Parliamo di...

mercoledì 16 dicembre 2015

“Il ponte delle spie”: Spielberg regala l’ennesima lezione di cinema

di Silvia Sottile

Ci sono registi che si cimentano in diversi generi cinematografici, riuscendo sempre a mantenere un proprio stile, ampiamente riconoscibile, ed eccellendo ovunque. Uno di questi è senza ombra di dubbio il grande Steven Spielberg. Suoi alcuni dei più grandi film della storia del cinema, veri e propri cult, per non parlare dei 4 Oscar all’attivo in carriera.

Nutrivamo grandi aspettative per il suo ultimo film, Il ponte delle spie, aspettative che sono state ampiamente soddisfatte: Spielberg ci regala un ennesimo capolavoro, coadiuvato da un impeccabile script dei fratelli Coen, basato su una vicenda storica realmente accaduta durante la Guerra Fredda.
James B. Donovan (Tom Hanks, premio Oscar per Philadelphia e Forrest Gump, alla quarta collaborazione con Spielberg dopo Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi e The Terminal) è un avvocato americano che durante gli anni della Guerra Fredda si trova a dover difendere Rudolf Abel (Mark Rylance), accusato di essere una spia sovietica, mettendo addirittura a rischio l’incolumità della sua famiglia (la moglie Mary è interpretata da Amy Ryan). Uomo retto, che crede nei valori della Costituzione, Donovan farà di tutto per evitare la condanna a morte del suo assistito, rifiutando di accettare un processo farsa. Successivamente si troverà coinvolto nelle trattative governative per uno scambio di prigionieri: Abel per il pilota di un aereo spia americano catturato dall’Unione Sovietica, Francis Gary Powers (Austin Stowell). Donovan dovrà fare da intermediario per la CIA e ancora una volta rischierà la vita per ciò che crede sia giusto, recandosi a Berlino, città divisa da un freddo e atroce muro, cercando di riportare a casa (in cambio di Abel) non solo Powers, ma anche lo studente americano Frederic Pryor (Will Rogers), nelle mani dell’appena nata DDR; scambio previsto sul leggendario Glienicker Brücke, detto appunto il ponte delle spie (che divideva la Berlino Est da quella dell’Ovest) proprio perché su di esso avvennero durante la guerra fredda numerosi scambi tra spie sovietiche e americane.

La pellicola dura 140 minuti, ma lo sviluppo della storia è talmente coinvolgente da non annoiare un solo istante. La sceneggiatura dei fratelli Coen si rivela molto scorrevole, la ricostruzione storica è fedele ed accurata (assistere alla costruzione del Muro di Berlino mette quasi i brividi). Ma ciò che fa la differenza più di ogni altra cosa è la regia di Spielberg che si mantiene sempre molto classica, puntando soprattutto su una narrazione lineare, ma non per questo meno appassionante. 
I primi minuti sono a dir poco da cineteca, con un evidente richiamo ad Hitchcock: senza dialoghi ma solo rumori di fondo, assistiamo ai momenti che precedono l’arresto di Rudolf Abel. Mark Rylance d’altronde fornisce un’interpretazione straordinaria che gli è appena valsa la nomination come miglior attore non protagonista ai Golden Globe 2016 e a numerosi altri premi cinematografici. Perfetto, come sempre, Tom Hanks, solido, umano, credibile e convincente in qualunque ruolo.

Spielberg riesce a dosare sapientemente i vari elementi  costitutivi del film: l’aspetto storico, lo spionaggio, la politica, il sistema giudiziario, l’azione, i dialoghi, i valori americani e gli affetti familiari, con uno sguardo doloroso alla Berlino anni ‘60 dilaniata dalla Guerra Fredda e un occhio non troppo indulgente verso i democratici ma puritani Stati Uniti d’America (per quanto la differenza risulti inequivocabilmente evidente).  Riesce infatti, con un tocco da maestro, ad evitare abilmente di cadere nella solita retorica filo-americana, l’eroe è solamente un uomo dagli elevati valori morali in cui continua a credere con fiducia. 
L’unico piccolo neo è forse il tono un po’ troppo didascalico in alcuni punti, che tuttavia non stona affatto e che possiamo tranquillamente tralasciare. Del resto troviamo anche un’inaspettata (quanto necessaria) punta di ironia e innumerevoli spunti di riflessione che toccano tutti i tasti giusti.

Ottimo lavoro dal punto di vista tecnico, dalla fotografia plumbea di Janusz Kaminski, al montaggio di Michael Kahn, fino alla colonna sonora di Thomas Newman, che collaborano alla perfezione nel dare l’impressione di trovarsi realmente nel luogo e tempo storico descritti, aumentando la già palpabile tensione diplomatica tra USA e URSS.

Il ponte delle spie, nelle nostre sale dal 16 dicembre, è un film imperdibile, che va molto oltre il thriller politico e rie


sce ad appassionare e tenere col fiato sospeso fino all’ultimo istante. Una lezione di cinema.


Nessun commento:

Posta un commento