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martedì 31 dicembre 2013

"Il mistero dell'assassino misterioso" di Lillo e Greg non passa mai di moda!

di Emanuela Andreocci

La comicità ha tante sfaccettature, progredisce ed evolve col passare del tempo, si adatta ai vari momenti storici e li sfrutta a suo favore tirando in ballo avvenimenti che sicuramente divertono perché conosciuti e sperimentati dal pubblico in prima persona. Esiste però anche un altro tipo di intrattenimento, quello che va al di là del contesto socio/culturale/politico in cui si vive e fa ridere lo stesso, in un modo sano e genuino, quasi puro: è questo il caso de Il mistero dell'assassino misterioso in scena al Teatro Olimpico di Roma fino al 19 gennaio 2014. 
La commedia, scritta a quattro mani nel 2000 da Greg con l'aiuto di Lillo, è un esilarante evergreen in cui si prende in giro il teatro, la rappresentazione, la scrittura scenica e gli attori, un misto tra Agatha Christie e Neil Simon (l'autore e interprete del testo in scena tiene a precisare i riferimenti, fosse mai che lo spettatore più distratto non se ne accorgesse...!).
La scena si apre sul salotto di un castello immerso nella campagna londinese dove il detective Mallory (Greg), che indaga sulla misteriosa morte della contessa Worthington, ha riunito i tre sospettati: la figlia Margaret (Vania Della Bidia), il pazzo nipote Henry (Danilo De Santis) e la devota infermiera Greta dal cognome impronunciabile (Dora Romano). Un giallo in piena regola, verrebbe da pensare, se non che un piccolo inconveniente porta sulla scena il bibitaro del teatro (Lillo) che dovrà vestire i panni del giovane marito della defunta. Vista la situazione (anche patrimoniale) il suo personaggio preferisce specificare fin da subito che amore e anagrafe spesso non vanno d'accordo: troppo facile ironizzare sulla differenza d'età per puntare il dito...! 
Per il detective tutto si complica: è quasi impossibile indagare e ricostruire gli avvenimenti con uno dei personaggi che non solo non si ricorda le battute, ma comincia anche a sindacare su quello che è stato scritto. Il bibitaro, infatti, rappresenta il pubblico: incarnando ciò che lo spettatore medio pensa davanti ad una messinscena, suggestiona gli altri attori che, influenzati dal suo parere, iniziano a dubitare della capacità di Mallory, investigatore ma anche autore del testo. Gli equilibri si perdono, ogni personaggio cerca di prevalere sull'altro perché in sala c'è un imprenditore alla ricerca di un protagonista per una fiction televisiva, le maglie si allargano e gli indizi perdono consistenza. Tutto viene inesorabilmente sgretolato dagli interventi di Lillo che trascina attori e spettatori in un vortice di avvenimenti nonsense in cui i ruoli si sfaldano e la metateatralità e la confusione da essa generata prendono il sopravvento; Greg, dal canto suo, forte della sua veste di autore, cerca di contenere la forza distruttrice del bibitaro.  
Il mistero dell'assassino misterioso è una commedia geniale nella sua apparente semplicità.

lunedì 30 dicembre 2013

"American Hustle": non solo apparenza (che inganna), ma anche molta sostanza!


di Emanuela Andreocci

Cinematograficamente parlando, il nuovo anno comincerà con i botti: il 1 gennaio 2014 infatti uscirà nelle sale italiane American Hustle - L'apparenza inganna, l'attesissimo film di David O. Russell. La trepidazione, neanche a dirlo, è dovuta alle forze messe in campo, un mix vincente di regia, sceneggiatura e tanta, tanta interpretazione: i magnifici cinque protagonisti della pellicola sono Christian Bale, Jennifer Lawrence, Amy Adams, Bradley Cooper e Jeremy Renner. I nomi parlano da soli, ma per dovere di cronaca è necessario ricordare che i primi due sono premi Oscar, vinti rispettivamente per le straordinarie interpretazioni di The fighter e Il lato positivo, entrambi di Russell. La posta in gioco e le aspettative al riguardo, inutile dirlo, sono estremamente alte, ma è bene non focalizzarsi troppo su quello che si vorrebbe vedere per non perdere il piacere di quello che il film realmente è ed offre. 
Russell, in quella che può considerarsi la conclusione di una trilogia, continua a indagare l'animo umano partendo da una storia che ha del vero: come la didascalia in apertura ci comunica, alcuni dei fatti narrati sono realmente avvenuti e riguardano lo scandalo Abscam. Lo scaltro truffatore Irving Rosenfeld (Christian Bale) e la sua seducente compagna di vita e "collega" Sydney Prosser (Amy Adams) sono costretti a lavorare per l'agente FBI Richie DiMaso (Bradley Cooper) in un mondo fatto di corruzione e giro di denaro. Tra i politici coinvolti troviamo Carmine Polito (Jeremy Renner), un buono che ha sempre agito per il bene dei suoi cittadini ma che comunque dovrà fare i conti con le sue azioni. Jennifer Lawrence, invece, è l'instabile Rosalyn Rosenfeld, moglie di Irving, la mina vagante del gruppo: le sue azioni, pur sembrando superficiali e di contorno, rischiano costantemente di compromettere tutto e tutti. 
Gli attori, dunque, prima di tutto: buona la performance della perennemente scollata Adams, ottime quelle di Renner e della Lawrence che non delude mai, magistrali quelle di Cooper e di Bale che eccelle su tutti. Monumentale in tutti i sensi, sia per la stazza (l'attore, si sa, ci ha abituati a cambiamenti fisici radicali), sia, ovviamente, per la bravura dimostrata grazie anche al regista che sa come valorizzare i suoi protagonisti per farli rendere al meglio. Potremmo soffermarci a lungo sull'interprete di Irving che a inizio film conquista e tiene la scena cercando di sistemarsi un improbabile quanto posticcio parrucchino: il personaggio di Bale è carismatico e in un modo tutto suo assolutamente charmant quanto quello di Cooper è imprevedibile e borderline. Buoni e cattivi non sono mai stati così vicini (o confusi).
Bisogna riconoscere a Russell anche l'ottimo uso di mezzi che potrebbero risultare scontati ma che invece donano al film elasticità, piacevolezza e brio: un minimo uso della costruzione a scatole cinesi (la storia d'amore con Sydney, l'incontro con Polito), il veloce riepilogo degli eventi fino al momento clou della truffa, il ricorrere della storia con morale che il capo di DiMaso cerca invano di raccontare e l'impiego di Robert De Niro in un riuscito cameo.
Inganni e truffe, dunque, nei confronti di se stessi e del prossimo, ma anche l'amore in tutte le sue forme: quello per un amico, quello finito per la propria donna, quello appena sbocciato e che bisogna coltivare costantemente per la persona che non si vuole perdere. 
"Raccontare la sofferenza e il dolore è facile." ha dichiarato il regista in sede di conferenza stampa a Roma "Io voglio andare oltre. Duke Ellington [altro protagonista del film, ndr] l'ha detto bene: voglio trascendere la categoria". Certamente è riuscito nel suo intento. 
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domenica 22 dicembre 2013

A Natale non si rimane digiuni con "Piovono polpette 2"

di Emanuela Andreocci

Tempo di feste: tempo di preoccupazioni per la bilancia e per il giro vita. Sotto Natale il cibo è sempre stato un compagno fedele quanto invadente e quest'anno lo sarà ancora di più: il 25 dicembre il menù cinematografico prevede infatti l'uscita di Piovono polpette 2 - La rivincita degli avanzi con contorno di sorrisi. A differenza di quanto indicato dal titolo e di quanto succedeva nel primo fortunato film della Sony Pictures Animation, stavolta non ci sono piogge di cheeseburger e tornado di spaghetti, ma il pericolo è rappresentato dagli animacibi: se alla fine di Piovono polpette avevamo già visto polli arrosto in movimento e minacciosi orsetti di gomma, nel sequel, esaurito il problema meteorologico, si prosegue su questa nuova strada. Ma procediamo con ordine. 
La storia comincia esattamente 60 secondi dopo la fine del primo capitolo, concedendo agli spettatori anche un veloce riassunto di quanto successo: il giovane inventore Flint Lockwood, come sappiamo, ha appena salvato la sua isola di Swallow Marinata dalla R.C.S.M.D.D.F.L. (l'acronimo della sua più grande invenzione che torna ad essere protagonista di divertenti dialoghi in stile finta supercazzola che continuano a divertire) e viene chiamato dal suo eroe Chester V (a metà tra un santone indiano, un inventore, uno showman ed un onnipresente grande fratello con evidenti riferimenti a Steve Jobs) nella laboriosa Live Corp (che, quindi, non può non farci pensare alla Apple). Ad accogliere il ragazzo nel suo nuovo posto di lavoro (un ufficio-alveare dove sembra non si possa andare avanti senza un uso illimitato di caffeina in tutte le sue forme) troviamo Barb, la più riuscita invenzione di Chester (un primate dotato di cervello umano intelligente, sensibile e con unghie alla moda),  ma la permanenza non durerà molto: la macchina che Flint pensava fosse stata distrutta è ancora in funzione e sta creando non pochi problemi nell'isola, per cui al nostro eroe viene affidata la missione supersegreta, che ovviamente non rimarrà tale, di trovarla e distruggerla una volta per tutte... o almeno questo è quello che gli viene fatto credere. 
Il protagonista, accompagnato dagli amici e compagni di sempre (Sam la metereologa e il suo cameraman Manny, il papà Tim, Steve la Scimmia, Earl e Brent) torna nella sua Swallow Marinata che nel frattempo si è trasformata in un'alternativa e famelica Jurassic Park: molti infatti sono i numerosi e divertenti richiami al film di Spielberg che gli spettatori potranno cogliere. È interessante l'idea che si suppone sia alla base delle varie citazioni: l'isola è infatti animata da creature misteriose e altamente pericolose che non possono relazionarsi con l'essere umano e che quindi devono essere annientate per ristabilire il giusto equilibrio. Ma le elefangurie e gli orangamberi, i tacodrilli e gli spiderburger (veramente notevole e originale la resa di tutte le specie -ben 39!- di animacibi presenti nell'isola con dei nomi altrettanto riusciti ed evocativi) sono veramente pericolosi? Anche la dolce e tenera Frà cela un lato oscuro e minaccioso? 
Come ogni film d'animazione riuscito che si rispetti, Piovono polpette 2, anche se non raggiunge i livelli del suo predecessore, è adatto ai più piccini ma piacerà anche agli adulti che potranno apprezzare il grande lavoro di progettazione e realizzazione degli ambienti, di caratterizzazione e animazione dei personaggi, la scelta e modalità dei temi toccati ed il messaggio finale di buon augurio per un mondo migliore in cui il diverso non sia necessariamente pericoloso. 
Lo chef consiglia di riservarsi un posticino per il dolce: non abbiate fretta di alzarvi dalla poltrona perché anche i titoli di coda meritano di essere gustati!

martedì 17 dicembre 2013

"I sogni segreti di Walter Mitty": Ben Stiller si incanta e incanta

di Emanuela Andreocci

Ne I sogni segreti di Walter Mitty, film diretto, interpretato e coprodotto dal genio carismatico di Ben Stiller, troviamo una felice sinfonia tra sceneggiatura, interpretazione e regia: il cast, sia tecnico che artistico, ha reso la pellicola un gioiellino, non solo perché ben confezionata (gli Americani la sanno lunga in proposito), ma anche perché piena di cuore e sentimenti opportunamente e sapientemente dosati.
La storia, a volerla banalizzare, è una semplice favoletta: realizzazione in chiave contemporanea del racconto The secret life of Walter Mitty di James Thurber del 1939 che già aveva ispirato la commedia di McLeod conosciuta in Italia come Sogni proibiti, racconta la storia di un uomo, un inetto, che non riesce a vivere appieno la propria vita e si rifugia in fantasie che pian piano prendono vita. Il protagonista, con il passare degli anni, ha subito un'evoluzione: il Mitty del romanzo era oppresso dal matrimonio e succube della moglie, mentre quello interpretato da Danny Kaye nel primo film era fidanzato ma riluttante ad impegnarsi nel sacro vincolo. Il Walter di Ben Stiller, l'ultimo in ordine cronologico, è un sognatore, crede nell'amore e nelle imprese eroiche, si incanta immaginandole ma si nasconde in una vita regolata da certezze finché una di queste viene a mancare. Responsabile da sempre dell'archivio fotografico della rivista "Life", si trova costretto a sviluppare la foto per la copertina dell'ultimo numero e a dire addio al suo lavoro: il cartaceo, infatti, dovrà lasciare spazio al digitale, la rivista diventerà un magazine online. Lo scatto da utilizzare è stato indicato dal coraggioso e determinato fotografo Sean O'Connel (interpretato da uno Sean Penn perfetto nel cameo), ispirazione e proiezione di quello che Mitty potrebbe diventare se solo osasse, ma la foto, inviata in redazione, sembra non essere mai arrivata. È la ricerca del negativo 25 e l'aiuto di Cheryl (Kristin Wiig) che in punta di piedi entra a far parte del mondo di Walter (di quello "reale", in quello immaginario era già più che presente) a spingere il nostro eroe a compiere un'impresa inaspettata (degna del più accattivante profilo eHarmony), abbattendo barriere fisiche e mentali.
«Il protagonista va alla difficile ricerca di un legame con il mondo, una connessione che però è anche verso se stesso» ha spiegato il regista in conferenza stampa «Il sognare ad occhi aperti è importante perché gli permette di andare avanti, ma allo stesso tempo lo blocca nei rapporti con gli altri».
I produttori John Goldwyn e Samuel Goldwyn Jr. (nipote e figlio del Goldwyn che ha prodotto il primo film, e quindi sentimentalmente e moralmente legati alla pellicola in questione) e Stuart Cornfeld (che ha collaborato con Stiller in molti dei suoi film tra cui Zoolander e Tropic Thunder) non potevano sperare in una sceneggiatura migliore di quella elaborata da Steven Conrad, perfettamente in sintonia con la loro idea, originale e piena di sentimento. Trovare poi un protagonista/regista non solo interessato, ma addirittura appassionato, ricco di idee su cosa fare e come, pieno di spirito di iniziativa e dedizione nei confronti del suo personaggio, non è stata solo la ciliegina sulla torta, ma anche la farcitura e la glassa. 
I sogni segreti di Walter Mitty non è solo un lavoro riuscito di Ben Stiller (di cui certamente non serve ricordare opere e importanza), ma rappresenta un punto di passaggio verso un'acquisita maturità, sia dietro che davanti la macchina da presa. 
Se pensiamo a Stiller regista, tanto per citare alcune delle evidenti qualità che emergono e che in parte già conoscevamo, dobbiamo lodare la significativa scelta di girare in pellicola («Non si può utilizzare il digitale per un film che racconta la ricerca di un negativo» ha affermato l'attore), la commistione di generi e stili di ripresa (che spaziano da inquadrature più classiche e statiche ad altre rocambolesche ed adrenaliniche da action movie), l'originalità (un negativo che in dissolvenza diventa il bordo di una fontana su cui siede il protagonista, ad esempio), la scelta e l'impiego degli attori, l'utilizzo dei tempi e momenti comici (lo squalo, la sindrome di Benjamin Button) e la ricerca di una colonna sonora che potesse supportare e completare le immagini. Se pensiamo invece a lui come attore troviamo, ma anche questo già lo sapevamo, un uomo capace di incarnare le più disparate espressioni e renderle comunque credibili, capace di far (sor)ridere e riflettere, capace di interpretare, senza strafare, l'uomo comune con quel qualcosa in più che conquista e, per l'appunto, fa sognare.
Dal 19 dicembre nei cinema.

giovedì 12 dicembre 2013

Tragicamente meravigliosa Philomena


di Emanuela Andreocci

Sarà per il tema trattato che tocca nel profondo, sarà per la bravura della protagonista Judi Dench, sarà per la sceneggiatura di Steve Coogan e la sapiente regia di Stephen Frears che Philomena ti entra nel cuore. Lo spettatore stabilisce fin da subito un'immediata empatia con la protagonista, avverte la sofferenza che si cela dietro ai suoi occhioni azzurri e allo stesso tempo la voglia di vivere e l'entusiasmo con cui continua, nonostante tutto, a guardare il mondo. 
Philomena Lee ha avuto una vita difficile, terribile perfino: ragazza madre nella bigotta Irlanda del 1952 in cui un avvenimento del genere era considerato un vergognoso peccato da espiare con la sofferenza di un parto senza antidolorifici, reclusa in un istituto di suore, autorizzata a vedere il bambino solo per un'ora al giorno e infine costretta a dirgli addio all'età di tre anni senza avere effettivamente la possibilità di salutarlo per l'ultima volta. Ma questo è solo l'inizio, questo è solo quello che apprendiamo dai tormentati flashback della protagonista che, cinquant'anni dopo il tragico avvenimento, decide di andare alla ricerca del figlio perduto e di raccontare al mondo la sua sofferenza. 
L'incontro casuale tra la figlia Jane (Anna Maxwell Martin) e Martin Sixsmith (giornalista e autore del libro Philomena interpretato dal cosceneggiatore e coproduttore Steve Coogan) segna l'inizio del viaggio di Philomena. Viaggio reale in quanto le ricerche portano l'uomo e l'anziana signora in America, viaggio interiore in quanto entrambi, ognuno a suo modo, effettueranno un percorso di crescita interiore: Philomena troverà riposta ad alcune delle sue domande e potrà finalmente smettere di tormentarsi, Martin scoprirà che c'è qualcosa che va oltre il semplice scoop e dovrà confrontarsi più volte con la donna riguardo gli argomenti più disparati, dalla colazione americana alla fede, dai romanzi rosa al dolore incontenibile di una madre a cui è stato sottratto il bene più prezioso. 
Il film oscilla seguendo gli umori dei protagonisti, si adagia perfettamente sui ricordi di Philomena e sul suo modo di vedere e di continuare a scoprire il mondo, alternando momenti profondamente toccanti ad altri che lasciano spazio al sorriso, sebbene sempre dolce amaro. 
Merita di essere visto, vissuto e gustato, proprio come Philomena ci insegna a fare con la vita.
Al cinema dal 19 dicembre.


martedì 10 dicembre 2013

Siamo nei guai? Sorridete! Ficarra e Picone tornano a Roma con "Apriti cielo".


di Emanuela Andreocci

L’anno scorso erano arrivati a Roma con quello che avevano definito un work in progress, quest’anno ritornano con lo stesso, affermato spettacolo: Ficarra e Picone, in scena dal 10 al 15 dicembre al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, raccontano con tutta la simpatia che li caratterizza il loro esilarante Apriti cielo.

Con Apriti cielo, così come nei vostri altri spettacoli, portate in scena la realtà quotidiana…
Salvatore Ficarra «Sì e no. Nel primo pezzo siamo due tecnici che vengono chiamati da un signore per aggiustare la tv, vanno a casa sua, trovano la porta aperta, cominciano a lavorare e non si rendono conto che proprio ad un passo da loro il proprietario di casa è morto: è stato ucciso e loro potrebbero essere chiamati a risponderne… per fortuna non è un fatto quotidiano che capita a tutti! Loro, però, si ritrovano in questa situazione anomala.»
Valentino Picone «Partiamo dal presupposto che in scena facciamo finta di essere leggermente, ma proprio poco poco, più stupidi di come siamo nella vita, e ci infiliamo in situazioni che riteniamo comiche. Quando scriviamo partiamo sempre dal nostro divertimento: in quanto comici, ci diverte metterci nei guai per poi tentare di uscirne.»
Qual è la vostra forza?
S.F. «Innanzitutto grazie per aver detto “forza”. Ci piace molto la semplicità, ci diverte allo stesso modo sentir ridere i bambini e gli adulti. La semplicità per noi è un punto di arrivo: cerchiamo di fare delle cose che siano accessibili, comprensibili, leggere per tutti. La risata è soggettiva, come la bellezza. Quante volte in un concorso è capitato di pensare che chi è arrivata terza era più bella? Ci sono persone a cui piace di più quella che è stata eliminata per prima. La risata è così ed ognuno di noi poi ha una sua maniera di proporla. Se trova consenso bene, altrimenti… beh, sicuramente è uno dei pochi mestieri in cui non può esistere la raccomandazione!»
V.P. «Alla base di questo mestiere c’è la grande fortuna, e non lo dico per modestia, di potersi far conoscere, come è successo con “Zelig”. La nostra forza è continuare a fare cose che ci divertono e più andiamo avanti, più questo sta diventando per noi una regola. Non so se sia facile o difficile far ridere: noi lo facciamo. Ci viene facile quando siamo i primi a ridere, non siamo dei matematici della risata: siamo stati sempre molto di pancia».
Siete comici, attori, autori, sceneggiatori e anche registi…
V.P. «Queste definizioni si possono sintetizzare in una sola: artigiani. L’artigiano fa tutto da solo: scriviamo una cosa perché ci fa ridere e poi ci viene automatico rappresentarla ed esserne i registi…»
S.F. «… nel senso che portiamo al cinema ed in teatro le nostre cose: conoscendoci e sapendo cosa vogliamo, proponiamo al pubblico una messinscena che è la nostra visione della storia che raccontiamo. Ci accomuna la parola, ma c’è una chiara differenza tra noi e Virzì o Tornatore: non siamo registi nel senso classico del termine.»
Modelli di riferimento?
S.F. «Come tutti gli appassionati di comicità potrei citare i classici, da Chaplin a Stanlio e Ollio a Peppino… Sono come antologie sulle quali inconsapevolmente hai studiato: ti rimangono degli schemi dentro e, sempre inconsapevolmente, li applichi.»
V.P. «Ormai Ficarra ha me e io ho lui… ci autoriferiamo!»
Visto che vi autoriferite, tre aggettivi per descrivere Picone?
S.F.«Squallido, inutile e inqualificabile… glielo dico sempre, non mi piace parlare alle spalle!»
Per Ficarra?
V.P. « Ritardatario, onesto e pignolo… nelle cose inutili!»
Il vostro ricordo più bello insieme?
V.P. «Quando succede che anche noi, in scena, ci stupiamo di qualcosa. La risata nuova, per esempio, mi fa impazzire, e ce ne sono di diversi tipi: la risata con risucchio e quella a intervalli regolari, per esempio. Tutto questo mi diverte molto.»
S.F. « Il mio ricordo più bello con Picone si rinnova spesso, per fortuna: è quando ci salutiamo e lui se ne va a casa sua… è uno dei momenti più belli della giornata per me!»

lunedì 9 dicembre 2013

"Un fantastico via vai": Pieraccioni va alla difficile ricerca di emozioni passate.

Il 12 dicembre approda nelle sale Un fantastico via vai, l'ultima fatica di Leonardo Pieraccioni che, purtroppo, ha tanto via vai e poco fantastico. Intendiamoci, non è da buttar via, ma non aggiunge niente né alla commedia italiana, né alla cinematografia del regista de I laureati, film palesemente citato all'interno della nuova pellicola che però rimane solo un piacevole ma lontano ricordo. Nella sequenza della corsa per (non) pagare il conto della trattoria, come ha affermato Pieraccioni in sede di conferenza stampa, c'è il riassunto di tutto il film: a cinquant'anni non puoi più fare certe cose perché fai una "figuretta".   
Arnaldo Nardi, interpretato dallo stesso regista e autore, è un quarantacinquenne che nel mezzo del cammin di sua vita si ritrova, a causa di un malinteso con sua moglie Anita (Serena Autieri), a tirar le somme e a porsi la fatidica domanda: è realmente felice? La sceneggiatura (scritta con Paolo Genovese, che ha preso il posto del sempre presente Giovanni Veronesi) prevede che ovviamente la risposta sia no: il protagonista cerca allora di ritrovare la sua strada a partire dalla giovinezza. Non può certamente recuperare gli anni passati, ma decide lo stesso di vivere come un ventenne: affitta una stanza in un appartamento di universitari (tutti belli e sopra il metro e settanta!) nel tentativo di ritrovare "quello tsunami di emozioni, che poi diventano tatuaggi, che si provano solo a vent'anni".
Invece di quella di Peter Pan, Arnaldo, continuando a citare il suo interprete, "è afflitto dalla sindrome del bischero", ma non impiega molto a prender consapevolezza che ha già avuto il suo tempo e le sue occasioni. Il protagonista, infatti, non cresce perché in realtà non ne ha bisogno: non assistiamo ad un'evoluzione del suo personaggio né a nessun tipo di maturazione, ma come un moderno grillo parlante riesce ad indirizzare i suoi nuovi e giovani coinquilini. Ognuno ha il suo piccolo, grande problema: Camilla (Marianna di Martino), siciliana, ha scelto l'unica facoltà non presente nella sua città per non far sapere ai genitori di essere incinta; Anna (Chiara Mastalli) non conosce le vie di mezzo e le piacciono ugualmente sia gli uomini maturi che i ragazzini delle superiori; Marco (Giuseppe Maggio) studia medicina ma sviene alla vista del sangue ed Edoardo (David Sef), mulatto, è fidanzato con Clelia (Alice Bellagamba) il cui padre (il Cavalier Mazzarra interpretato da Giorgio Panariello) non sopporta le persone di colore. Siamo già in clima natalizio e lo è ovviamente anche il film: ognuno avrà il suo ovvio lieto fine.
Nel via vai di personaggi che si susseguono e si incontrano tra le strade di una seducente Arezzo (ci troviamo davanti ad un film più corale rispetto agli ultimi del regista), non possiamo non nominare i comici. Con i loro interventi, seppur limitati e, nel caso del primo, incredibilmente contenuti non solo in senso quantitativo, Ceccherini e Panariello, amici e presenze storiche nei film di Pieraccioni, sono una garanzia. La piacevole scoperta, però, è data dall'inedita coppia Maurizio Battista-Marco Marzocca: i due, sempre in coppia come i carabinieri, regalano dei piacevoli siparietti che ben si inseriscono nella storia raccontata e che anzi l'arricchiscono di una verve comica altrimenti un po' sopita. 
  

venerdì 6 dicembre 2013

"Othello... la H è muta!": esilaranti e dissacranti Oblivion tra Verdi, Shakespeare e molto altro.


di Emanuela Andreocci

Othello... la H è muta!, in scena fino al 15 dicembre alla Sala Umberto di Roma, è uno di quegli spettacoli che non dovrebbero perdersi. 
All'arrivo in platea il sipario è aperto: si individuano facilmente un pianoforte, un ritratto di Verdi, un praticabile di legno (una barca/letto) e un drappo di Venezia che cela l'immagine di Shakespeare. E poi arrivano i fantastici cinque: gli Oblivion cominciano a raccontare, pardon, a cantare, la storia del ben noto fazzoletto che Othello ha regalato a Desdemona e che è finito per colpa di Iago nelle mani di Cassio, per poi trasformarsi loro stessi nei suddetti personaggi. Penso che tutti conoscano gli eclettici interpreti, ma in caso contrario consiglio I promessi sposi in 10 minuti, video che su YouTube ha ottenuto tre milioni di visualizzazioni. È difficile infatti riuscire a raccontare al meglio non solo quello che succede in scena, ma tutto ciò che gli Oblivion sono in grado di fare: attori, comici, cantanti, mimi e imitatori, chi più ne ha più ne metta. 
Nel nuovo spettacolo, accompagnati al pianoforte dal maestro Denis Biancucci, viene messa in scena la tragedia del titolo ironizzando sul plot e dissacrando i testi di Verdi e di Shakespeare in una serie di botta e risposta musicali che, fin dall'inizio, continuano per tutto lo spettacolo in un climax incessante.  
È possibile raccontare la leggendaria gelosia del moro di Venezia (un "Nutello", forse cugino del bresciano "Balotello") attraverso Elio e le storie Tese, i Queen, Lucio Battisti e le colonne sonore Disney, solo per citare alcune delle musiche, rigorosamente dal vivo, utilizzate? Per gli Oblivion non solo è assolutamente possibile, ma è l'unico modo plausibile, quello in cui eccellono e che li ha resi famosi e apprezzati da ogni tipo di pubblico teatrale. 
La storia di Othello, in realtà, è solo il fil rouge dello spettacolo: è vero che ne è l'oggetto, ma è anche il pretesto per i numerosi, sorprendenti ed esilaranti quadri che mettono in luce le evidenti doti dei protagonisti e che "fanno" lo spettacolo. Attraverso le canzoni, le parodie e le imitazioni si ironizza sul teatro in generale: sull'essere attore, sulla finzione, sui metodi di interpretazione e sulle entrate  dei vari personaggi che evidenziano il loro grado di importanza. 
Tra gag più attinenti ed altre che concedono piacevoli digressioni divertendo senza distrarre, i cinque Oblivion offrono uno spettacolo che è completo, regalando sorrisi e risate con battute, alcune più impegnate, altre più popolari, che rivelano grande cultura ed un approfondito studio alle spalle: oltre al piano di Iago, anche il loro è perfettamente riuscito.