Parliamo di...

mercoledì 26 novembre 2014

"I Pinguini di Madagascar": la maledizione del marketing

di Roberto Caravello

Distribuito dalla Dreamworks, arriverà nelle nostre sale il 27 novembre  I Pinguini di Madagascar, l’atteso spin-off sugli amatissimi animali “carini e coccolosi”,  per la regia di Eric Darnell (creatore dell’omonima serie animata sui Pinguini, co-regista di tutta la serie di Madagascar e anche dell’interessante Z la formica) e Simon J. Smith (regista del pessimo Shrek 4D e del peggiore Bee Movie).

La storia, inizialmente, ingrana bene: troviamo sulla bianca banchisa artica Skipper, Kowalski e Rico che, ancora cuccioli, rischiano le piume per salvare un uovo (che si scoprirà essere il piccolo Soldato) scivolato via dalla colonia. Una volta lontani dal gruppo, i nostri decidono di darsi all’avventura e al pericolo per tutta la vita. Successivamente, con un balzo molto in avanti, veniamo trasportati proprio alla fine dell’ultimo Madagascar e tutto si complica: durante una delle loro scorribande, infatti, gli intrepidi protagonisti vengono rapiti da un polipo malvagio di nome Dave (chiamato nei modi più strani da Skipper, incapace di ricordane il nome). Il tentacolato antagonista vuole vendicarsi di loro e dell’intera specie dei pinguini: gli animali in smoking , infatti, da sempre sono stati la causa della sua cacciata dagli zoo di tutto mondo perché lo adombravano con la loro “carineria”. I Pinguini, però, riescono a scappare e vengono salvati dall’improvvisa apparizione di 4 agenti segreti del Vento del Nord (una specie di MI6 con la tecnologia dei MIB) proprio sulle tracce di Dave.

Da qui in poi (questi sono soltanto i primi 20 minuti della pellicola!) la trama diventa un susseguirsi di azione e siparietti comici senza pietà: si esce dalla sala frastornati dalla miriade di scene, poco utili e poco chiare. Persino lo svolgimento e la soluzione finale sono di difficile comprensione e poco interessanti, sembra che tutto sia stato scritto in fretta e sotto stress! La consequenzialità logica della vicenda va praticamente a farsi benedire a vantaggio delle scene comiche, che però non arrivano al pubblico quanto dovrebbero.
Le battute, infatti, risultano troppo semplici, quasi stupide, e le trovate divertenti che avevano caratterizzato i pinguini negli altri film, come i piani allucinati di Skipper o le invenzioni strampalate di Kowalski o i ka-boom di Rico (qui non pervenuto), sono i grandi assenti ingiustificati di questo blockbuster. Per di più anche il protagonismo di Soldato (che ad ogni occasione buona cerca di dimostrare ai suoi compagni di non essere soltanto "carino e coccoloso") non è ben sfruttato e la parabola del suo personaggio risulta banale e troppo prevedibile.

Questi ultimi Skipper, Kowalski, Rico e Soldato sembrano, quindi, quasi la caricatura dei veri Pinguini di Madagascar che le vecchie pellicole ci hanno insegnato ad amare: da parentesi comiche efficaci e puntuali inserite nella narrazione principale, sono diventati protagonisti insulsi e prevedibili, senza brio e senza mordente.

Novantadue minuti di risolini a denti stretti e imbarazzo. Niente applausi.

giovedì 13 novembre 2014

"Lo sciacallo" e la morte in-diretta

di Emanuela Andreocci

Esce oggi nelle sale italiane Lo sciacallo di Dan Gillroy, pellicola che vede come protagonista assoluto Jake Gyllenhaall nei panni di Lou Bloom, un logorroico psicopatico travestito da innocente ragazzo volenteroso e scaltro.
Il regista e sceneggiatore, per la prima volta dietro la macchina da presa per un film sul grande schermo, di certo sa non solo come utilizzarla al meglio, ma addirittura come riuscire ad enfatizzarne l'uso e le possibilità tanto da costruirci sopra un intero film. 

Protagonista, lo abbiamo già detto, è Jake Gyllenhaall: a 13 anni di distanza da Donnie Darko, l'attore ha dimostrato di avere talento e versatilità che, uniti ad una fisicità decisamente interessante ma allo stesso tempo alquanto particolare, gli hanno permesso di cimentarsi nei generi più disparati senza deludere le aspettative. 

I suoi occhioni da giovane in cerca di lavoro e le sue argomentazioni intelligenti si trasformano in breve tempo: lo sguardo diventa inquietante, le parole oppressive, esagerate, minatorie. Dall'arte della contrattazione passa velocemente a quella del ricatto, ed il gioco funziona e può andare avanti solo finché è lui a dettarne le regole. 
Lo spettatore assiste inerme ed inquieto, così come i suoi compagni di viaggio. Una telecamera, uno scanner radio e la folle incoscienza della mente criminale, infatti, bastano per trasformarlo velocemente nello sciacallo del titolo: arriva prima degli altri colleghi, anche del veterano Joe Loder (Bill Paxton), è sempre in prima linea ed il più vicino all' "oggetto" del servizio. Un simile "talento" trova immediato riscontro in Nina (Rene Russo), che oltre ad offrirgli lavoro e proficue ricompense alimenta il suo già insano ego, e spazio di sopraffazione sull'innocente Rick (Riz Ahmed), una marionetta al suo servizio. 

La morte fa audience: che sia in diretta, indiretta, accidentale o causata, poco importa. L'importante è che ci sia sangue, e che venga trasmesso la mattina presto. Spiega Gillroy: "I telegiornali delle TV locali si approfittano delle persone instillando un senso pervasivo di pericolo”. Questo è quello che muove il film, questo quello che muove Lou Bloom e la sua brama di successo e potere. 

Dal trailer ci si aspettava un film più d'azione, un thriller veloce dalle caratteristiche più familiari e comuni, invece Lo sciacallo spiazza completamente lo spettatore che si trova davanti ad un film che è tutto e niente: inseguimenti e il montaggio televisivo concitato vanno di pari passo con primi piani introspettivi e sequenze più riflessive, l'ansia e la tensione vanno a braccetto con l'ironia e, in alcuni casi, i sorrisi suscitati dai dialoghi paradossali, a tratti non sense. 

Difficile, anzi difficilissimo, stilare un giudizio sul film, Possiamo, però, esser certi su alcuni punti fondamentali: l'originalità del soggetto e dei dialoghi e l'interpretazione veramente notevole del protagonista maschile sono sicuramente dei punti di forza da non sottovalutare.
Di sicuro merita di esser visto.

mercoledì 12 novembre 2014

"Due giorni e una notte", l’arte del realismo.

di Roberto Caravello


Jean-Pierre e Luc Dardenne firmano la sceneggiatura e la regia di questa pellicola presentata in concorso al 67° Festival di Cannes, dove i due fratelli registi sono di casa: pensiamo infatti a Rosetta, altro film sul tema del lavoro e della pressione sociale, che ha ricevuto la Palma d’oro nell’ormai lontano 1999, e a Il ragazzo con la bicicletta del 2011 premiato col Gran Prix speciale della giuria. La nuova prova cinematografica dei Dardenne non è da meno delle precedenti, anche se ha avuto minor fortuna.

Sandra, moglie di Manu e madre di due figli, rischia di perdere il lavoro dopo essere stata in malattia alcuni mesi causa depressione. Quando, però, parzialmente guarita torna in fabbrica, il suo capo comunica agli altri sedici dipendenti che per poter mantenere il suo stipendio dovrà sospendere a tutti il bonus annuale di mille euro. Viene indetta così una votazione per decidere del destino di Sandra, che avrà a disposizione due giorni per incontrare ad uno ad uno tutti i suoi colleghi e convincerli a rinunciare al bonus per lei.

Questa, in poche parole, è la sinossi di un film davvero sorprendente, che con un inizio un po’ lento e in sordina, riesce pian piano a meritarsi  tutta l’attenzione di cui il pubblico può essere capace.
I registi, aiutati dai due protagonisti Marion Cotillard e Fabrizio Rongione (quest’ultimo presente nella maggior parte dei film dei Dardenne da Rosetta in poi), riescono con semplicità a raccontarci la vita vera, fatta di fragilità inspiegabili (i pianti continui di Sandra), di altrettante ingiustizie e di grazie inattese. Convincente anche il rapporto fra marito e moglie che è tacitamente messo a tema per tutta la pellicola con grande delicatezza e sincerità: ci mostra cosa voglia dire sostenersi a vicenda nel mondo di tutti i giorni, senza però risparmiarsi la verità e la durezza di ciò che ci circonda (e di noi stessi).

La grande sensibilità dei fratelli Dardenne, grazie anche all’occhio fresco e luminoso della fotografia, permette di condurre senza sbavature un plot tutto sommato semplice, quasi scarno, e a tratti davvero lento, senza però annoiare e facendoci sorridere anche delle nostre insicurezze (persino della depressione).

Dal 13 novembre nei cinema di Roma e Milano, dal 20 in tutte le altre sale italiane,