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mercoledì 28 dicembre 2016

Il "Mister Felicità" di Siani non riesce nell'intento

di Emanuela Andreocci

Dispiace non parlar bene di Mister Felicità, il nuovo film di Alessandro Siani in uscita il 1 gennaio: dopo un anno funesto per le varie perdite artistiche che purtroppo tutti conosciamo, avrebbe potuto far cominciare il 2017 con una ventata di ottimismo e spensieratezza, che ovviamente non mancano del tutto, ma anche con una marcia in più che, invece, è completamente assente.

Ci dispiace in particolare non essere usciti dalla sala "felici", per l'appunto, per due motivi: perchè Alessandro Siani ha proprio l'aria di essere 'nu brav guaglione e perchè i suoi due film da regista (Il principe abusivo e Si accettano miracoli) ci avevano fatto ben sperare con storie fresche, genuine, raccontate con la sana ironia del napoletano scanzonato ma dal cuore grande.
Punti che, ovviamente, si ritrovano anche in Mister felicità, ma che rimangono fini a se stessi, ancorati in una trama povera che altro non serve che a sorreggere alcune (poche) divertenti gag del protagonista.

Martino (Siani) è un indolente disoccupato che vive in svizzera dalla sorella Caterina (Cristiana Dell'Anna), donna delle pulizie del mental coach Guglielmo Gioia (Diego Abatantuono). Un incidente e le successive costose cure porteranno Martino a prendere il posto della sorella, ma alla fine anche quello del dottore: spacciandosi per il suo assistente, infatti, conoscerà alcuni suoi clienti, tra cui la campionessa di pattinaggio artistico sul ghiaccio Ariana Croft (Elena Cucci) e sua madre Augusta (Carla Signoris). La ragazza, a seguito di una caduta, ha perso interesse per il suo sport ed è scivolata in una completa apatia. Starà a Martino farle recuperare la gioia di vivere...

"Due pessimisti che, unendosi, hanno fatto scoccare la scintilla della felicità", ha affermato Alessandro Siani in sede di conferenza stampa "Il film nasce dall'esigenza di raccontare non solo le differenze sociali come negli altri film, ma anche l'assenza di ottimismo. La capacità di potersi rialzare da una caduta è un argomento difficile, mi auguro di averlo fatto nella maniera più delicata. Il lavoro più duro è quello di scrivere cose che non siano volgari: diventa favola quando non si utilizza un linguaggio quotidiano. Fare un film per tutta la famiglia è quello che mi sono sempre imposto".

Sicuramente tra le parole del regista e Mister Felicità troviamo delle corrispondenze, capiamo il modo in cui ci si è accostato alla pellicola e quello che voleva trasmettere. Il problema, però, è che un film del genere, votato all'ottimismo e alla risata genuina e pura, come Siani effettivamente sa fare, dovrebbe scaldare il cuore e infondere realmente un senso di felicità, se non altro durante la visione. E questo, invece, non accade. I bei paesaggi, la novità del pattinaggio sul ghiaccio che quasi mai è stato utilizzato sul grande schermo, alcuni momenti effettivamente divertenti dovuti alla bravura e alla simpatia del protagonista e ad alcune idee originali e ben riuscite durano troppo poco, sono punte più alte di una storyline discontinua che tende verso il basso e che probabilmente tocca il punto più profondo nella scena del tiro a segno. Anche la bravura della Signoris (simpaticamente paragonata in sede di conferenza a Frau Blucher) e di Abatantuono in questo caso, purtroppo, serve a poco.




sabato 24 dicembre 2016

Meryl Streep è “Florence”: una cantante lirica priva di talento

di Silvia Sottile

Presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2016, accompagnato personalmente dalla divina Meryl Streep (che abbiamo avuto il piacere di incontrare in conferenza stampa), Florence di Stephen Frears è una storia d’amore per la musica.

New York, anni ’40. Florence Foster Jenkins (Meryl Streep) è una ricca ereditiera, amante dell’arte e in particolare della musica. Mecenate generosa, protagonista dei salotti dell’alta società newyorkese, Florence è talmente appassionata di musica classica da prendere lezioni di canto e organizzare concerti in cui è lei stessa a cantare per intrattenere l’élite cittadina con le sue performance. Il piccolo problema tecnico, non proprio un dettaglio, è che Florence non si rende conto di essere orribilmente stonata tanto da risultare ridicola. È qui che interviene l’amorevole marito inglese St. Clair Bayfield (Hugh Grant) che seleziona accuratamente il pubblico e corrompe critici compiacenti, in modo da proteggere questa donna – tanto forte all’apparenza, quanto in realtà fragile e gravemente malata – da ogni possibile recensione negativa. Tutto si complica, però, quando Florence decide di tenere un concerto alla prestigiosa Carnegie Hall, fuori dalla portata del marito e quindi senza invitati controllati. Ad accompagnare Florence al pianoforte c’è il Maestro Cosmé McMoon (Simon Helberg).

Ispirato ad una storia vera (sui titoli di coda vediamo infatti le foto d’epoca della vera Florence Foster Jenkins, cantante lirica senza talento), Florence è un delizioso film sulle illusioni che – se coltivate con passione e dedizione – rendono la vita migliore e regalano gioia. In questo caso particolare, l’amore per la musica riesce a far superare a Florence anche molte difficoltà legate alla sua malattia. 

La pellicola è a tratti esilarante (specie durante gli spettacoli canori, interpretati malissimo… ma con maestria!), divertente, ma anche molto delicata, commovente e con uno sguardo dolce e affettuoso nei confronti dei protagonisti, che comunque non nasconde una punta di amarezza.
Sicuramente è superfluo sottolineare la bravura di Meryl Streep (tre volte premio Oscar: 1980, 1983 e 2012), davvero strepitosa, che grazie a questo ruolo ha ottenuto la sua trentesima candidatura ai Golden Globe, un record difficilmente battibile. Ci teniamo a ricordare che la Streep ha in realtà un’ottima voce (come si evince ad esempio nel musical Mamma mia!), quindi non deve essere stato semplice riuscire a “steccare” così meravigliosamente bene. Straordinaria l’alchimia che si è creata sullo schermo con Hugh Grant, nella sua migliore interpretazione degli ultimi anni, a dimostrazione che l’attore inglese, nel ruolo giusto, è ancora in grado di stupire. Anche lui si è guadagnato la nomination ai Golden Globe, sempre nella categoria miglior attore in un film commedia o musicale che lo vide trionfare nel 1995 per Quattro matrimoni e un funerale. Perfetto nella parte anche l’ironico Simon Helberg (noto al grande pubblico per il ruolo di Howard Wolowitz nella serie tv The Big Bang Theory).

In un film in cui la musica ha un ruolo fondamentale, la colonna sonora non poteva essere da meno ed infatti è stata affidata al premio Oscar Alexandre Desplat (Grand Budapest Hotel). Anche trucco e acconciature, i costumi, la fotografia e le sfarzose scenografie contribuiscono a ricreare l’ambiente dell’epoca.

Florence, nelle nostre sale dal 22 dicembre, è un film che scalda il cuore.

“Oceania”: un viaggio alla ricerca della propria identità

di Silvia Sottile

Oceania, diretto dai veterani Ron Clements e John Musker (storici registi di Basil l’investigatopo, La Sirenetta, Aladdin, Hercules, La principessa e il ranocchio), che per la prima volta realizzano un film animato in CGI, è il 56° film d'animazione Disney.

Più classico nell’impostazione, nello stile e nei temi rispetto al fortemente innovativo Zootropolis (uscito a febbraio 2016 e a nostro avviso favorito nella corsa agli Oscar, dopo un anno ricco di soddisfazioni per la casa di Topolino), Oceania trasmette comunque un messaggio forte e moderno.
La protagonista di questa nuova avventura è Vaiana, non una principessa ma la volitiva figlia di un capo villaggio di una meravigliosa isola del Pacifico. Vaiana ha sempre sentito un forte legame con l’Oceano, ma il padre le ha proibito di superare il reef (la barriera corallina) destinandola a prendere in futuro il suo posto. Quando nella rigogliosa isola di Motu Nui inizia a giungere una strana oscurità che causa moria di pesci e piante, Vaiana, supportata da Nonna Tala e dai suoi leggendari racconti, decide coraggiosamente di partire per mare per salvare il suo popolo. Il suo viaggio irto di pericoli e difficili prove da superare è volto a recuperare il cuore di Te Fiti, la madre di tutte le isole, e a costringere il semidio in disgrazia Maui a restituirlo alla divinità a cui lo aveva sottratto in passato. Al termine di questa emozionante avventura, intrapresa per amore del suo popolo, Vaiana troverà ciò che ha sempre desiderato: la sua identità.

Basato sui racconti della tradizione orale dei popoli delle isole del Pacifico, Oceania si inserisce nel solco dei recenti classici Disney che vedono come protagonista un’eroina coraggiosa. La grande novità è che l’emancipazione femminile è già avvenuta: Vaiana non parte per dimostrare qualcosa ma con un obiettivo molto più preciso e il suo viaggio avventuroso non è altro che una metafora del viaggio interiore volto a superare i propri limiti e alla ricerca della propria identità, finalizzato alla salvezza del suo popolo e della sua famiglia. Va sottolineato che per la prima volta in assoluto è totalmente assente la love story: si tratta espressamente di una storia di crescita e non di una storia romantica. Particolare attenzione viene data anche al tema dell’ecologia e ai danni che è l’uomo stesso a causare all’ambiente in cui vive. Difatti si nota persino la mancanza di una figura “tipica” di cattivo, ma naturalmente non possiamo dire di più a questo proposito. Rassicuriamo invece i più piccoli: non mancano i divertenti animaletti che garantiscono tanta ilarità, in particolare il coloratissimo gallo HeiHei.

Per il resto la trama, sempre ben orchestrata, non è particolarmente complessa e procede in maniera lineare e avvincente, accompagnata da un numero incredibile di canzoni che riportano un po’ l’orologio indietro nel tempo, ricordando i vecchi classici a cui ci sono evidenti richiami.
La colonna sonora di Oceania, come dicevamo molto presente, è opera di Mark Mancina, Opetaia Foa’i e Lin-Manuel Miranda. Da segnalare la splendida voce di Alessia Cara che interpreta (in versione originale) il brano How Far I’ll Go che veleggia in direzione Oscar, mentre nella versione italiana (che purtroppo perde parecchio, come era prevedibile) è la giovane e brava Chiara Grispo a interpretare le canzoni della protagonista Vaiana. Rocco Hunt e Sergio Sylvestre cantano il brano dei titoli di coda (Prego, versione italiana di You’re Welcome).

Tecnicamente ineccepibile, è a livello visivo che l’animazione Disney continua a stupire, raggiungendo vette di perfezione considerate finora impossibili e regalando immagini  meravigliose che tolgono letteralmente il fiato: non solo colori vivaci e sgargianti ma una resa così realistica dell’acqua (uno degli elementi generalmente più difficili da animare), trasparente, cristallina, di una tonalità di azzurro da far venire voglia di tuffarsi all’istante. Stessa impeccabile precisione anche per i capelli ricci dei due protagonisti, che sembrano veri in ogni loro movimento. Molto carina anche l’idea dei tatuaggi animati sul petto di Maui: se narrativamente rappresentano un po’ la sua coscienza, visivamente sono divertenti diversivi disegnati manualmente, alla vecchia maniera, unica eccezione in una pellicola realizzata per il resto totalmente in grafica computerizzata.

Oceania, nelle nostre sale dal 22 dicembre (anche in 3D), è un film per tutta la famiglia. Del resto, come da tradizione, non è Natale senza i film di animazione della Disney.


giovedì 15 dicembre 2016

“Rogue One: A Star Wars Story”: epico e riuscitissimo spin-off

di Silvia Sottile

Il 15 dicembre arriva finalmente sui nostri schermi il primo attesissimo spin-off della mitica saga di Guerre Stellari, Rogue One: A Star Wars Story, che cronologicamente si colloca esattamente fra le due trilogie, ovvero tra Episodio III La vendetta dei Sith (2005) ed Episodio IV – Una nuova speranza (1977), a cui è molto più vicino di quanto potessimo immaginare.

Diretto da Gareth Edwards (Monsters, Godzilla), Rogue One racconta proprio quegli eventi da cui tutto ebbe inizio: narra infatti le gesta di quel coraggioso gruppo di Ribelli che riuscì a rubare i piani della Morte Nera, dando quindi il via al capolavoro di George Lucas, da cui parte  tutta la saga originale. Sappiamo dunque bene come andranno a finire le cose, almeno in linea generale, eppure ci appassioniamo profondamente alle vicende di questo sparuto e coraggioso gruppo di eroi alle prese con una impossibile missione suicida dal destino ineluttabile.

Jyn Erso (la candidata all’Oscar Felicity Jones) è una ragazza che da piccola è stata abbandonata dal padre Galen Erso (Mads Mikkelsen), un ingegnere scientifico costretto a costruire per l’Impero la più potente arma di distruzione di massa mai ideata, la Morte Nera. Jyn cresce con Saw Gerrera (il premio Oscar Forest Whitaker) e sviluppa un carattere forte, indipendente e aggressivo. La sua strada si incrocia con quella dell’Alleanza Ribelle e si ritrova guidare un improbabile manipolo di uomini che con incredibile spirito di sacrificio sono pronti a dare la vita pur di riuscire a rubare i piani della Morte Nera per dare così al Mondo “una nuova speranza”. E mai parola fu più significativa.

Il principale punto di forza di Rogue One è costituito dall’ottima scrittura, davvero precisa e accurata, che non solo segue linearmente il suo percorso, ma copre anche molti buchi di sceneggiatura lasciati aperti dalla trilogia originale. Indubbiamente il merito va anche al regista che riesce a dare la sua impronta e fa davvero un lavoro impeccabile.

La prima parte della pellicola serve a presentare i personaggi con le loro luci ed ombre (oltre a Jyn conosciamo Cassian/Diego Luna, Bohdi/Riz Ahmad, Chirrut/Donnie Yen e Baze/Jiang Wen), mentre nella seconda assistiamo ad uno spettacolare war movie fantascientifico, fatto non solo di scontri nello spazio tra caccia e navette spaziali, ma anche di guerra sporca e polverosa con truppe di terra, che ricorda quasi lo sbarco in Normandia. Indubbiamente questo stile più cruento rende Rogue One un film più crudo e adulto, eppure è così magistralmente orchestrato che appassiona dall’inizio alla fine. Se da una parte ci troviamo di fronte ad un prodotto completamente innovativo nell’universo di Star Wars e per questo libero di svilupparsi senza troppi vincoli e aspettative, dall’altra ne possiede intimamente la vera essenza e lo troviamo così perfettamente inserito nella time-line che sembra prendere lo spettatore per mano e trasportarlo indietro nel tempo verso quello spirito e quei luoghi familiari e quelle atmosfere originali a cui è strettamente legato.
Dato che gli eventi si svolgono subito prima di Una Nuova Speranza, colpisce l’accuratezza con cui i costumi e persino le tecnologie del passato sono ricreate magistralmente. E dal passato torna anche il villain più riuscito della storia cinematografica: Darth Vader! Appare solo in due brevi sequenze che sono però sufficienti a mettere i brividi. La voce in versione originale è sempre quella profonda di James Earl Jones mentre fisicamente è stato interpretato sul set da diverse controfigure.

Tutto il cast si comporta egregiamente, i personaggi sono ben delineati e gli attori convincenti, la fotografia è davvero mozzafiato e le scene d’azione sono semplicemente spettacolari, come sempre. E poi ci sono le musiche: la colonna sonora è stata affidata per la prima volta a Michael Giacchino ma gli appassionati riconosceranno immediatamente la presenza dei temi classici di John Williams.

Tante sono dunque le emozioni che regala Rogue One: A Star Wars Story, un’epica avventura che va ben oltre le nostre aspettative, forte anche di omaggi e colpi di scena fino ad un magico e commovente finale che ha strappato applausi a scena aperta al termine della proiezione stampa. 

“Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali”: ritorno al fantasy per Tim Burton

di Silvia Sottile (recensione) e Emanuela Andreocci (conferenza stampa)

Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali è tratto dall’omonimo romanzo di Ransom Riggs (edito in Italia da Rizzoli), divenuto in breve tempo un bestseller e rivolto principalmente ad un pubblico young-adult anche se, in sede di conferenza stampa, Tim Burton ha rivelato come sia lui che l'autore non abbiano pensato a qualcuno in particolare. "Ho chiesto a Riggs: per chi l'hai scritto? Mi ha detto per se stesso. E per me è uguale: non faccio film per cani, bambini... [ride, ndr], ma spero che chiunque possa entrarci in sintonia. Quando un giorno mi hanno riferito che Sweeney Todd era molto apprezzato dalle bambine di dieci anni, per esempio, sono rimasto alquanto stupito...".

Jacob “Jake” Portman (Asa Butterfield) è un ragazzino di 16 anni, molto legato al nonno Abraham (Terence Stamp) che da piccolo gli raccontava sempre storie fantastiche su bambini dai poteri speciali che vivevano in un orfanotrofio gestito da una certa Miss Peregrine. Quando il nonno muore tragicamente in circostanze misteriose, Jake si reca in Galles per capire se c’è del vero in quei racconti e si ritroverà di fronte all’affascinante Miss Peregrine in persona (Eva Green) e conoscerà i ragazzi particolari (c’è chi è più leggera dell’aria, chi può far rivivere i morti, chi ha una forza sovrumana, chi possiede il potere del fuoco, ecc.) costretti a vivere in un loop temporale – lo stesso giorno del 1943 che si ripete incessantemente – per nascondersi da chi vuol dare loro la caccia, i “vacui”, capitanati dall’inquietante Barron (Samuel L. Jackson). Jake, che scopre di avere un dono molto speciale, dovrà decidere se tornare alla sua vita o rimanere nella casa per aiutare e proteggere Miss Peregrine e i ragazzi,  in particolare la giovane Emma (Ella Purnell). Nel cast troviamo anche Judi Dench e Rupert Everett per piccoli ma significativi ruoli. Da segnalare anche un brevissimo cameo dello stesso Tim Burton "Mi avete scoperto. Avevamo finito le riprese ma dovevamo ancora fare qualche scena, allora io e qualche altro amico siamo saliti sull'ottovolante. Detesto vedermi sullo schermo".

Date le atmosfere gotiche e sulla carta ricche di potenziale, nutrivamo grandi aspettative su questa trasposizione cinematografica ad opera del regista di Burbank, contando proprio sul suo abituale talento immaginifico. "Non avevo sentito parlare del libro, ma il titolo - che ricorda in qualche modo il mio The Oyster Boy [in italia Morte Malinconica del bambino ostrica, ndrha creato subito una connessione con me. Il sentirsi strano a livello interiore è qualcosa che mi appartiene, per cui mi ci sono identificato immediatamente. Da piccolo vivevo in un clima in cui si dividevano le persone per categorie. Due persone sono state fondamentali per me: mia nonna, che mi ha sempre supportato ed incoraggiato, e un'insegnante di arte che ha sempre apprezzato la mia unicità."

Dal punto di vista visivo ci troviamo quindi sicuramente di fronte ad un prodotto ammaliante, carico di immagini suggestive che riempiono lo sguardo dello spettatore, riuscendo ad affascinarlo completamente sia nell'espressione dei talenti e dei poteri dei ragazzi speciali, sia in alcune sequenze molto particolari, dotate di grande potenza scenica.

Meraviglioso visivamente, dunque, eppure Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, non riesce a conquistare emotivamente. La pecca più evidente è a livello di sceneggiatura, che da metà film in poi risulta particolarmente confusa, con snodi narrativi forzati e farraginosi (potrebbe dipendere dal romanzo, ma non avendolo ancora letto non ne abbiamo la certezza). 



Eva Green, sebbene a tratti sopra le righe, ci regala un bel ritratto di Miss Peregrine: "è stata la mia prima scelta in assoluto. Potrebbe essere la star di un film muto, ha una fisicità che esprime tutto. La sua Miss Peregrine mi fa pensare ad un'insegnante carina e divertente che avevo, era l'unica che si faceva ascoltare da tutti!".
Tra i giovani protagonisti l’unica ad emergere è la Purnell, gli altri faticano a conquistare lo spettatore. Dispiace anche che la caratterizzazione dei cattivi sia abbastanza deludente, ci saremmo aspettati di più soprattutto dal personaggio interpretato da Samuel L. Jackson.

Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, nelle nostre sale dal 15 dicembre, non convince dunque fino in fondo, ma pur con questi difetti rimane comunque un film piacevole (molto bella soprattutto la prima ora) e pienamente godibile, dalle atmosfere dark e spettacolare a livello visivo, con qualche riconoscibile tocco burtoniano ed evidenti richiami a suoi film precedenti.


mercoledì 7 dicembre 2016

“Captain Fantastic”: l’utopia di Viggo Mortensen

di Silvia Sottile

Presentato al Festival di Cannes 2016 (dove il regista Matt Ross ha vinto il premio per la miglior regia nella sezione Un Certain Regard) e accolto trionfalmente a ottobre alla Festa del Cinema di Roma (alla presenza dell’attore protagonista Viggo Mortensen, per i più l'Aragorn de Il Signore degli Anelli) dove si è aggiudicato il premio BNL del pubblico al miglior film, Captain Fantastic è a nostro avviso una delle migliori pellicole dell’anno.

Ben Cash (uno straordinario Viggo Mortensen) è un padre che vuole crescere i suoi 6 figli fuori dal mondo, lontano dalla società moderna, a stretto contatto con la natura. La famiglia Cash vive infatti in completo isolamento in una foresta del Pacifico nord-occidentale. A causa di un tragico evento, Ben deve necessariamente tornare nel mondo esterno e i suoi figli si troveranno a contatto con una realtà che non conoscono, fatta di pericoli ed emozioni a cui non è facile adattarsi. Di conseguenza Ben si trova costretto a riesaminare le sue idee e convinzioni, a porsi domande su cosa sia giusto e cosa sbagliato quando ci sono di mezzo i figli, a rivedere il suo modo di essere genitore e a valutare se sia il caso di accettare dei compromessi.

È inutile girarci intorno: Captain Fantastic è a tutti gli effetti un capolavoro del cinema indipendente. Trainato da un protagonista in forma smagliante (quanto mai affollata la categoria del miglior attore quest’anno agli Oscar, ma fosse per noi un posticino per Mortensen ci sarebbe di sicuro), che riesce a reggere sulle sue spalle, senza cedimenti, il peso dell’intera pellicola, il film mette in luce anche il talento dei giovanissimi attori che interpretano i figli di Ben. Ad eccezione di George MacKay (Bo Cash, il primogenito) e Annalise Basso (Vespyr Cash), per gli altri è stata la prima esperienza cinematografica e se la sono cavata davvero tutti egregiamente. Da segnalare nel cast anche Kathryn Hahn e il candidato all’Oscar Frank Langella (Frost/Nixon di Ron Howard), il cui ruolo, sebbene limitato, è di importanza fondamentale.

Questa figura straordinaria e decisamente originale di padre nella foresta, fautore del libero dialogo, della libertà di pensiero  e di opinione (tipica  della cultura liberale), convinto  che vada detta sempre e comunque la verità, che educa i figli alla lettura di grandi classici e difficili testi filosofici, ma li sottopone anche a duri allenamenti fisici e li istruisce nell’uso delle armi fin da piccoli, è dipinta a tutto tondo. Ne viene evidenziato il fascino, ma anche i limiti, che emergono nel momento in cui le sue idee e la sua utopistica concezione della società ispirata alla Repubblica di Platone, si scontrano con la moderna civiltà occidentale, rendendo necessaria una mediazione.

Il messaggio trasmesso dalla pellicola è certamente molto forte: partendo dalla netta critica nei confronti del consumismo, si porta lo spettatore a riflettere su molti aspetti della vita che diamo per scontati e a porsi grandi interrogativi sulle scelte educative che facciamo ogni giorno. Meravigliosa la fotografia di Stéphane Fontaine che pone l’accento sui colori della natura regalandoci paesaggi mozzafiato.

Captain Fantastic, al cinema dal 7 dicembre, è un film stupendo, un gioiello cinematografico da non perdere assolutamente. Si riflette, ci si commuove, eppure ci sono anche momenti in cui si ride. Di sicuro è una pellicola che emoziona e non lascia indifferenti.

“È solo la fine del mondo”: dramma familiare targato Dolan

di Silvia Sottile

Vincitore del Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, È solo la fine del mondo di Xavier Dolan è basato sull’omonima piéce teatrale di Jean-Luc Lagarce.

Louis (Gaspard Ulliel), affermato scrittore, ha lasciato la casa d’origine per seguire la sua strada. Dopo parecchi anni decide di tornare per comunicare alla famiglia un’importante e drammatica notizia. A casa trova ad accoglierlo l’amorevole madre (Nathalie Baye), con il suo affetto asfissiante, la sorella minore Suzanne (Léa Seydoux), che non ha visto crescere e che praticamente non conosce, l’irascibile fratello maggiore Antoine (Vincent Cassel) e la sua timida moglie Catherine (Marion Cotillard). Ritrova però, addirittura amplificate, anche tutte quelle dinamiche che lo avevano portato ad allontanarsi e a fuggire 12 anni prima.

Dolan, considerato dalla maggior parte dei critici l’enfant prodige del cinema mondiale (ha solo 27 anni e 6 film all’attivo che gli hanno già consentito di vincere numerosi riconoscimenti importanti), porta sul grande schermo un’opera teatrale del 1990 adattandola al suo stile. La messa in scena della pellicola ha necessariamente un’impostazione teatrale: salvo una brevissima scena che consente un minimo di riprendere fiato, gli eventi si svolgono tutti in poche ore all’interno dell’abitazione di famiglia, generando un effetto fortemente claustrofobico.

È solo la fine del mondo è dunque un intenso dramma familiare, fatto di tante parole, scontri verbali, urla e nevrosi che però nascondono segreti e verità taciute, ma è anche un film fatto di silenzi, infatti in un mare di parole sono proprio quelle non dette (o quelle sbagliate) a pesare come macigni.

E poi ci sono i sorrisi, le lacrime, gli sguardi, resi al meglio grazie allo stile di regia di Dolan e alle sue incredibili inquadrature strettissime con un’abbondanza di primi e primissimi piani molto intensi che evidenziano il volto, gli occhi, le labbra e le emozioni dei protagonisti. Merito anche dell’ottimo cast composto interamente da bravissimi attori francesi che riescono a rendere credibili e reali i propri personaggi e ad essere convincenti nelle interpretazioni.

Il regista canadese è noto tra le altre cose per l’uso incredibile che fa della colonna sonora. Anche in questo caso le musiche sono semplicemente perfette, in particolare per come vengono associate alle immagini nei flashback improvvisi, con repentini sbalzi di volume al momento giusto, riuscendo ad esprimere più emozioni che con le parole. 

È solo la fine del mondo, nelle nostre sale dal 7 dicembre, è stato scelto come rappresentante del Canada per l’Oscar 2017 nella categoria miglior film straniero. Dolan può piacere o meno, ma indubbiamente ha un suo stile particolare e molto affascinante e questo gli va sicuramente riconosciuto.

giovedì 1 dicembre 2016

“Sully”: Tom Hanks è l’eroe del “Miracolo sull’Hudson”

di Silvia Sottile

Clint Eastwood e Tom Hanks sono sempre una garanzia. Le elevate aspettative che nutrivamo su questa pellicola sono state infatti ampiamente confermate. Il regista vincitore di quattro premi Oscar (Gli Spietati, Million Dollar Baby) racconta la storia realmente accaduta del Capitano Chesley “Sully” Sullenberger, affidando (per la prima volta in un suo film) il ruolo del protagonista allo straordinario Tom Hanks, Oscar per Philadelphia e Forrest Gump ma anche autore di altre innumerevoli performance indimenticabili.

Il 15 gennaio 2009 il mondo assiste al “Miracolo sull’Hudson”: il Capitano Sullenberger (Hanks) perde entrambi i motori subito dopo il decollo del volo US Airways 1549 dall’aeroporto La Guardia di New York a causa di un impatto con uno stormo di uccelli. È quindi costretto ad un incredibile ammaraggio di emergenza nelle gelide acque del fiume Hudson, salvando la vita a tutti i 155 passeggeri a bordo, grazie alla sua lucidità e alla sua esperienza di oltre 40 anni. Sully viene subito elogiato dall’opinione pubblica e dai media data la sua impresa eroica senza precedenti, ma lui e il suo co-pilota Jeff Skiles (Aaron Eckhart) devono  difendere e giustificare le proprie azioni e la decisione presa di fronte alla commissione d’inchiesta del National Transportation Safety Board (NTSB) che indaga sull’incidente. La moglie di Sully  è interpretata da Laura Linney.

Ancora una volta Clint Eastwood ci racconta una storia vera, la storia di un eroe dal volto umano, che compie egregiamente il proprio dovere. Oltretutto si tratta di un evento verificatosi in un momento in cui l’America aveva fortemente bisogno di “buone notizie riguardanti un aereo a New York” (citazione dal film).

Sully, sebbene basato su una vicenda reale che tutti conosciamo, è costruito in maniera tale da tenere sempre alta la tensione modificando il punto di vista della storia, che viene analizzata dall’interno, dalla prospettiva del Capitano Sully, di come ha vissuto quei 208 secondi di emergenza e come continua a riviverli nella sua mente durante il periodo dell’inchiesta: gli incubi su ciò che sarebbe potuto accadere (un drammatico disastro aereo), le notti insonni a correre, a porsi domande e a chiacchierare con il co-pilota, le struggenti telefonate alla moglie, lontana fisicamente eppure sempre pronta a sostenerlo. E viene anche sottolineato più volte – come  ha anche ripetuto il vero Chesley Sullenberger al Torino Film Festival 2016 (in occasione della presentazione del film alla stampa) – che il miracolo sull’Hudson è frutto di un lavoro di squadra: al sangue freddo e all’abilità del pilota va aggiunto l’incredibile lavoro dei soccorsi che in soli 24 minuti hanno consentito di trarre in salvo tutti i passeggeri dall’aereo che stava affondando nelle gelide acque del fiume. “New York ha messo in campo il suo meglio”.

Siamo stati sorpresi dalla durata relativamente breve (95 minuti) della pellicola. Eppure il regista è riuscito magistralmente a concentrare e a trasmettere tutte le emozioni di una vicenda così incredibile e drammatica ma al contempo epica, commovente ed eroica, e a costruire e a mantenere costante la tensione (smorzata al momento giusto da inaspettate battute ironiche) grazie alla solida sceneggiatura di Todd Komarnicki – tratta dal libro Highest Duty scritto dallo stesso Sullenberger insieme a Jeffrey Zaslow – e naturalmente al cast: impeccabile, come sempre, Tom Hanks, affiancato da un ottimo Aaron Eckhart a fargli da spalla (ci auguriamo che entrambi riescano ad ottenere una candidatura agli Oscar). 

Un plauso va anche al montaggio di Blu Murray (storico collaboratore di Eastwood) perché i numerosi replay, da diverse prospettive, dello spettacolare ammaraggio, tolgono il fiato.
Sully è al cinema dal 1° dicembre. Da non perdere. Consigliamo agli spettatori di rimanere in sala durante i toccanti titoli di coda.

mercoledì 23 novembre 2016

“La cena di Natale” ovvero il sequel di “Io che amo solo te”

di Silvia Sottile

La cena di Natale, diretto da Marco Ponti e tratto dall’omonimo romanzo di Luca Bianchini, è il sequel del delizioso Io che amo solo te, uscito nelle nostre sale lo scorso anno. Ritroviamo dunque, a distanza di un anno, gli stessi protagonisti (con qualche new entry), gli stessi luoghi e più o meno le stesse dinamiche. Ma il risultato questa volta è meno convincente, più forzato: in particolare viene a mancare quella freschezza riscontrata nel primo film che lo aveva reso solare e originale.

Chiara (Laura Chiatti) è incinta all’ottavo mese ma il marito Damiano (Riccardo Scamarcio) continua a tradirla, questa volta con Debora (Giulia Elettra Gorietti). Intanto Don Mimì (Michele Placido), padre di Damiano, sogna di partire per Parigi con Ninella (Maria Pia Calzone), madre di Chiara. Fa però l’errore di regalare un vistoso anello alla moglie Matilde (Antonella Attili) che per festeggiare l’evento (e sfidare la rivale) decide di organizzare una cena della vigilia di Natale, anche se a Polignano non si usa. Naturalmente sono presenti anche Orlando (Eugenio Franceschini), fratello di Damiano, la sua amica Daniela (Eva Riccobono), Nancy (Angela Semeraro), sorella di Chiara, Franco Torres (Antonio Gerardi), il fratello di Ninella agli arresti domiciliari, e Don Gianni (Uccio De Santis). Tra i nuovi personaggi segnaliamo Zia Pina (Veronica Pivetti), sorella di Ninella, e Mario (Dario Aita), figlio della vicina di casa, la Signora Labbate.

Questa volta Polignano a Mare è immortalata in pieno inverno, addirittura con la neve, anche se poi in realtà indossano tutti abiti piuttosto leggeri e i colori sono sgargianti e luminosi. In ogni caso il fascino del paesino arroccato sulle coste del Mare Adriatico è sempre presente, per quanto nettamente inferiore a quello dei mesi estivi. Non è questo però a rallentare il ritmo della pellicola, quanto piuttosto la trama evanescente. Gli ottimi protagonisti che erano riusciti a rendere piacevole e a far funzionare il leggero ma frizzante Io che amo solo te, poco possono questa volta. Vero è che si tratta di un film corale ma troppa carne viene messa sul fuoco, senza approfondire niente in maniera più dettagliata: i vari elementi sembrano slegati tra loro, frutto quasi di un’operazione costruita a tavolino e non sentita. Rimangono alcuni momenti divertenti, suggestive immagini, qualche dialogo commovente ma nulla di più. La cena di Natale scivola via senza suscitare particolare interesse, senza coinvolgere pienamente lo spettatore e affogando tra cliché e personaggi stereotipati in pieno stile fiction televisiva.

Gradevoli invece le musiche di Gigi Meroni e tutta la colonna sonora. Splendida la canzone di Emma Marrone, Quando le canzoni finiranno, che accompagna i titoli di coda.

Il film La cena di Natale, al cinema dal 24 novembre, è dedicato a Bud Spencer.

“Come diventare grandi nonostante i genitori”: i ragazzi di “Alex & co.” sbarcano al cinema

di Silvia Sottile

Diretto da Luca Lucini (Tre metri sopra il cielo, Solo un padre, Nemiche per la pelle) e sceneggiato da Gennaro Nunziante, storico collaboratore del campione d’incassi Checco Zalone (Cado dalle nubi, Sole a catinelle, Quo vado?), Come diventare grandi nonostante i genitori – prodotto e distribuito da Disney Italia – è un esperimento decisamente originale e innovativo nel panorama cinematografico italiano. Si tratta infatti di una pellicola che porta sul grande schermo le avventure della popolare serie Tv Alex & co., in onda su Disney Channel e molto amata dal pubblico adolescente, a cui è principalmente rivolta.

L’arrivo di una nuova preside molto rigida e autoritaria (Margherita Buy) priva Alex (Leonardo Cecchi) e la sua band (Beatrice Vendramin, Eleonora Gaggero, Federico Russo, Saul Nanni e la new entry Emanuele Misuraca, bravissimo pianista) del supporto scolastico per i progetti musicali. Anzi, la preside li ostacola apertamente in tutti i modi. Anche i genitori (Roberto Citran, Ninni Bruschetta, Francesca De Martini, Sergio Albelli, Elena Lietti, Sara D’Amario, Paolo Pierobon, Giovanni Calcagno e Aglaia Mora), preoccupati per l’andamento didattico, sono contrari alla partecipazione ad un concorso scolastico musicale. Ma i ragazzi non vogliono arrendersi e lotteranno con tutte le loro forze per realizzare il loro sogno. Nel cast anche Matthew Modine, nel ruolo di un produttore americano, Giovanna Mezzogiorno, Paolo Calabresi, Gabriella Franchini, il conduttore televisivo e speaker radiofonico Federico Russo e per la prima volta sul grande schermo la giovane Chiara Primavesi.

Sebbene nel titolo non vi sia alcun richiamo esplicito ad Alex & co., è evidente l’intento commerciale dell’intera operazione, che punta a portare al cinema tutti i fan della serie, ma non solo.  Difatti il respiro è sicuramente più ampio e l’inserimento di personaggi adulti di spessore, oltretutto interpretati da ottimi attori (due tra le migliori attrici italiane, un noto attore americano e bravissimi caratteristi nostrani) con sotto-trame a loro dedicate, amplia il pubblico di riferimento facendo in modo che anche i genitori che accompagnano i figli possano interessarsi piacevolmente alla visione.

Sebbene in parte lo stile sia di impostazione televisiva, la regia è di livello notevolmente superiore ad una serie tv e la solida sceneggiatura di Nunziante, che mixa sapientemente elementi da teen movie giovanile musicale e meccanismi classici della commedia italiana, rende Come diventare grandi nonostante i genitori, un film gradevole e godibile, in cui ai momenti più leggeri e allegri si affiancano quelli commoventi e persino educativi grazie ad un azzeccato e brillante colpo di scena nel finale.

Certo,  a tratti la trama risulta poco realistica, ma ciononostante la pellicola è ben diretta, ben scritta e ben recitata (la vera sorpresa sono proprio i giovanissimi attori, tutti molto bravi): l’esperimento si può quindi considerare riuscito.


Nelle nostre sale dal 24 novembre.

venerdì 18 novembre 2016

“Animali Fantastici e Dove Trovarli”: torna al cinema il magico mondo di J.K. Rowling

di Silvia Sottile

Animali Fantastici e Dove Trovarli, diretto da David Yates (Harry Potter e l'Ordine della Fenice, Harry Potter e il Principe Mezzosangue e Harry Potter e i Doni della Morte, parte 1 e 2), ci porta alla scoperta di una nuova era del magico mondo di J.K Rowling, ambientata decenni prima di Harry Potter e dall’altra parte dell’Oceano.

Dopo l’enorme successo ottenuto dai romanzi della saga di Harry Potter e dalle rispettive trasposizioni cinematografiche, la Rowling passa per la prima volta al ruolo di sceneggiatrice per dar vita ad un’avventura magica del tutto nuova: l’omonima opera da cui trae ispirazione Animali Fantastici e Dove Trovarli è infatti solo un semplice elenco descrittivo (scritto dalla stessa autrice nel 2001 per scopi benefici) che i fan ricorderanno essere un libro di testo utilizzato ad Hogwarts, il cui autore immaginario era tale Newt Scamander.

Siamo dunque a New York, negli anni ’20. La città è funestata da un’oscura presenza e ci sono grossi rischi che il mondo magico si disveli agli occhi dei No-Mag (così gli americani chiamano i Babbani) portando come conseguenza una guerra tra maghi e umani. A complicare la situazione arriva a New York, dopo un giro del Mondo, il Magizoologo Newt Scamander (il premio Oscar Eddie Redmayne) con la sua valigia piena di fantasiose creature magiche provenienti da ogni parte della Terra. Un banale scambio di valigia con quella del simpatico pasticcere No-Mag Jacob Kowalski (Dan Fogler) causerà la fuga di alcuni di questi animali fantastici, portando così scompiglio per la città. Tocca dunque a Newt, aiutato da Kowalski e dalle sorelle magiche Tina (Katherine Waterston) e Queenie (Alison Sudol) recuperarli prima che combinino troppi guai, che si facciano del male o che qualcuno li scopra. Nel cast segnaliamo anche Colin Farrell (nel ruolo dell’enigmatico Percival Graves), Ezra Miller, Samantha Morton, il premio Oscar Jon Voight, Carmen Ejogo e un cameo di Johnny Depp (già spoilerato dallo stesso regista).

Il pregio maggiore di questa pellicola è proprio quello di far tuffare ancora una volta gli spettatori in un mondo  meraviglioso, fantastico, surreale, un mondo magico affine a quello già conosciuto (a cui non mancano i riferimenti), ma anche profondamente diverso e originale. Grazie all’aiuto dei suggestivi e mirabolanti effetti speciali, opera di Christian Manz e del premio Oscar Tim Burke (Il Gladiatore), entriamo ad esempio (letteralmente) nella valigia di Newt e conosciamo le sue affascinati e dolcissime creature, un’esperienza davvero mozzafiato.

Inoltre le tematiche affrontate sono decisamente più adulte: si tocca in maniera impegnativa l’importante tema della diversità, si mostrano i rischi del fanatismo religioso e cosa può accadere quando si cerca ossessivamente di nascondere e reprimere la propria natura. Ma ad alleggerire i toni arrivano puntualmente momenti  divertenti, così come non mancano le scene commoventi.

Dal punto di vista visivo, oltre ai già citati effetti speciali e alla possibilità di vedere il film in 3D, Animali Fantastici e Dove Trovarli può vantare gli splendidi costumi della straordinaria Colleen Atwood vincitrice di 3 premi Oscar (Chicago, Memorie di una Geisha e Alice in Wonderland), la fotografia del premio Oscar Philippe Rousselot (In mezzo scorre il fiume) e la scenografia del tre volte premio Oscar Stuart Craig (Gandhi, Le relazioni pericolose e Il Paziente Inglese). Le musiche, sempre ben legate alle rispettive scene, sono del compositore James Newton Howard (Il Cavaliere Oscuro).

Eppure la pellicola non è esente da difetti. Il ritmo, soprattutto nella prima parte, quella introduttiva, è un po’ troppo lento. Inoltre la trama, pur ricca di numerosi colpi di scena - tenendo sempre conto che si tratta di un primo capitolo (ne sono previsti  5 in tutto) - non è del tutto convincente in alcune svolte narrative e si presenta fin troppo auto-conclusiva. Ciò nonostante siamo certi che tutti gli appassionati troveranno più di un dettaglio che li porterà ad attendere con ansia il prossimo episodio della saga.

A nostro avviso i personaggi più riusciti sono quelli interpretati da Kowalski ed Alison Sudol, mentre i villain scontano una caratterizzazione quasi inesistente. Non convince pienamente neanche Redmayne, il cui livello abituale di recitazione è decisamente più elevato, ma siamo certi che il suo personaggio avrà ancora molto da dire e quindi potrebbe anche essere una scelta voluta quella di lasciarlo leggermente sottotono.

Complessivamente  Animali Fantastici e Dove Trovarli, nelle nostre sale dal 17 novembre, è un godibilissimo blockbuster  adatto a tutti, sia agli adulti che ai bambini, sia ai fan di Harry Potter che a chi entra per la prima volta nel magico mondo di J.K. Rowling.

giovedì 17 novembre 2016

“La verità negata”: per non dimenticare l’Olocausto

di Silvia Sottile

Basato sul famoso libro Denial: Holocaust History on Trial di Deborah E. Lipstadt, La verità negata racconta la battaglia legale intrapresa dall’autrice  (interpretata dal premio Oscar Rachel Weisz) per il riconoscimento della verità storica dell’Olocausto contro David Irving (Timoty Spall), che la citò in giudizio per diffamazione dopo che la Lipstadt lo accusò di negazionismo.

La verità negata, presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2016, è dunque un intenso e avvincente legal drama, basato sulla drammatica vicenda processuale che ha coinvolto l’accademica americana (di origini ebree) Deborah Lipstadt, costretta a difendersi in tribunale dalle accuse di Irving. Poiché per il sistema legale inglese nei casi di diffamazione l’onere della prova spetta all’imputato, toccò al team di avvocati della Lipstadt - guidati da Richard Rampton (Tom Wilkinson) con la collaborazione di Anthony Julius (Andrew Scott) - dimostrare  una verità fondamentale, ovvero che l’Olocausto fu un evento storico reale e non un’invenzione, tesi invece sostenuta dal negazionista filo-nazista Irving, che arrivò addirittura a negare l’esistenza delle camere a gas ad Auschwitz.

La pellicola, diretta in modo classico e lineare da Mick Jackson (Guardia del Corpo), vanta un’ottima sceneggiatura ad opera del drammaturgo David Hare (The Hours, The Reader) che riesce a rendere coinvolgente e toccante quello che in altre mani sarebbe potuto diventare un freddo dramma processuale. Grazie in particolare alla scrittura dei dialoghi e alla ricostruzione degli eventi si sottolinea l’importanza fondamentale di questa vicenda, perché non è accettabile che qualcuno sia libero di negare un’evidenza storica come l’Olocausto in nome della libertà di espressione. Eppure spettò a un tribunale di Londra (dopo mesi di delicati dibattiti filosofici rigidamente basati su prove concrete) ribadire che avvenne realmente e stabilire in maniera univoca fatti storici inconfutabili. Il tutto senza portare in un’aula di tribunale i superstiti dei campi di concentramento. È evidente anche l’intento di muovere una critica al contorto sistema legale inglese nei casi diffamazione, che in questa particolare circostanza rasenta l’assurdo.

Straordinarie le interpretazioni dei tre protagonisti principali: Rachel Weisz, Tom Wilkinson e Timothy Spall riescono a rendere reali i rispettivi personaggi, donandogli una profondità psicologica a tutto tondo, carica di sfumature.
L’ambientazione è principalmente al chiuso (aule universitarie, aule di tribunale, ecc.) ma le poche scene girate ad Auschwitz mettono i brividi e sono particolarmente commoventi.

La verità negata, nelle nostre sale dal 17 novembre, è un emozionante dramma processuale che rende giustizia ad una vicenda storica tanto dolorosa quale l’Olocausto, che è fondamentale non venga mai dimenticata.


“Animali Notturni”: un thriller inquietante ed esteticamente perfetto

di Silvia Sottile

Vincitore del Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria alla 73^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Animali Notturni è la seconda prova da regista (dopo il bellissimo A single man del 2009 che valse a Colin Firth la Coppa Volpi) dello stilista Tom Ford.

Susan Morrow (Amy Adams) è un’algida gallerista d’arte che vive una vita poco appagante col marito Hutton (Armie Hammer), spesso fuori per lavoro. Un giorno riceve un manoscritto dal suo ex-marito, Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal), che non vede da molti anni e che in effetti sognava di diventare uno scrittore. Si tratta di un romanzo che sta per essere pubblicato, un inquietante e cupo thriller ambientato in Texas che vede protagonista Tony (lo stesso Gyllenhaal) e la sua famiglia, aggrediti per strada, di notte, da una gang capitanata dall’equivoco e disturbante Ray  (Aaron Taylor-Johnson) che rapisce sua moglie e sua figlia sotto i suoi occhi. Il caso viene poi preso in carico dal laconico Tenente Bobby Andes (Michael Shannon). Susan si immerge completamente nella lettura di questo racconto violento, angosciante, che le riporterà anche alla memoria la sua storia con Edward, il modo drammatico in cui è finita, gli errori commessi, i rimorsi e i rimpianti. E pian piano si renderà conto che il libro rappresenta in realtà una vendetta dell’ex-marito nei suoi confronti.

Tutto il cast è a dir poco straordinario, in stato di grazia. Dalla splendida Amy Adams a Gyllenhaal, da Shannon (non ci stupiremmo di vederlo candidato agli Oscar come non protagonista) al sorprendente Taylor-Johnson, tutti riescono a dar vita a personaggi interiormente tormentati.

Oltretutto il regista denota grandi abilità nel riuscire a gestire magistralmente i diversi piani narrativi e spazio–temporali della storia, inserendo l’inquietante e violento racconto, metafora di vendetta, all’interno di una cornice apparentemente asettica che rappresenta il mondo patinato di Susan, in un sovrapporsi di realtà e finzione. Vi è anche un ulteriore livello narrativo incastrato in questo complesso e affascinante quadro  realizzato da Ford  (per l’occasione anche sceneggiatore, suo infatti l’adattamento dal romanzo Tony & Susan di Austin Wright), ovvero i ricordi.

È però dal punto di vista visivo che il regista/stilista dà una sua impronta originale e fortemente riconoscibile all’opera.  Si avverte infatti una forza dirompente grazie alle immagini e soprattutto ai colori utilizzati e alle diverse scelte cromatiche (realtà vs finzione) che nell’insieme creano una potenza estetica tendente alla perfezione, caratteristica peculiare del lavoro di Tom Ford, sublimata dalla fotografia di Seamus McGarvey.

Altro elemento tangibile e fondamentale nella costruzione di questo sconvolgente e indimenticabile thriller psicologico è dato proprio dall’abilità di utilizzare sapientemente il meccanismo della tensione, riuscendo ad innalzarne costantemente il livello. Tanti (e ben integrati) sono i richiami ai maestri del genere.

Animali Notturni, al cinema dal 17 novembre, è una pellicola avvincente e profonda che tiene lo spettatore incollato allo schermo per tutta la durata (due ore), trasmettendo una sensazione di inquietudine e fascino che non lasciano sicuramente indifferenti. Da non perdere.


venerdì 11 novembre 2016

“Fai bei sogni”: Bellocchio porta sul grande schermo il best seller di Gramellini


di Silvia Sottile


Presentato al Festival di Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs, Fai bei sogni è liberamente ispirato all’omonimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini (pubblicato da Longanesi), enorme successo letterario (e commerciale) del 2012. 


Il regista Marco Bellocchio sceglie di mantenersi piuttosto fedele alla storia narrata, modificando giusto ciò che serve necessariamente alla trasposizione dalla carta stampata al mezzo cinematografico. Dettagli comunque non così tanto marginali che chi ha letto il romanzo non può non notare, così come salta subito agli occhi una differenza (non solo fisica ma anche caratteriale) del protagonista  nel passaggio dal libro al film.


Massimo (Nicolò Cabras da bambino, Dario Delpero da adolescente e Valerio Mastandrea da adulto) perde l’amatissima madre (Barbara Ronchi) in tenera età, quando aveva solo  9 anni. Crescendo con questo vuoto dentro, con la mancanza della figura più importante in assoluto e con l’alone di mistero che circonda questa scomparsa (le cui circostanze si disveleranno solo nel finale), sviluppa una forma di difesa chiudendosi ai sentimenti per proteggersi dall’angosciante sensazione di assenza con cui è costretto a convivere. Intanto seguiamo la sua carriera professionale che lo porta a diventare un affermato giornalista di un noto quotidiano nazionale (La Stampa), mentre sul piano personale si va dal rapporto con un padre autoritario e a tratti anaffettivo (Guido Caprino) all’incontro con la dottoressa Elisa (Bérénice Bejo), l’unica persona che fa finalmente scattare qualcosa in lui. Da segnalare la partecipazione straordinaria di Fabrizio Gifuni, Piera Degli Esposti e del Maestro Roberto Herlitzka che, anche solo per un piccolo cameo, lascia il segno.


Partiamo dal presupposto che non è mai facile adattare per il grande schermo un romanzo, specie se di grande successo, come in questo caso. Oltretutto Fai bei sogni è di suo un libro molto difficile da trasporre per immagini, dato il suo carattere introspettivo: affronta, infatti, il percorso emotivo di Massimo, i suoi ricordi e soprattutto la sua difficilissima elaborazione del lutto lunga oltre 30 anni.


Bellocchio costruisce il suo film impostando molto bene i vari piani temporali e i flashback, con una prima parte prettamente riferita al passato e una seconda al presente, pur non essendo poi così netta la suddivisione. E aggiunge anche un tocco quasi gotico dando uno spazio non indifferente alla figura di Belfagor, aiutato in questo dalla cupa fotografia di Daniele Ciprì.  
Mentre le musiche di Carlo Crivelli sottolineano maggiormente i passaggi emozionali tra i momenti felici e gioiosi – come nei ricordi di Massimo bambino con la mamma – e l’angoscia vissuta per tutta la vita dopo il dolore della perdita.


Altra caratteristica interessante della pellicola è la ricostruzione storico-sociale attraverso alcuni momenti salienti (sport, cronaca, programmi televisivi Rai), dell’Italia nel corso di questi trent’anni.


Fai bei sogni è dunque un film struggente, in cui la sofferenza intima del protagonista è espressa con i silenzi e l’impeccabile interpretazione di Mastandrea e Caprino nonché dei giovanissimi Cabras e Delpero.  Quello che invece manca – e che conoscendo il materiale di partenza ci saremmo aspettati – è una maggiore capacità di coinvolgere emotivamente lo spettatore. Sembra quasi che per evitare di cadere nella trappola di una facile commozione, Bellocchio abbia mantenuto i toni leggermente più freddi del previsto.  Inoltre la durata del film (134 minuti) è decisamente eccessiva: la prima parte è caratterizzata da un ritmo lento e prolisso mentre alcune sequenze della seconda metà, per quanto interessanti, risultano superflue ai fini della narrazione, appesantendo l’insieme.



Pur con questi difetti, Fai bei sogni, nelle nostre sale dal 10 novembre, rimane un buon film che delinea un intenso  affresco esistenziale, il cui unico insormontabile problema sta nell’inevitabile confronto con il meraviglioso romanzo di Gramellini.