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mercoledì 30 settembre 2015

“Padri e figlie” e la paura di amare

di Silvia Sottile

Padri e Figlie (Fathers and Daughters) è un film americano di Gabriele Muccino. Il regista romano torna a Hollywood dopo il successo dei due progetti con Will Smith (La ricerca della Felicità e Sette anime ) e il passo falso di Quello che so sull’amore. Con Padri e figlie Muccino ritrova il suo

modo di essere, di raccontare una storia, di emozionare; si vede infatti (ed è un bene) la sua riconoscibile mano.

Il racconto si svolge su due piani storici diversi, lontani nel tempo ma che si intersecano tra loro. La trama infatti si sposta avanti e indietro tra la fine degli anni '80 e i giorni nostri. Nel 1989 Jake Davis (Russell Crowe) è un noto scrittore (vincitore del premio Pulitzer) che, rimasto vedovo, cerca di crescere la figlioletta Katie (Kylie Rogers) nel miglior modo possibile, lottando contro un grave disturbo psichiatrico che lo costringerà ad affidare temporaneamente la bambina alla zia Elisabeth (Diane Kruger). 25 anni dopo, Katie Davis (nella versione adulta interpretata da Amanda Seyfried) vive ancora a New York, è una splendida donna che aiuta i bambini a risolvere i loro problemi, ma continua a combattere i suoi demoni personali, dovuti alla sua infanzia tormentata: non riesce ad impegnarsi in una storia d’amore preferendo semplici avventure, almeno finché non incontra Cameron (Aaron Paul)…

Indubbiamente Muccino sa come regalare emozioni e confeziona un bel dramma commovente che tocca nel profondo cuore e anima. Riesce anche nel difficile compito di dosare bene le varie fasi temporali senza che una emerga troppo sull’altra e al contempo la pellicola non perde in coesione e continuità, mantenendosi sempre fluida e coinvolgente. La già ottima sceneggiatura di Brad Desch viene perfezionata dal tocco sapiente del regista e soprattutto dalla sua sensibilità. Non mancano alcune “tipiche” scene presenti anche nei suoi film italiani che si rivelano sempre e comunque funzionali alla trama così come anche la colonna sonora ad opera di Paolo Buonvino (all’ennesima collaborazione con Muccino) dà il suo prezioso contributo.

Un grande punto di forza di Padri e figlie è il cast, ricco di premi Oscar. Russell Crowe (Il Gladiatore, A beautiful mind) esprime ancora una volta tutto il suo talento in un ruolo molto difficile, coadiuvato da una bravissima (oltre che incredibilmente somigliante alla Seyfried) Kylie Rogers nei panni di Katie bambina, così giovane, eppure già straordinariamente espressiva. Invece nell’arco temporale contemporaneo brilla Amanda Seyfried (Les Misérables, Letters to Juliet) che recita con intensità una parte davvero delicata che rischiava di alienarle le simpatie del pubblico ma l’attrice riesce a creare profonda empatia proprio facendo leva sulle fragilità del suo personaggio. Buona la chimica con Aaron Paul (lo ricordiamo nella serie tv Breaking Bad). Arricchiscono ulteriormente un film già di ottimo livello altri grandi attori, anche solo per ruoli secondari: troviamo infatti Diane Kruger, Jane Fonda, Octavia Spencer, Bruce Greenwood, Janet McTeer e Quvenzhané Wallis.

Gabriele Muccino realizza un film che emoziona, toccando le corde giuste per commuovere il pubblico con una storia credibile, intensa e appassionante, che coinvolge e tiene incollati allo schermo per due ore; una storia sulla vita, sull’amore, sul rapporto padre-figlia, sull’elaborazione del lutto, sulla paura di amare e lasciarsi andare per timore di essere abbandonati. Difficile trattenere le lacrime.

Padri e figlie, nelle nostre sale dal  1° ottobre (a dicembre uscirà negli Stati Uniti), ci ricorda che ciò che siamo dipende in gran parte da quello che abbiamo vissuto nella nostra infanzia.

martedì 29 settembre 2015

“Io e lei”: una “normale” storia d’amore tra due donne

di Silvia Sottile

Dopo Viaggio da sola (2012), Maria Sole Tognazzi vuole fortemente tornare a lavorare con la straordinaria Margherita Buy. L’occasione si presenta subito, questa volta in coppia con Sabrina Ferilli che sembra approdata ad una seconda giovinezza professionale dopo il film premio Oscar La grande bellezza (2013) di Sorrentino.

Ogni riferimento (in quanto a ispirazione) a Il vizietto di papà Ugo, non è per niente casuale, come la stessa regista ammette con emozione durante la conferenza stampa romana. Io e lei è un film che racconta con delicatezza (forse per la prima volta in Italia) una storia d’amore tra due donne mature che vengono da percorsi diversi e convivono da 5 anni: Marina (Sabrina Ferilli), ex attrice, ora nel commercio enogastronomico, è una donna esuberante, sicura della sua sessualità, mentre Federica (Margherita Buy) è architetto, ha un figlio ormai adulto (Bernardo – Domenico Diele), un ex marito (Sergio – Ennio Fantastichini), è riservata e si vergogna ancora di esternare in pubblico i suoi sentimenti.  La crisi vera e propria avviene in seguito al tradimento di Federica con un uomo (Marco – Fausto Maria Sciarappa). Ne segue tutto il percorso interiore delle due donne, insieme e singolarmente, per riflettere sulla propria vita, sull’amore, sul loro rapporto e su cosa vogliono davvero. Soprattutto, la domanda più urgente a livello emotivo è: dove e con chi si trova la felicità?

Si tratta dunque di un film sentimentale in piena regola, narrato con le lenti della commedia. Si ride di cuore e si riflette, attraversando con sapienza tutte le tipiche fasi delle commedie romantiche, ma non per questo la pellicola perde in tono né in freschezza, merito della solida sceneggiatura e della regia che affronta la storia col cuore, con garbo, e in punta di piedi. Quello che ci viene mostrato non è l’eccezionalità del rapporto tra queste due donne né tanto meno il film indugia (come il recente La vita di Adele, presentato a Cannes nel 2013) su scene di sesso, tutt’altro: quello che emerge è la normalità di una tenera storia d’amore, di vita condivisa tra due persone (indipendentemente dal loro sesso) che si amano e vivono insieme la loro quotidianità. Tanto che ad un certo punto, man mano che la storia si sviluppa, quasi ci si dimentica che si tratta di due donne. Questa normalità non è assolutamente a discapito della storia, che si mantiene credibile e si evolve in maniera fluida, con coraggio, dinamismo ed estrema delicatezza, regalandoci momenti di sicura comicità e altri di profonda commozione: si ride e ci si emoziona con Marina e Federica. 

Unico piccolo neo è che gli uomini ne escono un po’ male, vittime di qualche cliché (ironico) di troppo, ma sarà poi un aspetto così fuori dalla realtà? Ottima la prestazione delle attrici protagoniste: la Buy conferma ancora una volta di essere la migliore attrice italiana contemporanea e la Ferilli, con la sua innata simpatia, si mostra all’altezza. Le due, insieme, sono irresistibili. Impeccabile Ennio Fantastichini, nonostante il suo sia solo un ruolo di secondo piano, ma tutto il cast di contorno regge davvero bene.


Io e lei, al cinema dal 1 ottobre, si fa guardare con piacere e naturalezza, ma non nasconde una sua anima politica: forse in un paese arretrato (da questo punto di vista) come l’Italia è ora di far qualcosa per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali ed è quanto regista e cast auspicano (neanche troppo velatamente) sentendosi partecipi con questo contributo culturale.


venerdì 25 settembre 2015

"The Transporter Legacy" Acrobazie in Costa Azzurra

di MsLillaRoma

Acrobatico viaggio accanto ad un autista ex-militare (il personaggio) ed ex-nuotatore (l'attore, Ed Skrein). L'atletico Frank in perfetto completo Dior nero, con lo sguardo duro, serissimo, mai un sorriso, sfreccia su un'Audi costosissima per le vie di Montecarlo trasportando donne bellissime. 
The Transporter Legacy si colloca in linea con la serie Transporter, in cui un autista viene pagato per trasportare qualunque cosa, tipicamente illegale, senza sapere nè chiedere nulla, solo i soldi. Ambientato in Costa Azzurra, il film sfrutta tutti gli standard dei film d'azione in rocambolesche avvincenti sequenze con ritmo serrato. 

Il produttore Luc Besson ed il regista e collaboratore di lunga data Camille Delamarre, volevano un film più complesso dei precedenti della serie e al film d'azione hanno aggiunto ulteriori elementi: le donne. Ciononostante, la storia è semplice: una banda di ladre bellissime, ed ex-prostitute, ingaggia un bel autista per una fuga acrobatica dopo una rapina, coinvolgendo sia lui che il di lui padre (casualmente una simpatica spia dei servizi segreti, Ray Stevenson) in una vendetta personale contro la mafia russa che sfrutta donne comprate sin da bambine e ridotte a prostitute di lusso. 
Le fughe, gli inseguimenti, i salti nel vuoto e le sparatorie si susseguono alternati da fugaci intercorsi amorosi e dialoghi pigri. I personaggi sono potenzialmente affascinanti, bella l'idea di un protagonista che rifiuta le armi e combatte con qualunque altro strumento dalle pietre ai bastoni! 

Ed Skrein, visto nel pluripremiato Trono di Spade, si è sottoposto ad una lunga preparazione atletica per imparare ad eseguire le coreografie dei combattimenti tra i quali spicca il combattimento a due su una roccia a picco sul mare, ripresa da un elicottero. L'elemento innovativo del film rispetto ai precedenti della saga sono le signore, come detto; le loro storie sono dure fotografie di quotidiana crudeltà, ma qui ne manca una vera rappresentazione. Il passato dei personaggi emerge esclusivamente da dialoghi/monologhi didascalici fino al lieto fine eccessivo e non aiuta l'idea ironica della mancia all'autista!

Un film pigro chiaramente pensato per gli adolescenti, gradevolmente diseducativo e con una storia con molte potenzialità non sfruttate, sebbene compatibile con gli standard dei film d'azione per videogiochi.


The Transporter Legacy esce nelle sale il 24 settembre.

giovedì 24 settembre 2015

“L’esigenza di unirmi ogni volta con te”: Bocci e Gerini travolti dalla passione

di Silvia Sottile

Il regista Tonino Zangardi porta sul grande schermo il romanzo da lui stesso scritto e pubblicato alcuni mesi fa da Imprimatur (RCS). In sede di conferenza stampa Zangardi ci rivela di aver preso spunto da un articolo di cronaca nera, ovvero il caso di una donna che (sul punto di essere uccisa) pugnala a morte il marito.

L’esigenza di unirmi ogni volta con te è dunque in primo luogo un dramma passionale, un tentato “femminicidio” che finisce, seppur all’opposto, comunque in maniera tragica; ma è anche un thriller che nella seconda parte della pellicola si sviluppa on the road e naturalmente, come si può ben immaginare, ci sono scene bollenti, piuttosto esplicite, ad alto tasso erotico.

Giuliana (Claudia Gerini) conduce una vita normale – piuttosto anonima – in provincia: fa la cassiera in un supermercato, è sposata con Martino (Marc Duret), uomo poco passionale e molto preso dal lavoro (è il “mago del fotovoltaico”). Un giorno due malviventi tentano una rapina nel supermercato dove Giuliana lavora e lei viene salvata in extremis da Leonardo (Marco Bocci), un affascinante poliziotto che ha i suoi problemi alle spalle (ancora traumatizzato dal tradimento dell’ex-moglie, trovata a letto con suo fratello). Nonostante il tentativo di resistere all’attrazione reciproca, tra i due nasce una passione irrefrenabile che li porta inevitabilmente l’uno nelle braccia dell’altra, fino a compiere scelte estreme pur di rimanere insieme. Questo amore ci viene presentato più come una passione fisica, necessaria (“l’esigenza” del titolo, appunto), che spinge Giuliana a confessare il tradimento al marito, e poi a colpirlo per legittima difesa, dopo la sua violenta reazione. Da lì la fuga con Leonardo, via dal passato, via dal piccolo paese del Sud, attraverso strade e campi di girasoli, ma davvero l’amore vince su tutto? Non sempre, anche perché è impossibile sfuggire ai sensi di colpa.

Questa passione tormentata, condita da parecchie scene di sesso, manca però di quel pathos, quella sensualità che l’avrebbero fatta sentire più vera: magari sarebbe stato auspicabile far vedere di meno ma far “sentire” di più a livello emotivo. Oltretutto la sceneggiatura si rivela piatta, a tratti priva di senso logico e quindi ne risente la credibilità nel suo insieme. Un film d’autore (come questo aspira ad essere) necessita anche del fondamentale supporto da parte degli attori. Da questo punto di vista la Gerini si rivela molto brava a misurarsi con un ruolo diverso da quelli in cui l’abbiamo vista solitamente e si mette in gioco dando tutta se stessa, ma non può reggere tutto sulle sue spalle. Discreta la prestazione di Bocci (siamo ormai abituati a vederlo nei panni di un esponente delle forze dell’ordine). Invece stona parecchio Marc Duret, completamente fuori parte, tanto da essere involontariamente comico nella scena più tragica della pellicola.

A risollevare un andamento spesso pesante e noioso ci pensano i meravigliosi paesaggi pugliesi (primo fra tutti il mare, ma anche la campagna e i campi di girasoli) con quei colori vivi che ti entrano dentro; e poi ci sono le coinvolgenti musiche dei Mammooth (alla seconda collaborazione con il regista romano dopo il successo di Sandrine nella pioggia) che ben si sposano con l’esplosione di sentimenti narrati e vissuti sullo schermo.


In fin dei conti L’esigenza di unirmi ogni volta con te, nelle nostre sale dal 24 settembre, non lascia indifferenti e spinge a riflettere sulle nostre esistenze. Peccato per i difetti che lo rendono un po’ un’occasione mancata.

giovedì 17 settembre 2015

“Tutte lo vogliono”: Chi? Che cosa? Siamo sicuri?

di Silvia Sottile

Alessio Maria Federici (regista e sceneggiatore) torna a scegliere Enrico Brignano come protagonista di un suo film dopo averlo diretto in Stai lontana da me (2013) in coppia con Ambra Angiolini.
Tutte lo vogliono rientra nel classico filone delle commedie italiane che ci accompagneranno per tutta la stagione cinematografica. Nel caso specifico ci troviamo di fronte ad un film leggero, che parte come commedia degli equivoci per risolversi in storia romantica.


Orazio (Brignano) è uno sciampista per cani che lavora per un egiziano appassionato di soap opera. Chiara (Vanessa Incontrada) è una donna in carriera (fa la “food designer”, ovvero prepara cibo bello da guardare, nell’azienda che gestisce insieme alla madre) e sembra avere avuto tutto dalla vita, specie quando ritrova Raffaello (Giulio Berruti), il suo primo amore adolescenziale, bello come un tempo ma adesso molto più disponibile. Qual è allora il problema? Chiara è anorgasmica e questo le provoca frustrazione. Decide allora di seguire il consiglio dell’amica Francesca (Ilaria Spada) e incontrarsi con un G.P.S. (Generoso Partner Sessuale) per provare piacere. Da qui nasce l’equivoco: scambia Orazio per il G.P.S.

Si gioca dunque in modo piuttosto prevedibile sui doppi sensi a sfondo sessuale, riuscendo a strappare qualche risata nella prima parte della pellicola. Tutto è comunque molto politically correct: si preferisce non osare, ma così vengono completamente a mancare quei guizzi che avrebbero reso più dinamica la pellicola.
La storia infatti perde quasi subito di interesse, a causa di una sceneggiatura abbastanza scontata, priva di spessore narrativo, che sa di già visto innumerevoli volte. La trama si evolve in maniera totalmente prevedibile, le svolte sono ovvie dal primo all’ultimo minuto, prive di mordente, fino all’immaginabile ma  fantascientifico lieto fine: come si fa a preferire Brignano a Berruti?! Oltretutto manca anche il ritmo, spezzato troppo spesso dall’escamotage di far raccontare tutta la storia a posteriori dallo stesso Brignano (versione Ace Ventura) ad una scimmia.

Lo spunto iniziale alla Harry ti presento Sally non funziona come dovrebbe anche perché manca completamente la chimica tra Brignano e la Incontrada, che presi singolarmente fanno il loro dovere ma insieme, come coppia, non coinvolgono affatto. Berruti perfetto nel ruolo di bello e impossibile, bene anche Ilaria Spada: nonostante si tratti di un piccolo ruolo conferma quanto di buono aveva fatto vedere qualche mese fa in Se Dio vuole.


Tutte lo vogliono è al cinema dal 17 settembre.

"We Are Your Friends": la nuova coscienza musicale di Zac Efron

di MsLillaRoma

We Are Your Friends è l’ultima prova di Zac Efron, attore californiano balzato alla ribalta con High School Musical alcuni anni fa e idolo delle giovanissime. Un film generazionale con storia d’amore e d’amicizia incluse. Cole, un giovane DJ sconosciuto, sogna di diventare famoso e di far ballare folle sterminate in tutto il mondo dalla sua console, si accompagna a tre amici d’infanzia, l’animale Mason, il vanitoso Ollie e il coscenzioso Squirrel. I quattro passano tutta la settimana nella San Fernando Valley per poi catapultarsi il fine settimana nei club di Hollywood, musica, ragazze, alcol e droga. Vivono facendo lavoretti saltuari, vendendo droga e facendo affari immobiliari ovvero raggirando persone in difficoltà a causa della recessione e togliendogli l’unica cosa di valore, la casa.
Cole si sente di non appartenere a questa periferia di Los Angeles, incontra un DJ più anziano, James, che gli mostra un nuovo mondo di lusso e, notandone il talento, lo aiuta a scoprire un nuovo modo, veramente suo e originale, di produrre musica elettronica, gli mostra veri strumenti musicali e pezzi di alta fedeltà rari. Le sue orecchie ascoltano musica vera. Nel mentre, Cole si innamora della fidanzata/assistente di James, Sophie. Questa nuova coscienza musicale e la sbandata per la bella ragazza - ex-studentessa di Stanford che sembra uscita da una pubblicità - spinge Cole lontano dai suoi amici e dalla Valle. C’è l’immancabile lieto fine e nonostante il dolore e la perdita, il finale è veramente politically correct… Cole ripara l’irreparabile. 

Indubbiamente, molti aspetti della storia sono prevedibili, ciononostante il film è divertente e ben impacchettato, esteticamente gradevole, curato tecnicamente e profondo musicalmente. Belle le scene psichedeliche che sfruttano l’animazione per mostrare l’effetto delle droghe nonché la grafica pop che rende i tecnicismi del suono comprensibili e perfino interessanti. Un piccolo documentario sulla musica elettronica, su come indurre le persone a ballare, sul campionamento e la bellezza dei suoni che ci avvolgono nel quotidiano.

Dal regista YouTuber di Catfish, Max Joseph, non potevamo aspettarci di più che questo rispettoso film sul mondo dance attuale di Los Angeles (e non solo). Orecchiabile, creativo e non banale, vagamente anni ’80 che attira lo sguardo ma che, il giorno dopo, non lascia molto. Sono comunque stati 90 minuti di divertimento! Un po’ come i fine settimana del sempre carino e pulito Efron e dei suoi amici, ottimi caratteristi, nomi da ricordare: Alex Shaffer, Jonny Weston, Shiloh Fernandez.


Colonna sonora interessante, frutto della collaborazione di vari produttori della scena musicale elettronica mondiale che hanno, in vari modi, contribuito a rendere realistico questo piccolo ritratto musicale. 

We Are Your Friends esce nelle sale il 17 settembre.

martedì 15 settembre 2015

“Inside Out” – spazio alle Emozioni!

di Silvia Sottile

Cosa passa per la testa di una ragazzina alle soglie dell’adolescenza? È questa la domanda da cui è partito tutto e a cui cerca di dare una risposta Inside Out, ultima fatica targata Pixar e distribuita dalla Disney, dal 16 settembre nelle nostre sale. E se il binomio Disney-Pixar è sinonimo di elevata qualità e ottima fattura, Inside Out, presentato al Festival del Cinema di Cannes e osannato dalla critica, ne è ulteriore conferma. Il regista premio Oscar Pete Docter (Up, Monsters & Co.) – suo anche il soggetto originale e la sceneggiatura – sviluppa questa idea decisamente innovativa, quasi rivoluzionaria, dando corpo (e animazione) alle emozioni , le vere protagoniste del film.

Riley ha 11 anni, vive in Minnesota, ha una bella famiglia, genitori presenti e affettuosi, un’amica, gioca a Hockey: è una bambina felice. E questo grazie alle 5 Emozioni che lavorano alacremente nel centro di controllo all’interno della sua mente. Al quartier generale è l’effervescente e solare Gioia (un’esplosione di energia ed allegria) a garantire la felicità di Riley, Paura si occupa della sicurezza, Rabbia assicura il senso di equità e giustizia e Disgusto impedisce a Riley di avvelenarsi sia fisicamente che socialmente. Tristezza non sa bene quale sia il suo ruolo, ma del resto non è chiaro neanche agli altri. 
Quando Riley si trasferisce a San Francisco con la famiglia, le Emozioni cercano di aiutarla in questo momento difficile di cambiamento ma inavvertitamente Gioia e Tristezza finiscono in un angolo remoto della sua mente, portandosi dietro i ricordi più importanti, così rimangono alla guida solo Rabbia, Disgusto e Paura. Gioia e Tristezza si troveranno ad attraversare luoghi sconosciuti come la Memoria a Lungo Termine, Immagilandia, il Pensiero Astratto e la Cineproduzione, nel disperato tentativo di tornare al Quartier Generale e da Riley, incontrando simpatici e memorabili personaggi (come Bing Bong, l’amico immaginario di Riley, un adorabile elefante rosa fatto di zucchero filato) e vivendo una bella e importante avventura, caratterizzata da momenti divertenti e altri emozionanti, imparando a collaborare. Perché la vita non può essere solo gioia ma bisogna riuscire a convivere con la tristezza e accettare tutte le emozioni che fanno parte di noi.

Colpiscono la delicatezza e la precisione con cui viene trattato un argomento così astratto, il modo in cui viene sondata la mente umana e vengono personificate le emozioni. L’idea è originale, la storia è narrativamente profonda e coerente, supportata dalle immagini che parlano da sole. Non c’è bisogno di sottolineare la perfezione dell’animazione e la cura dei dettagli, sia tecnici che psicologici, al servizio dell’espressività dei personaggi, realizzati in modo abbastanza stilizzato per dar corpo alle emozioni in modo realistico. 
Le musiche del premio Oscar Michael Giacchino sono intense, perché riguardano la sfera personale, in un mix variegato ma armonioso. 
E naturalmente, in perfetto stile Pixar, si alternano momenti davvero esilaranti ad altri molto commoventi, così come ci sono diversi  livelli di lettura: i più piccoli si divertiranno in un tripudio di colori vivaci e sgargianti, con Rabbia che prende fuoco o Bing Bong che piange caramelle. Mentre gli adulti leggeranno più a fondo, passando dalle risate alle riflessioni. Sì, perché Inside Out mette al centro le emozioni… ed emoziona sul serio, rivelandosi allegro e toccante, divertente e commovente al tempo stesso. Assolutamente consigliato, per tutta la famiglia, per grandi e bambini.


Arriverà ancora un Oscar in casa Disney-Pixar per questo nuovo capolavoro che ha già conquistato il pubblico di tutto il mondo?