di Silvia Sottile
Ci sono registi che si cimentano in diversi generi
cinematografici, riuscendo sempre a mantenere un proprio stile, ampiamente
riconoscibile, ed eccellendo ovunque. Uno di questi è senza ombra di dubbio il
grande Steven Spielberg. Suoi alcuni dei più grandi film della storia del
cinema, veri e propri cult, per non parlare dei 4 Oscar all’attivo in carriera.
Nutrivamo grandi aspettative per il suo ultimo film, Il ponte delle spie, aspettative che
sono state ampiamente soddisfatte: Spielberg ci regala un ennesimo capolavoro,
coadiuvato da un impeccabile script dei fratelli Coen, basato su una vicenda
storica realmente accaduta durante la Guerra Fredda.
James B. Donovan (Tom Hanks, premio Oscar per Philadelphia e Forrest Gump, alla quarta collaborazione con Spielberg dopo Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi e The Terminal) è un avvocato americano che durante gli anni della
Guerra Fredda si trova a dover difendere Rudolf Abel (Mark Rylance), accusato
di essere una spia sovietica, mettendo addirittura a rischio l’incolumità della
sua famiglia (la moglie Mary è interpretata da Amy Ryan). Uomo retto, che crede
nei valori della Costituzione, Donovan farà di tutto per evitare la condanna a
morte del suo assistito, rifiutando di accettare un processo farsa. Successivamente
si troverà coinvolto nelle trattative governative per uno scambio di
prigionieri: Abel per il pilota di un aereo
spia americano catturato dall’Unione Sovietica, Francis Gary Powers (Austin
Stowell). Donovan dovrà fare da intermediario per la CIA e ancora una volta
rischierà la vita per ciò che crede sia giusto, recandosi a Berlino, città divisa
da un freddo e atroce muro, cercando di riportare a casa (in cambio di Abel)
non solo Powers, ma anche lo studente americano Frederic Pryor (Will Rogers), nelle
mani dell’appena nata DDR; scambio previsto sul leggendario Glienicker Brücke, detto appunto il ponte delle spie (che
divideva la Berlino Est da quella dell’Ovest) proprio perché su di esso
avvennero durante la guerra fredda numerosi scambi tra spie sovietiche e
americane.
La pellicola
dura 140 minuti, ma lo sviluppo della storia è talmente coinvolgente da non
annoiare un solo istante. La sceneggiatura dei fratelli Coen si rivela molto
scorrevole, la ricostruzione storica è fedele ed accurata (assistere alla
costruzione del Muro di Berlino mette quasi i brividi). Ma ciò che fa la
differenza più di ogni altra cosa è la regia di Spielberg che si mantiene
sempre molto classica, puntando soprattutto su una narrazione lineare, ma non
per questo meno appassionante.
I primi minuti sono a dir poco da cineteca, con
un evidente richiamo ad Hitchcock: senza dialoghi ma solo rumori di fondo,
assistiamo ai momenti che precedono l’arresto di Rudolf Abel. Mark Rylance
d’altronde fornisce un’interpretazione straordinaria che gli è appena valsa la
nomination come miglior attore non protagonista ai Golden Globe 2016 e a
numerosi altri premi cinematografici. Perfetto, come sempre, Tom Hanks, solido,
umano, credibile e convincente in qualunque ruolo.
Spielberg
riesce a dosare sapientemente i vari elementi
costitutivi del film: l’aspetto storico, lo spionaggio, la politica, il
sistema giudiziario, l’azione, i dialoghi, i valori americani e gli affetti
familiari, con uno sguardo doloroso alla Berlino anni ‘60 dilaniata dalla
Guerra Fredda e un occhio non troppo indulgente verso i democratici ma puritani
Stati Uniti d’America (per quanto la differenza risulti inequivocabilmente
evidente). Riesce infatti, con un tocco
da maestro, ad evitare abilmente di cadere nella solita retorica
filo-americana, l’eroe è solamente un uomo dagli elevati valori morali in cui
continua a credere con fiducia.
L’unico piccolo neo è forse il tono un po’
troppo didascalico in alcuni punti, che tuttavia non stona affatto e che possiamo tranquillamente tralasciare. Del resto troviamo anche un’inaspettata
(quanto necessaria) punta di ironia e innumerevoli spunti di riflessione che
toccano tutti i tasti giusti.
Ottimo lavoro
dal punto di vista tecnico, dalla fotografia plumbea di Janusz Kaminski, al montaggio
di Michael Kahn, fino alla colonna sonora di Thomas Newman, che collaborano alla perfezione nel dare
l’impressione di trovarsi realmente nel luogo e tempo storico descritti,
aumentando la già palpabile tensione diplomatica tra USA e URSS.
Il ponte delle spie, nelle nostre sale dal 16 dicembre, è un film imperdibile, che va molto
oltre il thriller politico e rie
sce ad appassionare e tenere col fiato sospeso fino all’ultimo istante. Una lezione di cinema.
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