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mercoledì 24 febbraio 2016

“Lo chiamavano Jeeg Robot”: il supereroe di Tor Bella Monaca

di Silvia Sottile

Acclamatissimo alla Festa del Cinema di Roma e sicuramente tra i film italiani più attesi di questa stagione cinematografica, Lo chiamavano Jeeg Robot non delude le aspettative della stampa romana che a fine proiezione esplode in un eccezionale quanto raro applauso a scena aperta. Gabriele Mainetti è riuscito nella storica impresa di creare un supereroe tutto italiano, con un prodotto credibile, di qualità e di ottima fattura.

In una Roma funestata da esplosioni terroristiche e bande criminali, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un piccolo delinquente di periferia, introverso e scontroso, che passa le giornate tra furti, budini alla vaniglia e film porno. Un giorno, inseguito dalla polizia, finisce nelle acque del fiume Tevere dove entra in contatto con del materiale radioattivo. In seguito a questo incidente scopre di avere dei superpoteri, una forza sovrumana che inizialmente sfrutta nel suo “lavoro” compiendo rapine con estrema facilità. Fino a quando la sua strada non incrocia quella di Alessia (Ilenia Pastorelli), una ragazza fragile e problematica, convinta che il mondo del mitico cartoon anni ’70 Jeeg Robot d’acciaio sia reale e che Enzo altri non sia che Hiroshi Shiba, ovvero Jeeg Robot, il cui compito è salvare l’umanità. Il cattivo, un villain da paura,  che a tratti ruba la scena al protagonista, è lo Zingaro (interpretato da uno straordinario Luca Marinelli), un folle, violento e sanguinario capo-band di borgata, fissato col successo a tutti i costi.

Gabriele Mainetti, schivando alla grande i grossi rischi insiti nel suo progetto, realizza un film di genere che rappresenta una novità assoluta nel panorama cinematografico italiano. Lo chiamavano Jeeg Robot è un classico superhero movie, una origin story che non ha nulla da invidiare ai cinecomic americani, anzi, ha un quid in più, in quanto non si tratta di una pura e semplice imitazione ma è perfettamente calato nella nostra realtà, rivelandosi dunque credibile e realistico. 

I protagonisti vivono nella periferia romana, nel quartiere di Tor Bella Monaca (location principale della pellicola), si muovono in luoghi riconoscibili della Capitale, dal lungotevere allo stadio Olimpico, regalandoci scene a dir poco spettacolari. Incredibili gli effetti speciali realizzati nonostante il budget limitato, grazie a regia, fotografia e montaggio, che evidenziano l’ottimo livello di tutto il comparto tecnico, capace di raggiungere un’elevata qualità con costi contenuti. 

Trama avvincente e coinvolgente, scrittura brillante, ritmo adrenalinico, azione, ma anche ironia, amarezza, profondità, sentimenti, non manca nulla a questo capolavoro tutto italiano. Un mix tra Marvel, Tarantino (sì, ci sono anche scene pulp e splatter), film/serie TV nostrani sul mondo criminale e love story (delicatissima la scena sulla ruota panoramica del LunEur, oltre che bella visivamente).

Se i personaggi principali sono davvero ben caratterizzati, la scelta del cast è a dir poco perfetta. Gli interpreti infatti sono straordinari, non riusciamo ad immaginare nessun altro al loro posto. Il protagonista, il supereroe di borgata, è un bravissimo Claudio Santamaria, ingrassato di 20 kg per l’occasione, che riesce a dare al suo Enzo/Jeeg tutta la profondità esistenziale necessaria nel suo percorso interiore di maturazione che lo porta a trasformarsi da ladro in eroe. Ilenia Pastorelli (al suo esordio cinematografico dopo aver partecipato come concorrente al Grande Fratello) è intensa e credibile nel ruolo della fragile Alessia. Una gradita sorpresa. Ma è Luca Marinelli a stupire più di tutti, con un’interpretazione magistrale di un personaggio difficilissimo, lo Zingaro. Un villain dei nostri giorni, che cerca successo e fama, vuole entrare nel giro grosso, essere ammirato. Un personaggio complesso, che uccide a colpi di iPhone ma poi si trucca e canta Anna Oxa, Loredana Bertè o Gianna Nannini. Che il Joker di Batman sia stato o meno di ispirazione, di sicuro l’affinità è evidente.

Le musiche, dello stesso Mainetti  (e di Michele Braga) sono fantastiche e funzionali alla trama, accompagnano con i toni giusti ogni snodo cruciale, ogni scena, ogni emozione. Presenti anche belle canzoni anni ‘80 (ad esempio Non sono una Signora della Bertè, Latin Lover della Nannini, Un’emozione da poco della Oxa) ma la vera chicca è rappresentata dalla canzone dei titoli di coda, un nuovo arrangiamento della sigla di Jeeg Robot, meravigliosamente cantata da Claudio Santamaria. Da brividi.

Lo chiamavano Jeeg Robot, al cinema dal 25 febbraio, è un film innovativo, originale, che intrattiene, diverte, scuote ed emoziona. Si tratta senza dubbio di un esperimento riuscito che speriamo apra definitivamente la strada ad altri prodotti simili. Da non perdere.

“Tiramisù”: esordio alla regia per Fabio De Luigi

di Silvia Sottile

Tiramisù è un film scritto, diretto e interpretato da Fabio De Luigi. L’attore, per il suo esordio alla regia dopo anni di televisione e cinema, decide di cimentarsi anche nella stesura del soggetto e di affidarsi il ruolo da protagonista. La commedia, alla lunga, risente proprio della mancanza di un punto di vista differente e rischia di stancare.

Antonio Moscati (Fabio De Luigi) è un rappresentante di materiale sanitario di scarso successo. Gira senza entusiasmo le sale d’attesa dei medici di base cercando di piazzare bende, garze e cerotti. È sposato con Aurora (Vittoria Puccini), maestra elementare, donna dolce e tutta d’un pezzo che lo sostiene amorevolmente. Alla sua frustrazione lavorativa si è aggiunto ultimamente il timore che la moglie possa essersi stancata di lui. Nella loro vita bazzicano il cognato Franco (Angelo Duro), cinico, divorziato, che lavora nel mondo della moda e frequenta modelle (ogni giorno una diversa), e l’amico Marco (Alberto Farina), eterno depresso per via dei debiti accumulati nella gestione della sua enoteca “Vini e Vinili” sempre tristemente vuota. Un giorno Antonio dimentica in uno studio medico un delizioso tiramisù fatto da Aurora (e destinato alla Caritas) e da quel momento la sua vita cambia: ha inizio una improbabile scalata al successo professionale e sociale grazie a intrallazzi e sotterfugi in un ambiente sanitario dove la corruzione dilaga. Tra imprevisti e situazioni comiche Antonio si troverà disposto a tutto pur di mantenere il suo nuovo status, fin quando la moglie, per salvarlo,  decide di lasciarlo perché non lo riconosce più. Nel cast anche Giulia Bevilacqua (Stefania), Bebo Storti (Mannini) e le breve ma simpatica partecipazione di Pippo Franco (Galbiati) e Orso Maria Guerrini (Hubner).

Il difetto principale della pellicola, probabilmente dovuto alla mancanza di esperienza del regista, è quello di non essere credibile. Lo spunto di partenza è anche interessante e si discosta dall’aspettativa di un film basato solo su esilaranti gag comiche, così come non guasta l’idea di dare un pizzico di amarezza se solo ci si spinge a riflettere sui paradossali esempi di malasanità che purtroppo a volte si rivelano fin troppo reali. Il problema, invece, è soprattutto in fase di scrittura ma anche a livello di regia e montaggio: la trama non regge. Pur nella sua semplicità il film si presenta banale, scollegato, con buchi di sceneggiatura, svolte narrative inspiegabili e alcune sotto-trame del tutto insensate e inutili. 

L’impressione oltretutto è che De Luigi sia rimasto ancora troppo legato a personaggi, caratterizzazioni, sketch e linguaggio propri del mezzo televisivo (che evidentemente non vanno bene per il grande schermo). Gli va dato merito di aver realizzato una commedia pulita che non presta il fianco alla facile risata scaturita da volgarità, ma in compenso tutto il film è infarcito dei soliti cliché e i personaggi paiono piatti e stereotipati. Fabio De Luigi è praticamente sempre in scena e fa il possibile (sia con serietà che con umorismo) per provare a dare un senso alla sua trama poco credibile. Vittoria Puccini, equilibrata, misurata, solida, offre un’ottima prova, è sempre in parte (a confermare il detto che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”) anche se forse poteva essere più valorizzata. Si rivela invece poco adatta la scelta di Angelo Duro (il suo odioso personaggio ha un forte accento siciliano non spiegabile nell’economia del film), mentre Pippo Franco e Orso Maria Guerrini regalano due gustosi personaggi che se avessero avuto più spazio avrebbero davvero giovato molto al film.

Tiramisù, con i suoi (pochi) pregi e i suoi (molti) difetti, sarà nelle nostre sale dal 25 febbraio.

mercoledì 10 febbraio 2016

“Perfetti Sconosciuti”: quali segreti nasconde il tuo cellulare?

di Silvia Sottile

“Ognuno di noi ha una vita pubblica, una privata e una segreta”. È questa frase di Gabriel Garcia Marquez a dare il via a Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. Se un tempo la vita segreta rimaneva appunto nascosta, ben protetta nella nostra memoria, adesso il nostro cellulare è diventato una sorta di “scatola nera” nella quale sono custoditi tutti i nostri segreti. Immaginate di mettere il vostro smartphone a completa disposizione del partner o degli amici e avrete un’idea di ciò che accade ai protagonisti di questa commedia tanto brillante quanto amara.

Durante una cena tra amici (ogni riferimento al francese Le Prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte e al rifacimento italiano della Archibugi, Il nome del figlio, è assolutamente voluto, data l’ambientazione molto simile, quasi totalmente in una stanza attorno a un tavolo) la padrona di casa Eva (Kasia Smutniak) propone di rendere pubbliche per tutta la serata telefonate, mail, chat, WhatsApp e tutte le comunicazioni tramite social network. Sebbene riluttanti, accettano tutti, sostenendo di non avere nulla da nascondere. Ma quello che sembrava un innocente e provocatorio passatempo diviene un gioco al massacro che porta alla luce segreti e bugie ma anche innocenti malintesi (che vengono prontamente fraintesi). Nel frattempo in terrazza si può assistere all’eclissi lunare, metafora precisa di quanto accade in casa. Chi sono i perfetti sconosciuti? Sono amici da una vita (o forse no?). Eva, psicologa, è sposata con Rocco (Marco Giallini), i due hanno una figlia adolescente perennemente in contrasto con la madre ma molto legata al padre. Ci sono poi i neosposi innamoratissimi Bianca (Alba Rohrwacher) e Cosimo (Edoardo Leo). La terza coppia è costituita da Lele (Valerio Mastandrea) e Carlotta (Anna Foglietta), sposati da tempo ma che attraversano un momento difficile. Infine c’è Peppe (Giuseppe Battiston), insegnante di educazione fisica, reduce da un divorzio.

L’ambientazione è di stampo teatrale, ottima la scenografia e perfetti i movimenti di regia, ma il punto di forza principale della commedia è la sceneggiatura brillante, dinamica e ben scritta, con dialoghi precisi e mai banali che tengono desta l’attenzione per tutta la durata della pellicola (e della cena) senza annoiare, mantenendo anzi sempre vivace il ritmo grazie ad una scrittura quanto mai scorrevole e precisa che alterna battute e ironia a momenti ben più riflessivi e drammatici con colpi di scena, alcuni immaginabili ed altri assolutamente imprevedibili. 

Genovese, già regista dell’interessante Tutta colpa di Freud (di cui ritroviamo alcuni protagonisti) ci regala il suo lavoro più maturo e completo, il migliore, supportato da un cast stellare: non è eccessivo infatti affermare che si tratta di alcuni dei migliori attori italiani contemporanei, tutti perfettamente credibili, in parte; ottimo il feeling tra loro: ognuno dà il suo straordinario contributo personale e, pur trattandosi di un film corale, ogni personaggio ha il suo spazio ed il suo carattere ne emerge ben delineato. Lo spettatore si sente quasi come l’ottavo commensale a tavola e vive le vicende di fianco ai protagonisti. Azzeccata anche la colonna sonora d’autore: la canzone originale del film viene scritta e cantata da Fiorella Mannoia.

Perfetti sconosciuti si rivela davvero un ottimo film, divertente e malinconico, una commedia all’italiana nel suo significato più classico e profondo, alla Ettore Scola. Infatti si ride ma si riflette (soprattutto sull’uso forse eccessivo che facciamo della tecnologia, sull’amore, sulla vita di coppia, sull’amicizia e su altro ancora),  c’è commedia brillante al suo interno, ma anche dramma, euforia e amarezza.

Perfetti sconosciuti, nelle nostre sale dall’11 febbraio, è un film da vedere e risulterà inevitabile sentirsi coinvolti in un modo o in un altro nelle tematiche che affronta.

mercoledì 3 febbraio 2016

“PPZ – Pride + Prejudice + Zombies”: Jane Austen in salsa horror

di Silvia Sottile

Chi scrive ammette le proprie difficoltà ad essere del tutto obiettiva dato che ama Jane Austen, ha letto almeno una dozzina di volte Orgoglio e Pregiudizio ed ha visto innumerevoli volte i vari adattamenti cinematografici e televisivi, in particolare il film Orgoglio e Pregiudizio di Joe Wright (2005) e la splendida miniserie BBC con Colin Firth nei panni di Mr Darcy.

Sull’onda dell’intramontabile interesse per Jane Austen e i suoi romanzi, Orgoglio e Pregiudizio in primis, abbiamo assistito ultimamente al proliferare di immaginari sequel, parodie, rivisitazioni moderne o variazioni sul tema che puntano al successo sfruttando il nome e i personaggi nati dalla penna della straordinaria scrittrice inglese. Parliamo sia di libri che di film e period drama. Alcuni si sono rivelati prodotti di buona fattura e qualità, con idee interessanti e ben sviluppate, per altri si tratta di lavori dei quali avremmo fatto volentieri a meno. A questo secondo filone, ahimè, appartiene anche Orgoglio e Pregiudizio e Zombie, romanzo del 2009 scritto da Seth Grahame-Smith, di cui Pride + Prejudice + Zombies di Burr Steers costituisce l’adattamento cinematografico.
L’idea è quella di stravolgere la trama di Orgoglio e Pregiudizio trasformandolo in un horror, unire storia e personaggi di un classico della letteratura inglese ad un’invasione di zombie. Abbiamo una sola domanda: perché?!?!

L’Inghilterra del  XIX secolo è funestata da una misteriosa epidemia, il paese è invaso dai non morti, che sconvolgono le raffinate usanze vittoriane e trasformano la bucolica campagna inglese in una zona di guerra. Nessuno è al sicuro. Le cinque sorelle Bennet sono state addestrate nelle arti marziali e all’uso delle armi. La brillante Elizabeth Bennet (Lily James) sarà costretta dalle gravi circostanze ad allearsi sul campo di battaglia con Mr. Darcy (Sam Riley), un affascinante ma arrogante gentiluomo nonché esperto killer di zombie, per liberare il paese dalla terribile minaccia degli zombie. Nel cast anche Jack Huston (Mr. Wickham), Bella Heathcote (Jane Bennet), Douglas Booth (Mr. Bingley), Matt Smith (Mr. Collins), Charles Dance (Mr. Bennet) e Lena Headey (Lady Catherine de Bourgh).

Indubbiamente gli attori fanno ciò che possono ma l’impressione è che siano essi stessi i primi a non prendersi molto sul serio, con una recitazione fin troppo sopra le righe e caricaturale. I loro personaggi rimangono giusto simpatiche macchiette o restano figure poco incisive sullo sfondo. Lo stesso affetto che si viene a creare tra Elizabeth e Mr Darcy sembra surreale. La trama ha dell’inverosimile, spesso slegata, caratterizzata da svolte narrative campate in aria, tenuta flebilmente insieme dalla trama base di Orgoglio e Pregiudizio, anch’essa fortemente rimaneggiata. Al trash non c’è limite e questo film ne è davvero un esempio, infatti sembra più una parodia mal riuscita che un omaggio all’originale. Peccato che farà leva proprio sulla curiosità del pubblico di appassionati.

La storia prende dunque il via dalle pagine della Austen, ma vengono inseriti (come una nota decisamente stonata) gli zombie qua e là, senza soluzione di continuità. L’effetto è fortemente disturbante anche perché stride davvero troppo vedere Elizabeth e le sorelle prepararsi per il ballo tra corsetti e merletti e un attimo dopo staccare la testa ad uno zombie con la spada nascosta nella giarrettiera, oppure assistere a conversazioni “classiche” del periodo, tratte addirittura dal romanzo originale, che avvengono non in un salotto durante il ricamo ma in combattimenti all’ultimo sangue. Oltretutto non è credibile che nell’Inghilterra di inizio ‘800 le fanciulle fossero addestrate alle arti marziali orientali. L’effetto straniante è principalmente dovuto a questa accozzaglia di due generi diametralmente opposti che non si sposano tra loro e nulla viene fatto nel corso della pellicola per amalgamare il romanticismo di stampo regency all’horror. Si passa dal sognare un buon matrimonio a uccidere gli zombie e poi si torna come nulla fosse a preoccuparsi del prossimo ballo. Ma a dirla tutta non avrebbero mai potuto convivere aspetti tanto distanti e la sofferenza dello spettatore sta proprio nel doverli vedere insieme sullo schermo. Poi, come si può facilmente intuire, lo splatter abbonda in maniera eccessiva e ridicola. 

L’unica piccola nota positiva sono le belle tenute della campagna inglese scelte come location e l’abilità del truccatore Mark Coulier (Oscar per The Iron Lady e Grand Budapest Hotel).


Sconsigliamo la visione di PPZ – Pride and Prejudice and Zombies in particolare a chi ama Jane Austen. La cosa peggiore, infatti, è proprio lo spunto iniziale (ovvero l’idea di inserire gli zombie in Orgoglio e Pregiudizio) che rende il progetto del tutto improbabile con un risultato drammaticamente kitsch e involontariamente comico. Il tentativo di coniugare Jane Austen con l’horror non convince assolutamente ma dà l’impressione di puntare a successo e visibilità con ben poca fatica. Nelle nostre sale dal 4 febbraio in anteprima mondiale.

martedì 2 febbraio 2016

“The Hateful Eight”: Tarantino tra western, giallo e horror

di Silvia Sottile

Quentin Tarantino è tornato! Il suo ottavo film, The Hateful Eight, in cui molto ruota intono al numero 8, è un western, ispirato a quelli di Sergio Leone ma anche a La Cosa di John Carpenter e lo si capisce subito dalla magnifica overture del Maestro Ennio Morricone. C’è anche molto de Le iene per poi trasformarsi in una sorta di giallo, con aspetti politici e un finale horror. C’è davvero di tutto.

Qualche anno dopo la Guerra Civile americana, una diligenza corre attraverso il Wyoming innevato. A bordo ci sono il cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell), detto “il boia”, e la sua prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), diretti verso la città di Red Rock per consegnare la donna alla giustizia. Lungo la strada incontrano il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), ex soldato dell’Unione divenuto cacciatore di taglie, e Chris Mannix (Walton Goggins), un rinnegato del Sud che sostiene di essere il nuovo sceriffo della città. A causa di una bufera di neve i quattro cercano rifugio nell’emporio di Minnie ma ad attenderli non trovano la proprietaria bensì quattro sconosciuti: il messicano Bob (Demian Bichir) che si occupa del rifugio, Oswaldo Mobray (Tim Roth), il boia di Red Rock, il mandriano Joe Gage (Michael Madsen) ed il Generale confederato Sanford Smithers (Bruce Dern).  Mentre fuori infuria la tempesta i nostri otto “odiosi” viaggiatori sono costretti a confrontarsi e forse qualcuno non è chi dice di essere. Nel cast anche Channing Tatum, James Parks e Zoë Bell.

Tarantino in persona ci ha riferito in sede di conferenza stampa di aver iniziato a scrivere pensando a una sorta di Le Iene in versione western che però è diventato un horror. Molto forte è anche l’elemento politico, seppure inizialmente non previsto, con i dialoghi taglienti tra i personaggi nordisti e i sudisti che tanto richiamano la politica americana attuale con la divisione tra democratici e conservatori (e non mancano le riflessioni sul concetto di giustizia). Il regista comunque si è concesso il lusso di muoversi apparentemente con lentezza, costruendo con precisione il suo spettacolo, suddividendo nettamente il film in due parti (nella versione integrale è previsto un intervallo vero e proprio di 12 minuti). La prima è una sorta di lungo preambolo in cui i personaggi in scena (quasi come in una piéce teatrale) si presentano, si conoscono e si muovono all’interno del rifugio come pedine in una scacchiera, nulla è come sembra e in gioco c’è la loro stessa sopravvivenza. La sceneggiatura brillante e dinamica di Tarantino e i movimenti in scena riescono a far salire la tensione e la suspense costruendo un vero e proprio giallo da camera alla Agatha Christie (per nulla fuori luogo il paragone con Dieci piccoli indiani), quasi claustrofobico fino all’esplosione cruenta, sanguinosa e violentemente splatter del finale in puro stile Tarantiniano. Ci si aspetta che succeda qualcosa e quando finalmente accade, si scatena l’inferno.

Molti sono gli aspetti entusiasmanti di questo nuovo capolavoro firmato da Quentin Tarantino, che lo rendono assolutamente unico, a partire dalla scelta del regista di girare in pellicola, utilizzando la gloriosa Ultra Panavision 70 mm (con cui fu girato Ben Hur, tanto per intenderci), che grazie anche alla straordinaria fotografia di Robert Richardson (nominato agli Oscar) dà vita ad un’esperienza unica: gli esterni, più ampi, ricordano il cinema di una volta ma sorprende anche la resa degli interni che dà la possibilità di vedere sempre cosa accade, sia in primo piano che sullo sfondo.  La versione integrale dura 3h e 8’ ma coinvolge, intriga e appassiona talmente tanto e si è così presi dalla narrazione della storia che non si fa caso minimamente alla lunghezza, anche perché quello che si nota è la meravigliosa resa visiva della pellicola tanto da avere l’impressione di immergersi direttamente nello schermo.

Grande merito va anche al cast di alto livello, tutti attori straordinari, in particolare Samuel L. Jackson (stupisce la sua esclusione dalla corsa agli Oscar) e Jennifer Jason Leigh (candidata agli Oscar come attrice non protagonista). Meravigliose le musiche originali del Maestro Ennio Morricone (decisamente da Oscar, sperando che la candidatura si trasformi in vittoria) che danno il ritmo e le emozioni giuste ad ogni momento del film, diventando quasi esse stesse un personaggio. Da brividi i 3’ 48’’ di overture, tolgono il fiato.

The Hateful Eight, al cinema dal 4 febbraio, è già proiettato in sole tre sale dal 29 gennaio nel glorioso formato Ultra Panavision 70 mm: nello Studio 5 di Cinecittà (Roma), al Cinema Arcadia di Melzo (MI) e alla Cineteca di Bologna. Consigliamo caldamente, se possibile, di godersi la visione di questo capolavoro in 70 mm per vivere un’esperienza indimenticabile di puro cinema. Il film merita assolutamente di essere visto nel migliore dei modi possibile.