di Silvia Sottile
Franny rappresenta
il debutto cinematografico per il regista e sceneggiatore Andrew Renzi, che al
suo film d’esordio (oltretutto una produzione indipendente) riesce incredibilmente ad
ottenere un cast d’alto livello.
Richard Gere, protagonista assoluto, è Franny, un eccentrico
miliardario che cerca di soffocare i suoi sensi di colpa per la morte dei suoi
migliori amici, lasciandosi vivere tra beneficenza e massicce dosi di morfina.
Non lavora, non sappiamo da dove arrivino tutti i suoi soldi, di certo
sovvenziona un ospedale che si occupa di bambini ed è una personalità di un
certo livello a Philadelphia, nonostante viva, trasandato, nella stanza di un
hotel di lusso. Quando improvvisamente ritrova Olivia (Dakota Fanning), la figlia
dei suoi amici scomparsi nell’incidente d’auto di 5 anni prima, sposata e
prossima a partorire, dà un lavoro a suo marito Luke (Theo James) e
pensa di poter riprendere a vivere aiutando con molta generosità i due giovani,
comprandogli una casa ed interferendo in maniera eccessiva ed ossessiva nelle
loro vite. La dipendenza dalla morfina, le crisi d’astinenza, gli incubi, i
sensi di colpa e il ripresentarsi dei suoi demoni interiori, mai realmente
affrontati né tanto meno superati, lo trascineranno in un vortice di
autodistruzione, coinvolgendo Olivia e Luke, affascinati e spaventati al tempo
stesso da quest’uomo davvero singolare e imprevedibile. Tra sbalzi di umore, voglia di redenzione e
necessità di diventare finalmente adulto, sarà la nascita del bambino di Olivia ad aiutare
Franny, spingendolo quasi ad una rinascita.
Purtroppo la mancanza di esperienza del regista ed i pochi
mezzi economici a disposizione non passano inosservati. Se l’idea in sé, ovvero
l’analisi accurata di una personalità così eccessiva e sopra le righe,
rappresenta un ottimo spunto di partenza su cui lavorare, la sceneggiatura si
rivela il punto debole, piuttosto prevedibile e banale. Viene affidata la
riuscita del film quasi esclusivamente alla magistrale interpretazione di
Richard Gere, che ci ha rivelato in conferenza stampa di aver trovato molto
stimolante il suo ruolo di Franny. L’attore americano dà indubbiamente tutto se
stesso nel tratteggiare la strabordante ed incontenibile figura del miliardario
eccentrico e depresso, che lotta contro i suoi demoni fino alla immancabile
redenzione dopo la sua drammatica e metaforica caduta all’inferno. Gere riesce
ad esprimere con facilità una vasta gamma di emozioni, sicuramente aiutato
dalla sua filosofia di vita buddista, alternando euforia ad angoscia, ironia a
violenza. La sua è davvero un’interpretazione carica di pathos.
Si mostra
all’altezza anche il giovane Theo James, bravo a tenere testa ad un divo di
Hollywood del calibro di Gere. Dakota Fanning, pur brava e intensa nella
dolcezza del suo personaggio, rimane un po’ sacrificata dal poco spazio
concessole da uno script con troppi punti oscuri mai colmati, che lasciano
dubbi e domande senza risposta a discapito della buona riuscita del film.
La pellicola è ambientata (e girata) a Philadelphia, città
d’origine di Renzi, facilitato dunque dalla sua ottima conoscenza della città
nella scelta delle location, rese al meglio.
Franny, dal 23
dicembre nelle nostre sale, è un dramma personale ma principalmente una grande
prova d’attore di Richard Gere. Per il resto il film si perde nella sua debole
sceneggiatura e dispiace vedere un buon potenziale non adeguatamente sfruttato.
Nessun commento:
Posta un commento