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giovedì 22 ottobre 2015

"Dark Places": il doloroso ritorno di Libby nei suoi luoghi oscuri

di Emanuela Andreocci

Soggettiva, interno notte, pixel sgranati. "Ti voglio bene Libby, ti voglio bene topolina".
Così inizia Dark Places - Nei luoghi oscuri di Gilles Paquet-Brenner, così inizia il tormento interiore di una donna (Charlize Theron) che, ormai grande, pensa di essersi lasciata alle spalle gli incubi di quella terribile notte nella quale morirono madre e sorelle. 
Libby, però, non si è mai realmente ripresa: diffidente verso tutto e tutti, vive di stenti, il suo unico sostentamento è dato dalla generosità delle persone che negli anni le hanno offerto affetto e sostegno economico e dai proventi del suo libro. Ma le disgrazie, come le mode, passano: la sua, risalente ormai a 25 anni fa, deve cedere il posto a quelle nuove e i soldi non arrivano più come un tempo. Decide, allora, di accettare l'offerta di Lyle (Nicholas Hoult), un ragazzo, apparentemente psicopatico e potenzialmente pericoloso, che invece si dimostra essere solo un grande appassionato di crimini insoluti. Presidente del Kill Club (formato da altri membri "risolutori" tra cui professionisti non più esercitanti), è convinto che la deposizione di Libby sulla colpevolezza del fratello Ben (Corey Stoll da adulto, Tye Sheridan da ragazzo) non sia vera. Qualcosa non quadra, ed in prigione potrebbe esserci un innocente.

Libby, estremamente rancorosa nei confronti del fratello ("Dai 7 anni in poi ho visto Ben solo nei lampi di memoria: una presenza malvagia in una casa stregata"), si sforza di assecondare la pazzia del gruppo esclusivamente per questioni economiche, ma poi comincia ad avere anche lei stessa dei dubbi. La presa di coscienza della donna progredisce insieme alla tensione, che diventa sempre più palpabile. Il processo, però. è estremamente doloroso: è necessario infatti tornare con la memoria nei luoghi oscuri della mente, luoghi ad alto rischio. Ed ecco che spuntano fuori altre persone con cui è necessario tornare a confrontarsi: il padre che li ha abbandonati da piccoli ("Immagino quanto dica di me il fatto che mio padre viva in una discarica") e Diondra (Chloe Grace Moretz), la ragazza di Ben dell'epoca di cui sapeva ben poco, anzi niente.

Tratto dall'omonimo romanzo di Gillyan Flynn (autrice di Gone Girl - L'amore bugiardo), Dark Places riporta con la memoria ad un thriller investigativo di altri tempi, ormai caduto in disuso, ma recuperando il genere lo rinnova e lo rende originale. La Theron interpreta magistralmente Libby: la sua bellezza (che ovviamente non può non trapelare) cede il passo alla durezza del suo carattere, ostentato anche da un abbigliamento mascolino e rock che le fa da armatura verso il mondo esterno che l'ha così tanto ferita. Hoult (cha dal piccolo Marcus Brewee di About a Boy ne ha fatta di strada) dopo Mad Max: Fury Road si ritrova nuovamente a lavorare con l'attrice in maniera convincente. La scrittura è pulita e lineare, racconta gli eventi aggiungendo sempre un tassello in più verso la risoluzione del caso, in un crescendo di pathos e partecipazione. La scelta estetica - anch'essa dal sapore rétro - di rendere immediatamente riconoscibili passato e presente è funzionale alla causa e aiuta lo spettatore a comprendere meglio la protagonista e la vita che ha dovuto subire.

Nelle sale dal 22 ottobre. Da non perdere.

mercoledì 21 ottobre 2015

“Io che amo solo te”: commedia fresca e solare sull’amore e il matrimonio

di Silvia Sottile

Ambientato nella splendida cornice pugliese di Polignano a mare, con le sue case bianche arroccate a picco sull’Adriatico, Io che amo solo te racconta la storia di un matrimonio, di un amore del presente e uno del passato. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Luca Bianchini, un bestseller che ha venduto oltre 200.000 copie. A portarlo sul grande schermo il regista Marco Ponti, amico di lunga data dello scrittore.

Damiano (Riccardo Scamarcio) e Chiara (Laura Chiatti) stanno per sposarsi: tra i preparativi, gli imprevisti dell’ultimo momento e l’arrivo dei parenti, sono colti da dubbi e incertezze più o meno prevedibili. Però forse i veri protagonisti, veicolo di profonde emozioni, sono la mamma di lei (Ninella – Maria Pia Calzone) e il padre di lui (Don Mimì – Michele Placido) che da giovani avevano vissuto un grande amore ma non si erano potuti sposare perché la ricca famiglia di Mimì non voleva avere nulla a che fare con quella di Ninella, rea di avere un fratello (Franco – Antonio Gerardi) in carcere. In un piccolo paese del sud il matrimonio di Damiano e Chiara diventa dunque l’evento dell’anno dove può succedere davvero di tutto…  e in soli tre giorni!

Ponti ha il merito di costruire una commedia brillante, solare, una ventata d’aria fresca nel panorama cinematografico italiano, avvalendosi di un’ottima sceneggiatura, supportata da un cast di primo livello. Salta subito all’occhio la straordinaria intesa tra Scamarcio e la Chiatti, una coppia ormai più che rodata a livello professionale, con un fantastico feeling che traspare dallo schermo. E naturalmente non c’è bisogno di sottolineare la bravura di Michele Placido e Maria Pia Calzone che ci regalano i momenti più commoventi della pellicola. Gli aspetti divertenti di questo film corale sono invece affidati ad alcuni dei nostri migliori comici, tutti perfettamente in parte: la  sempre simpaticissima Luciana Littizzetto (zia Dora), sposata con Dino Abbrescia (zio Modesto), Dario Bandiera (nel ruolo del truccatore Pascal) ed Enzo Salvi (Giancarlo Showman). Importante, ai fini della trama, anche il personaggio di Orlando (Eugenio Franceschini), fratello dello sposo.

Tra servizi fotografici, problemi all’abito da sposa, improvvise e toccanti rivelazioni, giri in vespa e tuffi in mare sullo sfondo del meraviglioso paesaggio di Polignano sferzato dal maestrale, il pubblico ha modo di ridere di cuore ma anche di riflettere, lasciandosi coinvolgere dai momenti più intensi, che riescono a commuovere con delicatezza. La Puglia (e il Sud in generale) ne esce a testa alta, come un luogo in cui si crede ancora ai valori tradizionali ma vi è molta più apertura mentale rispetto a quanto si possa pensare.

La musiche di Gigi Meroni meritano di essere menzionate perché si sposano alla perfezione con l’alternarsi di emozioni nel corso della storia, la colonna sonora è ulteriormente impreziosita dalle note della canzone Io che amo solo te (che dà appunto il titolo al romanzo e al suo adattamento cinematografico) di Sergio Endrigo, interpretata per l’occasione da Alessandra Amoroso nella scena sicuramente più commovente e significativa del film. La regia dinamica e la scrittura impeccabile fanno sì che il ritmo non cali mai.


Io che amo solo te, nelle nostre sale dal 22 ottobre, è una commedia fresca e solare, che sa tanto di estate e di tempi passati, quasi anni ’60. Grazie all’ironia, al mix di emozioni e a un pizzico di nostalgia, si rivela un film brillante e molto godibile.

martedì 13 ottobre 2015

"Woman in gold" e la memoria storica dell'Europa

di MsLillaRoma

Una distinta signora americana di nascita austriaca, Maria Bloch-Bauer sposata Altmann, affronta il proprio passato e quello del suo paese di origine chiedendo la restituzione di cinque preziosi dipinti illegittimamente sottratti alla sua fa

miglia ebrea dai conquistatori tedeschi con il beneplacito austriaco. 
Una storia vera attraverso cui lo spettatore è gradevolmente accompagnato dalla regia delicata di Simon Curtis (Marilyn) e dalla bravura di una impeccabile ed ironica Dame Helen Mirren (Premio Oscar per The Queen) e da Ryan Reynolds nel ruolo del giovane ed inesperto avvocato di origini austriache che aiuta Maria Altmann. La sinergia tra i due attori di questa coppia inusuale è palpabile come suggerisce il regista Simon Curtis in sede di conferenza stampa a Roma: «Aver messo insieme Helen Mirren - che desideravo dirigere da molto tempo - con Ryan Reynolds è stato fantastico perché lo spirito, il calore e l'umorismo che si sente nel film sono frutto della loro alchimia: sebbene non si fossero mai incontrati prima, hanno immediatamente lavorato bene insieme aggiungendo molto di loro stessi in ogni scena; per me, come regista, è stato eccezionale».

In questo film, come in Marilyn, anche i ruoli minori sono affidati ad attori di alto livello e la rappresentazione complessiva ne guadagna notevolmente: Katie Holmes è la moglie dell'avvocato Reynolds, Daniel Bruhl è il giornalista che aiuta concretamente i due austro-americani. Straordinari sono i caratteristi che interpretano la famiglia austriaca tra cui spicca la giovane Maria interpretata da Tatiana Maslany alla grande prova per l'inevitabile confronto con la meravigliosa Mirren.

La storia si svolge nel presente degli anni novanta con flashback degli anni trenta caratterizzati da una imponente ricostruzione scenografica, tra cui l'incantevole appartamento dei Bloch-Bauer. È un film in cui passato e presente si incontrano mettendo in contrapposizione la vecchia Europa con Vienna ed il nuovo mondo con Los Angeles, nuova patria di Maria, confronto sapientemente mediato dalle scelte linguistiche. I flashback riportano al periodo antecedente la seconda guerra mondiale quando l'Austria fu annessa alla Germania e il partito nazista prese il controllo del paese distruggendo la comunità ebraica, che occupava ampi spazi della società benestante ed era culturalmente elevata. La famiglia Bloch-Bauer era, per l’appunto, colta e benestante: il padre musicista, lo zio collezionista d'opere d'arte e mecenate, la zia musa di Gustav Klimt che la dipinse nel capolavoro “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, opera nota per molti anni come "La donna in oro" (da qui il titolo Woman in Gold) per celare sia l'illegale appropriazione dell'opera che il legame con i veri proprietari ebrei.

Questa pellicola rappresenta una memoria storica in cui pesa la resistenza dei paesi europei di fare mea culpa e risarcire le vittime di ingiustizie peraltro dimostrate e ben documentate. In ultimo, in ogni caso, saranno tre giudici austriaci a deliberare sulla questione, una scelta saggia. Le opere di Klimt sono ad oggi esposte al pubblico presso la Neue Galerie di New York.

La memoria di ieri mostra l'umanità al presente. E sul valore del ricordare, la Signora Mirren rimarca, sempre in sede di conferenza stampa, come l'interpretare Maria le abbia permesso di «tornare all'epoca dei miei genitori, un periodo buio di storia che continua ad apparire incomprensibile nonostante la realtà attuale ci mostri la situazione dei profughi siriani o quello che è successo in Rwanda o tra la Serbia e la Croazia. Poichè questi eventi non sembrano avere una fine, allora fare un film su questo è importante per ricordare».

In sala dal 15 ottobre.

giovedì 8 ottobre 2015

“Hotel Transylvania 2”: pronti per un’altra mostruosa avventura?

di Silvia Sottile

A partire dall’8 ottobre tornano al cinema i simpatici mostri già protagonisti di Hotel Transylvania (2012). Questo secondo capitolo inizia esattamente là dove era finito il primo: Dracula ha finalmente aperto agli umani il suo esclusivo hotel riservato ai mostri ed ha accettato il fatto che sua figlia Mavis (una vampira) sposasse lo stravagante Johnny (un umano). Ed ecco che arriva anche un nipotino, Dennis, per la gioia di tutti. Solo che a preoccupare Drac c’è il fatto che al piccolo non siano ancora spuntati i canini: e se non avesse ereditato i geni da vampiro e fosse solo umano come il papà? Mavis, mamma ansiosa e iperprotettiva (che mette in sicurezza l’hotel a misura di bambino) in tal caso preferirebbe trasferirsi in California dai genitori di Johnny. Dracula non può permettere che sua figlia e il suo adorato nipotino lascino l’hotel Transylvania, dunque non gli resta che approfittare della temporanea assenza di Johnny e Mavis per organizzare un tour di iniziazione mostruosa (una sorta di corso di formazione per mostri) per far uscire il lato vampiresco di Dennis (e i canini, ovviamente). 
In questo  viaggio on the road si fa accompagnare dai suoi fidatissimi amici mostri, tutti personaggi che già ben conosciamo dal primo film: Frankenstein, Murray la Mummia, Wayne il Lupo Mannaro e Griffin l’Uomo Invisibile. A complicare il tutto sopraggiunge (sul finale) un nuovo personaggio, un villain di gran classe: l’anziano e tradizionalista padre di Dracula, il temibile vampiro Vlad che non accetta gli umani, figuriamoci il fatto che il suo bis nipotino non sia di sangue puro!

Hotel Transylvania 2 (campione di incassi negli Stati Uniti), come ogni sequel che si rispetti, ripropone i vecchi personaggi con qualche new entry fondamentale e ci fa immergere in una nuova mostruosa avventura, ancora più folle, più colorata e più divertente.

Il messaggio di fondo è sempre lo stesso: accettare ciò che è diverso da sé. Ma dimenticate i film della Pixar o DreamWorks con una profonda morale e sottotesti specifici per gli adulti, qui l’animazione targata Sony punta soprattutto al divertimento e il pubblico di riferimento è costituito principalmente dai bambini. I simpatici mostri danno vita a innumerevoli gag esilaranti che fanno ridere di gusto. La comicità è assicurata dalla presenza di Adam Sandler (già voce originale di Dracula) come co-sceneggiatore. Il piccolo Dennis, con una criniera di ricci rosso fuoco, è adorabile, e il bisnonno Vlad (doppiato in originale dal grande Mel Brooks) garantisce un minimo di dinamismo ad una pellicola altrimenti troppo buonista. Sicuramente è un film corale, ci sono innumerevoli personaggi e tutti (più i mostri che gli umani, in effetti) hanno il loro spazio, rimanendo sempre Dracula il protagonista principale.

Graficamente e tecnicamente ci troviamo di fronte ad un prodotto d’alto livello, dinamico, coloratissimo, vivace, sgargiante, quasi fumettistico, grazie alla passione del regista Genndy Tartakovsky per l’animazione esagerata e alla ricerca della maggior espressività possibile.

Concludiamo col doppiaggio italiano: ottimo il lavoro di Claudio Bisio (Dracula), Cristiana Capotondi (Mavis), Davide Perino (Johnny) e Paolo Villaggio (Vlad). 

Hotel Transylvania 2 è un film per tutta la famiglia, intrattiene piacevolmente adulti e bambini. Si consiglia, se possibile, di vedere prima il capitolo precedente perché le storie sono strettamente collegate tra loro.

mercoledì 7 ottobre 2015

Cercando "Life"

di MsLillaRoma


Al suo quarto film dopo ControlThe American La spia - A most wonted man, con Life Anton Corbin torna alla sua prima passione, la fotografia, e ci racconta la storia di uno squattrinato fotografo in cerca della sua arte, svilito nei panni di paparazzo tra Los Angeles e New York, e della sua amicizia con James Dean.

1955, Dennis Stock, 26 anni, divorziato con un figlio di 7 anni con cui non ha quasi rapporti, insegue per mezza America un ancora sconosciuto James Dean due settimane prima dell'uscita de La Valle Dell'Eden, il primo film che aprì all'attore la strada verso la notorietà e segnò un cambiamento nella cultura popolare: da divo a idolo, soprattutto, delle adolescenti. Ma il film racconta anche la storia di un'amicizia inusuale tra predatore e preda, il fotografo e la celebrità, ed è un incontro tra bisogni. Il mondo del cinema ne è lo sfondo. Dennis cerca la poesia negli occhi di questo giovane attore che si propone per ruoli inconsueti, entrambi vivono profondi conflitti e mostrano stridenti contraddizioni; si apprestano a vivere insieme un'esperienza che cambierà la loro vita, in meglio per Stock che vivrà fino a ottant'anni lavorando per la Magnum, meno per Dean che morirà sette mesi dopo in un incidente d'auto. Le foto di Stock finiranno sulla rivista Life.

Tutto il film, quindi, ruota intorno alla coppia Stock/Dean interpretata da Robert Pattinson, divo dei nostri giorni, e Dane DeHaan, attore di grande talento, assai prolifico anche se meno noto al grande pubblico. Una bella coppia in sintonia: entrambi gli attori sono credibili, presuntuosi quanto basta, bravi nel creare il Dean introspettivo ed attraente così come uno Stock ossessionato dalla realizzazione di sé. Entrambi confusamente inseguono la loro missione: per Dean recitare e per Stock fotografare e farne un'arte. 

Una prova coraggiosa per Dane DeHaan quella di interpretare un divo eternamente giovane, indimenticato ed indimenticabile, così come non passa inosservata la soddisfazione di  Pattinson nell'impersonare davvero bene gli odiati paparazzi che lo inseguono ovunque nella realtà di tutti i giorni. Un piccolo ruolo per Alessandra Mastronardi che continua a macinare ruoli all'estero dopo Woody Allen (From Rome with Love), qui nei panni della giovane amante di Dean, l'attrice di origine italiana Pier Angeli;  Ben Kingsley (Gandi, Hugo Cabret) non passa inosservato nel ruolo di Jack Warner della Warner Bros. 

Un film meritevole, biografico in modo originale e quasi storico trattando la rivoluzione mediatica che caratterizzò la seconda metà degli anni cinquanta e che ebbe tra i suoi più rilevanti protagonisti James Dean.

Life esce nelle sale l'8 ottobre.



“Poli Opposti” che inevitabilmente si attraggono

di Silvia Sottile

Max Croci, regista di cortometraggi, fa il suo debutto cinematografico con una sofisticata commedia sentimentale. Poli Opposti è infatti (senza alcun dubbio) una storia romantica. Come nella più classica delle tradizioni i due protagonisti, diversissimi tra loro, che inizialmente addirittura non si sopportano, finiranno inesorabilmente per avvicinarsi e innamorarsi.  Stefano Parisi (Luca Argentero) è un terapista di coppia che ha appena lasciato la

moglie Mariasole (Anna Safroncik). Claudia Torrini (Sarah Felberbaum) invece è un temibile avvocato divorzista, detta “la iena”, nonché mamma single di Luca (Riccardo Russo). I due, diametralmente opposti, si detestano, ma si ritrovano a lavorare sullo stesso pianerottolo, complice anche Alessandro (Giampaolo Morelli), fratello di Claudia e vecchio amico di Stefano. Tra inconvenienti lavorativi (i clienti dell’una vanno dall’altro e viceversa), scontri e battibecchi, l’antipatia iniziale si trasforma in attrazione reciproca, fino all’inevitabile  e prevedibile lieto fine.  


Lo spunto di partenza è interessante ma le promesse iniziali vengono mantenute solo in parte. Purtroppo la sceneggiatura è il punto debole: scontata, banale, ma soprattutto priva di mordente e a tratti poco credibile. La leggerezza che si respira, che in piccole dosi sarebbe stata una ventata d’aria fresca, è forse eccessiva e soprattutto dispiace che il filo della storia si perda facilmente perché l’occhio viene spostato troppo spesso su personaggi di contorno non particolarmente necessari né funzionali alla trama. Vero è che il piccolo Luca si rivelerà il cupido della situazione ma alcune scene sembrano ispirarsi un po’ troppo alle fiction televisive. Si nota principalmente la mancanza di comicità, di quelle battute brillanti che generalmente fanno volare una commedia di questo tipo, che aspira a somigliare ai grandi classici hollywoodiani. Qualcuna c’è, anche divertente, ma ne sarebbero servite di più. Dal punto di vista romantico invece c’è tutto, pure troppo: cuoricini, rose rosse, San Valentino, fuga a cavallo sulla spiaggia, ballo notturno e bacio sotto la pioggia… ma sognare in grande è un ingrediente indispensabile ai film d’amore e quindi possiamo perdonare il regista per l’uso (e l’abuso) di tutti questi cliché. Poi se la location è una Roma by night, con i monumenti illuminati, sempre splendida nonostante sia stata immortalata in innumerevoli film, allora il romanticismo ci sta tutto. E attivando una temporanea sospensione della realtà  (al cinema possiamo concederlo) ci si può godere un sogno ad occhi aperti. Sempre dalla commedia sentimentale americana del passato (quella alla Hawks e Cukor, per intenderci) è ripreso anche il look sofisticato e molto chic degli abiti, fin troppo glamour ma tutto sommato adeguato allo status sociale dei protagonisti.


Dicevamo dunque che Poli Opposti , al cinema dall’8 ottobre, è in parte un’occasione mancata anche perché gli attori principali sono decisamente bravi e simpatici e salta subito all’occhio un’ottima chimica tra la Felberbaum e Argentero, che non sarà certo Cary Grant ma incarna perfettamente l’ideale romantico dell’immaginario femminile ed ha fascino da vendere! Ovviamente con uno script migliore, atto a valorizzare le potenzialità del cast e dell’idea di partenza, staremmo raccontando tutto un altro film.

martedì 6 ottobre 2015

“Black Mass”: Johnny Depp è l’ultimo gangster

di Silvia Sottile

Black Mass – L’ultimo gangster racconta fatti realmente accaduti, parla di personaggi reali partendo dagli anni '70 fino a coprire un arco temporale di circa trent’anni. Johnny Depp interpreta magistralmente il famigerato e spietato gangster James “Whitey” Bulger, per anni il secondo maggior ricercato dall’FBI dopo Osama Bin Laden. 
La storia racconta l’ascesa di Bulger da piccolo criminale locale a numero uno di Boston, grazie soprattutto allo scellerato patto concluso proprio con l’FBI: nella Boston meridionale (“Southie”) dell'epoca, l’agente John Connolly (Joel Edgerton), appena rientrato nella sua città natale, facendo leva sulla loro infanzia trascorsa insieme nelle strade del quartiere, persuade il criminale irlandese Jimmy Bulger (Depp) a collaborare con i federali per eliminare la mafia italiana, nemico comune. Il dramma prende corpo proprio a causa di questa assurda alleanza che, ormai fuori controllo, consente a Bulger di far fuori i suoi rivali, eludere la legge, consolidare il potere, portare a termine i propri sporchi affari e diventare il criminale più temuto di Boston, nonché uno dei gangster più pericolosi e fuori di testa nella storia degli Stati Uniti.

Il regista Scott Cooper ha diretto Black Mass (tratto dall’omonimo libro scritto dai giornalisti Dick Lehr e Gerard O’Neill che per primi investigarono sulla vicenda portandola alla luce) con un piglio sicuro e deciso, riuscendo nel difficile compito di mostrare sugli schermi un realistico spaccato della criminalità bostoniana e di tutte le dinamiche di potere sottostanti. Questa credibilità – acuita indubbiamente dal fatto di aver girato realmente a Boston ricreando gli ambienti del passato con una cura dei dettagli e una meticolosità fuori dal comune – non risparmia nulla, lasciando emergere un’efferata violenza (a tal punto che il film è stato vietato ai minori) e l’estrema crudeltà di cui si sono macchiati Bulger e i componenti della sua banda (tutto d’altronde drammaticamente necessario nell’economia della pellicola). 

A tratti emerge anche un lato umano del protagonista, come ad esempio nei rapporti con la compagna, il figlio e l’anziana madre e in particolare il legame col fratello Billy (Benedict Cumberbatch) che ha scelto una strada decisamente opposta a quella di Whitey, quella della politica, diventando il Senatore più potente dello stato. 
Black Mass, dunque, oltre ad indagare i rapporti di forza della criminalità di Boston, ne tratteggia anche le trame psicologiche che muovono i personaggi. Emblematico a questo proposito il ruolo dell’agente Connolly, la cui ambizione lo porta a stringere un patto col diavolo e poi a diventarne succube.

Nonostante le eccessive protesi facciali per restituire la somiglianza col noto gangster rischiano di comprometterne l'espressività, la prestazione di Depp è straordinaria, si è calato perfettamente nel ruolo, centrando i caratteri fondamentali del gangster, dalla postura alla tracotanza, all’efferatezza: crudele, spavaldo, feroce, pazzo. Eppure umano. Il tutto senza rischiare minimamente di mitizzare questo criminale, ma mostrandolo per quello che era. D’alto livello anche l’interpretazione di Edgerton in un ruolo molto difficile e sfaccettato come quello dell’agente corrotto dell’FBI. Si mostrano all’altezza anche Cumberbatch e gli altri componenti del cast: Kevin Bacon, Jesse Plemons, Peter Sarsgaard, Dakota Johnson, Corey Stoll, David Harbour, Rory Cochrane, Julianne Nicholson, Adam Scott e Juno Temple. Segnaliamo un po’ di professionalità italiana in questo film: la scenografa Stefania Cella, vincitrice del David di Donatello per il suo lavoro ne La grande Bellezza di Paolo Sorrentino.


Black Mass – L’ultimo gangster, nelle nostre sale dall’8 ottobre, riesce a tracciare un credibile ritratto dello spietato Jimmy Bulger mostrando al contempo un silenzioso rispetto per le vittime della sua follia assassina.  

giovedì 1 ottobre 2015

“Sopravvissuto – The Martian”: epica allo stato puro!

di Silvia Sottile

Ridley Scott è tornato. Il regista cult che ci ha regalato capolavori cinematografici indimenticabili come Alien, Blade Runner, Thelma & Louise e Il gladiatore (giusto per citarne qualcuno) è di nuovo in forma smagliante. Sopravvissuto – The Martian, tratto dal romanzo L’uomo di Marte (bestseller auto pubblicato on-line dall’informatico Andy Weir) è un film epico, spettacolare,  intelligente, con una storia forte e una narrazione che sfrutta al meglio sia i dialoghi che la potenza visiva e quella emotiva.

Mark Watney  (interpretato da un Matt Damon in grande spolvero) è un astronauta che, durante la missione Ares 3,  viene considerato morto in seguito a una forte tempesta di sabbia e abbandonato su Marte dal suo equipaggio capitanato da Melissa Lewis (Jessica Chastain). Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Ferito, con scarse provviste alimentari e un’altra serie di problematiche, Watney deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per rimanere vivo e segnalarlo. Sulla Terra intanto la NASA – coadiuvata da un team dei migliori scienziati internazionali – lavora instancabilmente per cercare di riportare “il marziano” a casa, mentre i suoi compagni tentano un’audace, e quasi impossibile, missione di salvataggio.

La lotta dell’uomo contro la natura ostile e la voglia di esplorare i confini sconosciuti sono temi cari al cinema e ancor prima alla letteratura fin dalla notte dei tempi: dalle avventure di Ulisse a Robinson Crusoe. Mark Watney  può infatti essere visto come un moderno naufrago che si ritrova da solo su un pianeta inospitale a una distanza infinita da casa e per non morire deve assolutamente evitare lo sconforto e darsi da fare con coraggio. Deve reagire, sia attivamente che psicologicamente. In un elogio della scienza e delle conoscenze tecniche (che possono davvero salvarti la vita), Watney attinge alla sua competenza di botanico (e scienziato) e sfrutta tutto ciò che ha a disposizione nel migliore dei modi con coraggio, creatività e intelligenza. La speranza e l’ottimismo non lo abbandonano mai, così come l’ironia (fondamentale per non cadere nella disperazione).
  
Proprio l’ironia è uno dei punti di forza di una sceneggiatura già impeccabile, lineare e mai noiosa, che consente di coinvolgere il pubblico durante tutti i 130 minuti che non

pesano minimamente. Il ritmo è sempre intenso e dinamico, senza battute di arresto, la narrazione procede spedita con il supporto di dialoghi brillanti; la regia è precisa e senza sbavature, proprio in grande stile. Non manca un pizzico di leggerezza adatto a smorzare i toni e la preoccupazione, consentendo così di non appesantire l’atmosfera già carica emotivamente. 

Da sottolineare che anche dal punto di vista tecnico e scientifico (c’è una reale collaborazione della NASA) la precisione è massima: siamo ancora naturalmente nel campo della fantascienza ma molto più vicini alla realtà di quanto possa sembrare. L’aspetto visivo gioca un ruolo importante ed infatti è stato curato alla perfezione: la fotografia (di Dariusz Wolski) è mozzafiato, sia per quanto riguarda le sequenze nello spazio sia soprattutto per i colori caldi e le tonalità rossastre utilizzate nelle immense distese sabbiose di Marte  (in realtà le scene sono state girate nel deserto di Waidi Rum in Giordania, mentre gli interni nei Korda Studios a Budapest). Merita un plauso incondizionato la splendida colonna sonora, pienamente coinvolgente, composta da noti brani di disco music anni ’70 - ‘80.

Per un curioso scherzo del destino Matt Damon e Jessica Chastain si erano già ritrovati a lavorare insieme in Interstellar, ma qui siamo molto lontani dall’atmosfera di Nolan: The Martian è molto più vicino ad un Cast Away ambientato nello spazio, all'epopea americana (in positivo) di Apollo 13 e a Gravity di Cuarón. C’è anche un piccolo e divertente (per gli appassionati) riferimento a Il signore degli anelli.

Del cast stellare (tutti danno il meglio, dagli astronauti al team di scienziati) fanno parte anche Jeff Daniels, Chiwetel Ejiofor, Sean Bean, Kate Mara, Michael Peña, Kristen Wiig e Sebastian Stan. 

Sopravvissuto – The Martian ha in sé tutta l’epica delle grandi avventure e merita di essere vissuto in 3D. Pronti a partire per  Marte? Dal 1° ottobre al cinema.