di Silvia Sottile

Richard Gere, protagonista assoluto, è Franny, un eccentrico
miliardario che cerca di soffocare i suoi sensi di colpa per la morte dei suoi
migliori amici, lasciandosi vivere tra beneficenza e massicce dosi di morfina.
Non lavora, non sappiamo da dove arrivino tutti i suoi soldi, di certo
sovvenziona un ospedale che si occupa di bambini ed è una personalità di un
certo livello a Philadelphia, nonostante viva, trasandato, nella stanza di un
hotel di lusso. Quando improvvisamente ritrova Olivia (Dakota Fanning), la figlia
dei suoi amici scomparsi nell’incidente d’auto di 5 anni prima, sposata e
prossima a partorire, dà un lavoro a suo marito Luke (Theo James) e
pensa di poter riprendere a vivere aiutando con molta generosità i due giovani,
comprandogli una casa ed interferendo in maniera eccessiva ed ossessiva nelle
loro vite. La dipendenza dalla morfina, le crisi d’astinenza, gli incubi, i
sensi di colpa e il ripresentarsi dei suoi demoni interiori, mai realmente
affrontati né tanto meno superati, lo trascineranno in un vortice di
autodistruzione, coinvolgendo Olivia e Luke, affascinati e spaventati al tempo
stesso da quest’uomo davvero singolare e imprevedibile. Tra sbalzi di umore, voglia di redenzione e
necessità di diventare finalmente adulto, sarà la nascita del bambino di Olivia ad aiutare
Franny, spingendolo quasi ad una rinascita.


La pellicola è ambientata (e girata) a Philadelphia, città
d’origine di Renzi, facilitato dunque dalla sua ottima conoscenza della città
nella scelta delle location, rese al meglio.
Franny, dal 23
dicembre nelle nostre sale, è un dramma personale ma principalmente una grande
prova d’attore di Richard Gere. Per il resto il film si perde nella sua debole
sceneggiatura e dispiace vedere un buon potenziale non adeguatamente sfruttato.
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