Liu) e Gru (David Cross), mentre tra i nuovi personaggi spicca Mei Mei (Kate Hudson), un’agguerrita danzatrice panda. Tutta la parte ambientata nel villaggio dei panda si rivela ricca di scene divertentissime e rocambolesche, ma anche momenti molto commoventi perché Po instaura un legame affettivo col suo padre naturale, mantenendo comunque intatto il suo affetto per colui che lo ha cresciuto.

Come ci ha spiegato lo stesso Carloni nel corso del suo incontro romano presso l’auditorium Parco della Musica (una vera e propria lezione di cinema di animazione rivolta ai ragazzi delle scuole) spesso i personaggi  sono più importanti della storia per creare empatia con gli spettatori. Il padre di Po è stato realizzato in modo quasi identico a lui e non in contrasto, proprio per giocare sulle affinità e sull’ilarità. 

Tanti gli evidenti richiami e i collegamenti con i due episodi precedenti che creano quasi una sorta di trilogia che sembrerebbe giunta a conclusione, tuttavia la pellicola risulta gradevole e godibile anche per chi non ha mai visto nulla del mitico Guerriero Dragone. Il cattivo non fa realmente molta paura, è anche caratterizzato in maniera piuttosto ironica. Del resto il messaggio del film (rivolto particolarmente ai più giovani) è decisamente positivo: per superare le difficoltà della vita è importante credere in se stessi puntando su ciò che si è realmente, oltre naturalmente all’indispensabile contributo dato dall’affetto della propria famiglia (di qualunque tipo essa sia) e degli amici.

Tecnicamente segnaliamo l’elevata qualità dell’animazione in 3D che lascia spazio al 2D nei soli momenti in cui vengono portati sullo schermo dei flashback, in una netta differenziazione visiva. Il villaggio in cui vivono i panda è davvero un tripudio di colori vivaci e suoni rigogliosi, merito anche delle coinvolgenti e orientaleggianti musiche del premio Oscar Hans Zimmer in collaborazione con John Powell.

Kung Fu Panda 3, al cinema dal 17 marzo (dopo le anteprime del 12 e 13), è un film divertentissimo e ricco di emozioni, caratterizzato da un delicato umorismo e un pizzico di commozione. Lo consigliamo in particolare alle famiglie con bambini e a tutti quelli che hanno amato i primi due capitoli.  



venerdì 11 marzo 2016

“Forever Young”: Fausto Brizzi e il desiderio di rimanere eternamente giovani

di Silvia Sottile

La nuova commedia  corale di Fausto Brizzi vuole raccontare un’ampia fascia di popolazione italiana contemporanea, non più giovane ma che non riesce ad accettare l’età che avanza.
Giorgio (Fabrizio Bentivoglio) ha 50 anni e un compagna giovanissima (Marika/Pilar Fogliati), tanto da farla passare per sua figlia, ma la tradisce con una coetanea cinquantenne (Stefania/Lorenza Indovina) con cui si ritrova a condividere ricordi comuni, legati all’età.  Franco (Teo Teocoli) è un avvocato ultrasessantenne, appassionato praticante di sport, in particolare maratona, sempre iperattivo e adrenalinico a tal punto da costringere la figlia (Marta/Claudia Zanella) e il genero (Lorenzo/Stefano Fresi) a stargli dietro (a fatica). La sua vita cambia improvvisamente quando scopre che diventerà nonno e che il suo fisico non è indistruttibile. Poi c’è Angela (Sabrina Ferilli), un’estetista di 48 anni che ha una storia con un ragazzo di 20 (Luca/Emanuel Caserio) ostacolata dalla madre di lui (Sonia/Luisa Ranieri), sua amica, la quale a sua volta ha l’hobby di rimorchiare ragazzi in discoteca. Infine Diego (Lillo), DJ radiofonico di mezz’età che deve fare i conti con gli anni che passano e con un nuovo, giovanissimo e agguerrito rivale (Francesco Sole).

Brizzi, non solo in veste di regista ma anche di sceneggiatore (insieme a Marco Martani ed Edoardo Falcone, già autori di Se Dio vuole, brillante e divertente commedia dello scorso anno), punta il dito su quella che sta diventando una realtà sempre più diffusa nel nostro paese: il desiderio di non invecchiare, la voglia di rimanere sempre giovani fino a rasentare il ridicolo. 

Ci sono i cinquantenni che stanno con le ventenni, le Milf a caccia di un Toy Boy, gli anziani che contro ogni evidenza, anche fisica o di salute, non si arrendono agli acciacchi dell’età. Brizzi afferma di aver preso spunto dalla quotidianità che ci circonda, sembra infatti che stia sparendo la figura del nonno di una volta: piuttosto che tenere i nipotini i nonni di oggi vanno a ballare o a lezione di pilates! 
Oltre a questo affresco contemporaneo, decisamente ben delineato (che nella pellicola è naturalmente portato all’estremo ma senza esagerare più di tanto né discostandosi troppo da quanto si vede in giro), ci troviamo di fronte ad un prodotto gradevole, una commedia ben scritta, divertente, con dialoghi brillanti e una trama abbastanza omogenea nonostante la gran mole di personaggi. L’unico piccolo neo è forse la leggerezza: Forever Young si guarda con piacere, si ride grazie a quel sottile umorismo insito nelle situazioni e nelle battute, ma l’impressione è che il regista giochi in maniera fin troppo bonaria con gli immaturi personaggi portati sullo schermo, manca quell’amarezza di fondo vista ad esempio di recente in Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese che permette di trasformare una divertente commedia in una vera e propria critica sociale. Il risultato finale rimane comunque godibile. 

La scena cult? Il piccolo e simpaticissimo cameo di Nino Frassica (in coppia con Lillo) che si rivela il momento più comico (e più riuscito) della pellicola. L’attore siciliano riesce a dare il meglio di sé anche in pochi minuti. Va d’altra parte riconosciuto che ogni interprete si cala bene nel proprio ruolo.

Splendide le musiche che accompagnano lo svolgersi della trama, una colonna sonora (ad opera di Bruno Zambrini) anni ‘80 dal sapore fortemente nostalgico a partire dalla nuova versione di Forever Young (la hit degli Alphaville che dà il titolo al film) interpretata per l’occasione da Nina Zilli, per concludersi con Video Killed The Radio Star (The Buggles) sui titoli di coda che mette addosso tanta voglia di ballare e sentirsi giovani (ma attenzione: per chi la ricorda fin troppo bene, potrebbe anche sortire l’effetto opposto...!).

Forever Young è nelle nostre sale dal 10 marzo. 

“Ave, Cesare!”: l’omaggio ironico dei fratelli Coen all’Età d’Oro di Hollywood

di Silvia Sottile

Presentato al Festival di Berlino 2016, Ave, Cesare! ha aperto la 66esima edizione della Berlinale facendo subito parlare di sé. La pungente ironia di Joel ed Ethan Coen (registi, sceneggiatori  e produttori) questa volta va a posarsi sull’Età d’Oro di Hollywood, dando vita a una sorta di omaggio che prende in giro, svela i retroscena e contemporaneamente esprime un infinito amore per quell’epoca.

Siamo a Hollywood, dunque, agli inizi degli anni ’50. Il protagonista è Eddie Mannix (Josh Brolin), il fixer dei fittizi Capitol Studios, ovvero colui che si occupa di far filare tutto liscio nelle varie produzioni e soprattutto di tenere lontani dagli scandali gli attori del grande studio cinematografico. In pratica deve risolvere il possibile e l’impossibile. Baird Whitlock (il premio Oscar George Clooney) è una star indiscussa, protagonista del colossal biblico su Gesù Ave, Cesare! (pellicola che a sua volta dà il titolo al film), nel quale interpreta un pretoriano che si convertirà, ma sparisce improvvisamente, rapito da un misterioso gruppo che si fa chiamare “Il Futuro”. Poi c’è la starlette DeeAnna Moran (Scarlett  Johansson), le cui acrobazie in piscina ricordano Esther Williams, alle prese con una gravidanza fuori dal matrimonio. Hobie Doyle (Alden Ehrenreich) è un attore specializzato in film western ma lo Studio vuole cambiargli immagine piazzandolo in un elegante dramma da salotto, facendo così perdere la pazienza al pignolo regista britannico Laurence Lorenz (Ralph Fiennes) date le scarse doti recitative del giovane. 
Burt Gurney (Channing Tatum) è un abile ballerino interprete di brillanti coreografie musicali (lo vediamo ballare il tip-tap vestito da marinaio in omaggio ai musical dell’epoca: come non pensare a Gene Kelly?) ma ultimamente si comporta in modo strano e forse nasconde un inaspettato segreto. In tutto ciò Mannix deve anche tenere a bada due sorelle gemelle giornaliste (che ovviamente si occupano di gossip), Thora e Thessaly Thacker (il premio Oscar Tilda Swinton) o, meglio ancora, rivelar loro ciò che vuole far sapere, purché sia utile all’immagine da costruire. Nel cast stellare anche l’attrice premio Oscar Frances McDormand (la montatrice C.C. Calhoun), Jonah Hill (il fidato Joseph 'Joe' Silverman) e un ritrovato Christopher Lambert (il regista Arne Slessum).

Il film va avanti ad episodi – tutti molto divertenti  e con risvolti comici o grotteschi – che esplorano con mirata precisione i vari generi cinematografici dell’epoca, con un’accuratezza di dettagli, a partire dai diversi costumi e dalle scenografie costruite ad hoc, che denota una perfetta conoscenza del settore. Il collante, la presenza che dà omogeneità al tutto, è la figura chiave di Mannix, perennemente in cerca di una soluzione ottimale per ogni vicenda, interpretato da un Josh Brolin in forma smagliante. Sebbene i ruoli siano piuttosto stereotipati, è sempre piacevole vedere Clooney nei panni di un attore tanto bravo quanto stupido o la Swinton in un surreale doppio ruolo. Fiennes mostra sempre la sua classe e ci regala uno dei siparietti più divertenti della pellicola mentre cerca di far ripetere ad un sorprendente  Ehrenreich una battuta con il tono giusto (da gustare, se possibile, in versione originale). Davvero esilarante la scena del dibattito teologico in cui Mannix prova a convincere vari esponenti religiosi ad appoggiare il film biblico. Si nota anche un netto riferimento al recente Trumbo dando spazio sullo schermo ad un gruppo di sceneggiatori comunisti, tra leggera critica e tanta ironia. Belle, vivaci, coinvolgenti e senza dubbio adattissime le musiche di Carter Burwell che accompagnano la pellicola.

L’abilità di Joel ed Ethan Coen (4 Oscar all’attivo tra Fargo e Non è un paese per vecchi) sta proprio nell’omaggiare e insieme sbeffeggiare il mondo del cinema anni ’50. Ave, Cesare!, nelle nostre sale dal 10 marzo, si rivela una ironica e divertentissima commedia metacinematografica,  una satira irriverente che al contempo denota con forza tutto l’amore per l’Età d’Oro di Hollywood.


giovedì 3 marzo 2016

“Zootropolis”: l’emozionante poliziesco animato targato Disney

di Silvia Sottile

La Disney, dopo i successi (e gli Oscar) di Frozen e Big Hero 6, torna a raccontare un mondo popolato esclusivamente da animali antropomorfi, che tanto ricordano i protagonisti di Robin Hood (1973). 
Il cinquantacinquesimo classico animato della nota casa californiana è ambientato a Zootropolis (da qui il titolo del film), moderna metropoli multietnica, in cui ognuno può realizzare i propri sogni ed essere ciò che vuole. Questo è almeno ciò in cui ha sempre creduto Judy Hopps, coraggiosa coniglietta proveniente da Tana dei Conigli che, nonostante le piccole dimensioni, è riuscita a diventare un poliziotto, ma la vita all’interno del corpo di polizia, dominato da animali grandi e grossi, non è affatto facile. Il capitano Bogo la relega ad ausiliare del traffico, finchè Judy, un po’ per caso, un po’ per caparbietà, si ritrova ad indagare sulla scomparsa di una lontra ed ottiene le famose 48 ore per risolvere il caso o dare le dimissioni. Ad aiutarla in questa indagine troviamo Nick, una volpe truffaldina che vive di espedienti, ma dal cuore d’oro. I due, assolutamente complementari, riusciranno pian piano a scoprire importanti indizi e a superare i rispettivi pregiudizi iniziali.

Zootropolis, prodotto da Clark Spencer e diretto da Byron Howard e Rich Moore, presenta alcune caratteristiche dei vecchi classici Disney, unite a spunti davvero innovativi e moderne idee rivoluzionarie, specie se si pensa che si tratta di un film per i più piccoli: probabilmente (a detta degli stessi film-makers in sede di conferenza stampa) sarà il primo poliziesco a tutti gli effetti che i bambini si troveranno a vedere. Tanti i riferimenti  a pellicole noir o detective movie come L.A. Confidential,  Chinatown, Arma Letale, 48 ore o  Beverly Hills Cop (oltre naturalmente a Basil l’investigatopo, sempre di casa Disney) che sono stati di ispirazione. I richiami più evidenti, la cui comprensione è riservata prettamente al pubblico adulto, sono a Il Padrino e Breaking Bad (chicche davvero impeccabili).  Mentre la gag in assoluto più divertente, per grandi e piccini, è indubbiamente quella della motorizzazione (in cui lavorano solo bradipi, in omaggio alla lentezza non solo americana ma della burocrazia in generale) già in parte anticipata dal trailer. Il bradipo Flash è destinato a diventare un cult.

La cosa più incredibile è infatti la caratterizzazione dei personaggi, sia dal punto di vista psicologico che visivo, rappresentati con le loro reali proporzioni. I dettagli grafici lasciano davvero senza fiato, in perfetto stile Disney. Notiamo, come di consueto, un’accuratezza dei particolari che rasenta la perfezione: colori vivaci e sgargianti o bui e pacati a seconda delle diverse zone della città che rispecchiano i diversi habitat costruiti per gli animali che le abitano. Tutta l’architettura di Zootropolis è spettacolare, suddivisa in quartieri su misura (ad esempio Little Rodentia, Piazza Sahara, Foresta Pluviale o Tundratown) e addirittura i mezzi pubblici hanno porte di grandezza differente per consentire l’ingresso a tutti gli animali. Perché a Savana Centrale, il centro della città, convivono pacificamente animali grandi e piccoli, prede e predatori. 

Ed è questo anche il fulcro del film: si tratta fondamentalmente di un poliziesco animato per bambini ma ricco comunque di importanti sotto-trame, a partire dal messaggio fondamentale contro i pregiudizi. In un periodo storico in cui purtroppo aumenta la diffidenza verso chi è diverso e di conseguenza la paura porta a razzismo e pregiudizi, Zootropolis veicola l’importante concetto che la convivenza pacifica tra prede e predatori, animali grandi e piccoli, è possibile. L’esempio di Judy è rivolto anche ai bambini: con coraggio e dedizione si possono realizzare i propri sogni o almeno, più prosaicamente, i propri progetti e obiettivi. Emblematica è la bellissima canzone di Shakira, Try Everything, cantata da Gazelle (il personaggio a cui la popstar presta la voce nella versione originale) proprio nel momento in cui Judy compie il suo viaggio verso Zootropolis. A tal proposito apriamo una piccola parentesi sul doppiaggio italiano. Da un po’ di tempo va di moda affidare le voci a personaggi noti del mondo dello spettacolo, i cosiddetti talent. Fortunatamente in questo caso si tratta di ruoli secondari che possono anche risultare simpatici (Diego Abatantuono, Teresa Mannino, Frank Matano, Nicola Savino, Paolo Ruffini) mentre nei ruoli principali troviamo doppiatori professionisti (Alessandro Quarta, Ilaria Latini, Ilaria Stagni, Massimo Lopez, Leo Gullotta, Alessandro Ballico).

Zootropolis, nelle nostre sale dal 18 febbraio (con molto anticipo rispetto alla distribuzione USA prevista per il 4 marzo), è l’ennesimo gioiellino targato Disney. Film delizioso per tutta la famiglia, divertente, appassionante, con spunti di riflessione e ricco di emozioni. Consigliatissimo.