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mercoledì 27 aprile 2016

“The Dressmaker – Il Diavolo è tornato”: la vendetta di Kate Winslet

di Silvia Sottile

The Dressmaker – Il Diavolo è tornato, tratto dall’omonimo romanzo di Rosalie Ham (edito in Italia da Mondadori), può essere considerato un commedia nera che tuttavia racchiude al suo interno altri generi cinematografici. La regista stessa (l’australiana Jocelyn Moorhouse) ne ha curato la sceneggiatura, scritta pensando già all’attrice che avrebbe interpretato il ruolo principale, Kate Winslet.

Le vicende si svolgono in Australia, a Dungatar (un piccolo paese immaginario dell’entroterra), nel 1951: Tilly Dunnage (il premio Oscar Kate Winslet) torna, dopo anni passati in Europa, nel suo paese d’origine da cui si era dovuta allontanare a causa di un terribile evento di cui è ritenuta colpevole ma che lei non ricorda. Torna per stare accanto alla madre Molly detta “la pazza” (Judy Davis), per fare i conti col suo passato ma soprattutto per vendicarsi dell’ipocrisia e della falsità della gente di Dungatar. Come? Con i suoi meravigliosi abiti. Tilly, infatti, ha vissuto a Parigi dove ha perfezionato la sua abilità a cucire, è in grado di dar vita a vestiti all’ultima moda realizzati su misura e usati quasi come fossero armi contro i suoi detrattori, una battaglia a colpi di creazioni da sogno per smascherare anni di segreti e bugie. Altri due personaggi interessanti sono il bel giocatore di football Teddy McSwiney (Liam Hemsworth) – per  la serie “anche l’occhio vuole la sua parte”, del resto cosa c’è di meglio che ammirare Liam Hemsworth a torso nudo? – e soprattutto l’originale sergente Farrat (Hugo Weaving).

Già dai nomi degli attori protagonisti si evince che si tratta di una pellicola di qualità, scritta anche bene, soprattutto per i primi due terzi. The Dressmaker ha infatti un inizio scoppiettante e divertente, carico di ironia, humour  nero e una comicità grottesca che ben si sposa con la brillante recitazione delle due straordinarie protagoniste: le scene tra madre e figlia (bravissime la Winslet e la Davis) e il loro rocambolesco rapporto sono il fulcro del film, insieme alla stravaganza di Hugo Weaving in un ruolo simpaticissimo e convincente (che a tratti richiama la sua interpretazione in Priscilla, la regina del deserto). Gli abiti, poi, sono il pezzo forte. Si tratta di un personaggio a tutti gli effetti, anche tra i più importanti ai fini della trama: vestiti splendidi di ogni stoffa, taglio e colore, grazie all’impeccabile lavoro sartoriale delle due costumiste, Marion Boyce e Margot Wilson (che ha vestito esclusivamente Kate Winslet, una vera Diva).

In un film incentrato sulla vita in un piccolo paesino, in cui gli abiti e i colori hanno un ruolo così importante, non poteva essere da meno la fotografia che fin dalle prime immagini cattura positivamente l’occhio dello spettatore. D’altronde la professionalità di Donald M. McAlpine è ben nota. Tra i suoi lavori ricordiamo Moulin Rouge! (che gli è valso una nomination agli Oscar) e Romeo + Giulietta di William Shakespeare. Impeccabili anche musiche e scenografie che contribuiscono a creare la giusta atmosfera.

Ad un certo punto, ben oltre la metà del film, c’è un cambio di registro totalmente inaspettato: la commedia tagliente si fa all’improvviso dramma sentimentale con la pecca di qualche scelta discutibile e poco convincente di sceneggiatura che poteva essere evitata. Una in particolare, che stona. Si tratta forse di un pretesto necessario per un finale che si riallinea agli intenti iniziali, giustamente cattivo, grottesco, a tratti persino pulp e sopra le righe. Una conclusione decisamente azzeccata.


The Dressmaker – Il diavolo è tornato, nelle nostre sale dal 28 aprile, è una divertente commedia nera, che con ironia e umorismo non manca di sottolineare drammi umani e realtà pregne di cattiveria e ipocrisia. Regala indubbiamente due ore piacevoli e risate genuine anche se forse una durata di poco inferiore l’avrebbe reso quasi perfetto. 

martedì 26 aprile 2016

“Grotto”: una magica avventura nelle Grotte di Frasassi

di Silvia Sottile

Grotto – scritto, diretto e prodotto da Micol Pallucca – è stato presentato al Giffoni Film Festival, dove ha ricevuto una calorosa accoglienza da parte dei bambini di età compresa tra i sei e i nove anni che con i loro voti e il loro entusiasmo l’hanno portato alla vittoria nella sezione ELEMENTS +6.
La storia, rivolta naturalmente ad un pubblico di bambini, richiama alla lontana quei film d’avventura per ragazzi che vedevamo negli anni ’80, tipo I Goonies.

Tre ragazzini costringono un loro compagno di classe a una prova di coraggio per entrare a far parte del loro gruppo: recuperare un teschio in una teca dentro una chiesa abbandonata. Improvvisamente il pavimento cede e il bambino viene inghiottito da una voragine. I tre rimasti fuori non sanno cosa fare e pensano alla fuga, ma la coraggiosa sorellina di uno di loro - che li ha seguiti - si cala nella voragine, trascinando con sé anche gli altri. I cinque si ritrovano in immense e labirintiche grotte nel ventre della montagna, senza via d'uscita. Sarà Grotto, una buffa creatura simile ad una stalagmite animata, ad aiutarli.

Partiamo dai pregi dell’opera, come ad esempio l’idea interessante di creare un prodotto tutto italiano rivolto ad un target di ragazzi, soprattutto ai più piccoli. Bravi anche i giovanissimi attori scelti per i ruoli dei cinque protagonisti: Christian Roberto (la piccola star del musical Billy Elliot), Gabriele Fiore e gli esordienti Iris Caporuscio, Samuele Biscossi e Leonardo Similaro.

L’avventura (e dunque anche gran parte del film) si svolge in una meravigliosa location naturale, le Grotte di Frasassi, in provincia di Ancona, luogo davvero suggestivo ed emozionante, uno splendido scenario di origine carsica formato da un susseguirsi di cunicoli e grotte, enormi cavità in cui si possono ammirare straordinarie sculture naturali ed uno spettacolo mozzafiato di stalattiti e stalagmiti. È stato difficile girare all’interno di un luogo tanto bello quanto ostico ma ne è valsa la pena. Il direttore della fotografia (Maxime Alexandre) è riuscito ad illuminare perfettamente l’ambiente evitando di renderlo claustrofobico, anche a costo di edulcorare un po’ troppo l’atmosfera e le eventuali difficoltà patite dai ragazzi nel film, che rischia quindi di apparire inverosimile.

Veniamo, dunque, ai punti deboli della pellicola: di spirito d’avventura in stile Goonies ce n’è ben poco, si prova ad analizzare (in maniera piuttosto superficiale) le interazioni tra i bambini, l’amicizia, il bullismo, con un copione fin troppo prevedibile e uno svolgimento eccessivamente statico. Immaginiamo la difficoltà di girare in un luogo del genere, ma un po’ più di azione sarebbe stata gradita, considerato che i ragazzi di oggi sono abituati a ben altri effetti speciali. Risulta eccessivo anche il paragone con E.T.: il piccolo Grotto infatti è molto limitato nei movimenti, nelle espressioni e nell’interazione, troppo è ancora il gap tecnico con le pellicole americane da cui Grotto prende le distanze anche a livello di scrittura (semplicistica) e impostazione (edulcorando la realtà). L’unica cosa che divertirà tanto i bambini sarà il modo di esprimersi di questa buffa stalagmite animata: suoni gutturali, o meglio, rutti.

Nell’insieme Grotto rimane comunque un discreto prodotto italiano dedicato ai più piccoli, un primo interessante tentativo (riuscito solo a metà) di raccontare un’avventura con protagonisti esclusivamente bambini e naturalmente si rivela anche uno spot pubblicitario per la meravigliosa bellezza delle Grotte di Frasassi. Nelle nostre sale dal 21 aprile.

sabato 23 aprile 2016

“Truman – Un vero amico è per sempre”: un commovente addio

di Silvia Sottile

Dopo il trionfo in patria con ben 5 vittorie ai premi Goya (gli Oscar spagnoli) nelle categorie più significative e prestigiose (film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e attore non protagonista), Truman – Un vero amico è per sempre arriva nelle sale italiane a partire dal 21 aprile. Si tratta di un piccolo gioiello cinematografico che tocca il cuore grazie alla delicatezza con cui il regista Cesc Gay affronta il difficile tema della malattia (vista con gli occhi dell’amicizia) e alla straordinaria interpretazione di Ricardo Darìn e Javier Càmara.

Juliàn (Darìn), un affascinante attore argentino che vive da lungo tempo a Madrid, riceve la visita inaspettata di Tomàs (Càmara), un caro amico madrileno trasferitosi in Canada. Entrambi sanno che si tratterà di un addio, infatti Juliàn è malato terminale di cancro. Tomàs trascorrerà quattro giorni insieme a lui accompagnandolo in una serie di impegni delicati, facendo sentire solo l’affetto della sua presenza. In particolare, ciò che preoccupa maggiormente Juliàn è trovare qualcuno che possa occuparsi del suo fedele cane Truman, che ama come un figlio, quando accadrà l’inevitabile.


Tra momenti di humour e commozione, seguiamo gli incontri con le potenziali famiglie adottive (sempre sotto lo sguardo attento di Truman), le strazianti visite mediche, le serate a teatro e persino un improvviso viaggio ad Amsterdam. Attraverso le conversazioni e i silenzi tra i due protagonisti percepiamo l’intensa complicità che li lega a dimostrazione di come, nella vita, la vera amicizia sia più forte di ogni cosa.


La bravura di Gay sta soprattutto nel non cedere a banali stratagemmi o stereotipi che in genere portano il pubblico verso una lacrima facile, tutt’altro: si interroga sugli affetti nei momenti più difficili della vita con i toni della commedia.  E quando, infine, il pubblico piangerà (perché senza dubbio accadrà) saranno lacrime sane e genuine, scaturite da un naturale percorso emotivo.
Truman è un film davvero delicato, straziante, ma senza inutili fronzoli o lacrimevoli scene madri. Tutto scorre, va così come deve andare, e ciò che è emerge è il ritratto di una profonda amicizia che affronta il momento più difficile in assoluto, l’addio, in modo sincero e profondo. Sembra di osservare da vicino la loro esistenza, tutto è così vero e reale che porta alla mente anche le esperienze di questo tipo e le relative emozioni che ognuno di noi ha vissuto nella sua vita.


Il pregio principale della pellicola è di poter contare su due attori così bravi ed espressivi che riescono a trascinare il film con le loro interpretazioni misurate, fatte principalmente di dialoghi e sguardi che dicono più delle parole. Del resto ricordiamo Ricardo Darìn per il suo ruolo da protagonista nel film argentino di Juan José Campanella, Il segreto dei suoi occhi (2009), vincitore dell’Oscar come miglior film straniero nel 2010, mentre Javier Cámara ha lavorato con Pedro Almodòvar in Parla con lei (2002) e La mala educaciòn (2004).

Truman – Un vero amico è per sempre è un film commovente che tocca davvero l’anima e il cuore dello spettatore. Consigliato.

venerdì 15 aprile 2016

“Il Libro della Giungla”: versione live–action del classico Disney

di Silvia Sottile

A Jon Favreau (regista di Iron Man e Iron Man 2) è toccato il difficile e oneroso compito di portare sul grande schermo il rifacimento live–action del classico senza tempo Il Libro della Giungla. Operazione rischiosa quella della Disney che negli ultimi anni ha avuto risultati altalenanti nel dar vita a questo tipo di progetti. Ammettiamo colpevolmente che anche noi partivamo prevenuti ed invece abbiamo avuto il piacere di ricrederci completamente, trovandoci subito davanti ad uno spettacolo emozionante.

Il Libro della Giungla messo in scena da Favreau è più di un semplice remake: omaggia il classico di animazione che la Disney portò al cinema nel lontano 1967 (una sorta di testamento artistico dello stesso Walt Disney che morì poco prima della fine della lavorazione) ma riscopre anche i valori più profondi radicati nell’opera originale da cui le storie di Mowgli sono tratte, ispirandosi direttamente alla fonte, ovvero ai racconti di Rudyard Kipling, pubblicati per la prima volta nel 1894.
La trama è quella del classico romanzo di formazione con protagonista Mowgli, un cucciolo d’uomo cresciuto amorevolmente da una famiglia di lupi, dopo essere stato abbandonato nella giungla. Ma Mowgli è costretto a lasciare la giungla e la sua famiglia adottiva perché la tigre Shere Khan, segnata dalle cicatrici dell’Uomo, vuole eliminarlo per evitare che diventi una minaccia. Così Mowgli si imbarca in un’incredibile ed emozionante avventura nella giungla verso il villaggio degli uomini, ma anche alla scoperta di se stesso, guidato dal suo severo mentore, la pantera Bagheera. Nel corso del suo viaggio incontrerà lo spensierato orso Baloo ma anche creature selvagge non proprio amichevoli, come il pitone Kaa, dallo sguardo ipnotico e voce seducente, o il viscido King Louie che prova a costringere Mowgli a rivelargli il segreto del mortale e sfuggente fiore rosso, prerogativa dell’uomo e del suo ingegno: il fuoco.

Alla semplicità narrativa, merito di una storia lineare e al contempo avvincente, si sovrappone una meravigliosa realizzazione visiva che toglie il respiro, stupisce e affascina. Le immagini mozzafiato immergono lo spettatore in questa natura strabiliante, in una giungla rigogliosa e lussureggiante, curata fin nei minimi dettagli, tanto da sembrare vera pur essendo realizzata al computer grazie all’innovativa tecnica del fotorealismo. L’unico attore in carne ed ossa è l’esordiente, bravissimo ed espressivo Neel Sethi (Mowgli), perché anche gli animali (incredibilmente reali) sono frutto della CGI ad opera dello straordinario team degli effetti speciali, tra cui troviamo i creatori di Avatar, Vita di Pi e la trilogia de Il Signore degli Anelli. Per una volta ci troviamo infatti a consigliare caldamente la visione  in 3D, per immergersi totalmente in una magica avventura per gli occhi e per l’anima.

Il classico Disney viene così modernizzato, grazie alle nuove tecnologie, per far conoscere le avventure di Mowgli a una nuova generazione di bambini (i ragazzi di oggi purtroppo trovano piatta la vecchia animazione), strizzando però al contempo l’occhio ai nostalgici del passato: merito delle musiche di John Debney con l’inserimento di un paio di canzoni orecchiabili e divertenti, già presenti nella precedente versione. Chi non ricorda, ad esempio, Lo stretto indispensabile che, per l’occasione, è intonata dall’eclettico Neri Marcorè che presta la voce all’orso Baloo? Ottima nell’insieme la scelta dei talent italiani per un doppiaggio che non fa rimpiangere i grandi nomi della versione in lingua originale: Toni Servillo (Bagheera), Violante Placido (Raksha/mamma lupa), Giovanna Mezzogiorno (Kaa) e Giancarlo Magalli (King Louie). Voci che caratterizzano alla perfezione i tratti di questi animali parlanti ed espressivi.

Il Libro della Giungla mantiene dunque un’atmosfera vicina all’originale, senza stravolgere particolarmente la storia, aggiungendo a tratti lo spirito un po’ più cupo dei racconti di Kipling in un mix di allegria, divertimento e momenti di tensione per un’epica avventura di formazione, un emozionante percorso di crescita che porterà Mowgli alla scoperta di se stesso, del suo essere un uomo all’interno della giungla e del mondo degli animali, con i suoi valori e il suo senso di appartenenza.

La Disney fa sempre le cose in grande, soprattutto quando si tratta di prodotti per tutta la famiglia. Siamo certi che i genitori accompagneranno ben volentieri i figli in sala godendosi piacevolmente il film. Il Libro della Giungla è al cinema dal 14 aprile.

giovedì 14 aprile 2016

“Nemiche per la pelle”: commedia al femminile su una maternità inaspettata

di Silvia Sottile

Luca Lucini (Solo un padre, Tre metri sopra il cielo) dirige una gradevole commedia tutta al femminile, sceneggiata da Doriana Leondeff e Francesca Manieri (coautrice di Vergine Giurata di Laura Bispuri e Veloce come il vento di Matteo Rovere, attualmente in sala) a partire da un soggetto di Margherita Buy.

Le protagoniste di Nemiche per la pelle sono due donne completamente diverse tra loro, che non solo non hanno nulla in comune, ma addirittura si odiano. Eppure si ritrovano costrette dalle circostanze a condividere un’eredità molto particolare. Lucia (Margherita Buy) è una psicologa degli animali, progressista, fissata con l’alimentazione biologica, che crede negli spiriti e veste camicioni informi in fibra naturale; Fabiola (Claudia Gerini) è una ricca donna d’affari, arrivista e meschina, sempre arrampicata su tacchi altissimi e un po’ volgare, che pensa solo ai soldi e ai beni materiali. Una cosa che le accomuna, però, in effetti c’è: sono state sposate (una è l’ex moglie, l’altra l’attuale) con lo stesso uomo, Paolo, che muore improvvisamente (a inizio film) lasciando un’eredità inaspettata, un figlio avuto da una terza donna. Lucia e Fabiola, entrambe senza figli e poco inclini alla maternità, dovranno occuparsene insieme, non senza scontri, e trovare il modo di convivere tentando di conciliare le proprie diversità. Sarà naturalmente l’affetto per il piccolo Paolo jr (Jasper Cabal) a fare pian piano breccia nel loro cuore portandole finalmente a crescere e maturare. Sono dunque le due donne a tenere la scena, affiancate da due uomini relegati a comprimari: Stefano (Paolo Calabresi), l’avvocato di Paolo, e Giacomo (Giampaolo Morelli), il fidanzato di Lucia.

La regia di Lucini non è per nulla invadente e lascia carta bianca alla straordinaria chimica che si crea tra la Buy e la Gerini, due bravissime interpreti italiane che portano sullo schermo due donne diverse e complementari sia caratterialmente che a livello recitativo. Le loro performance si completano a vicenda regalando buffi e divertenti siparietti per una comicità garbata, mai volgare. Sono loro a reggere totalmente il film: Margherita Buy, nei panni di un personaggio ormai per lei abbastanza tipico che si è cucita addosso, dà di proposito uno spazio maggiore ad una strabordante e sorprendente Claudia Gerini, a tratti volutamente sopra le righe, ma senza mai cadere nella macchietta, vera trascinatrice della pellicola. Perfetti i tempi comici e interessante la scelta di raccontare con i toni della commedia un tema molto delicato come quello delle nuove famiglie che si vengono a creare per scelta o per necessità, evidenziando le difficoltà che possono sorgere nel crescere bambini piccoli che risentono molto della tensione che li circonda. Il messaggio positivo, forse un po’ troppo buonista (ma quando ci sono di mezzo i sentimenti, questa visione fa sempre bene al cuore) alla fine è proprio questo: la famiglia è il luogo in cui c’è affetto.

Le vicende sono ambientate a Roma, la Roma bene, quella degli attici di lusso e del quartiere Coppedè, ma possiamo facilmente perdonare il piccolo difetto di una visione un po’ troppo patinata della città visto che la pellicola in fondo funziona bene. Belle anche le musiche originali di Fabrizio Campanelli , mentre sui titoli di coda è piacevole ascoltare Piccoli Miracoli dei Tiromancino.

Nemiche per la pelle, nelle nostre sale dal 14 aprile, si rivela una godibilissima commedia, trainata da due brave attrici, che diverte e fa riflettere, in cui si ride ma anche ci si commuove.

mercoledì 13 aprile 2016

“Criminal”: action-thriller con Kevin Costner

di Silvia Sottile

Come recuperare i fondamentali segreti di un agente della CIA che è stato ucciso? È possibile impiantare la sua memoria in un altro uomo? Da questi interrogativi prende il via l’action-thriller di Ariel Vromen, regista israeliano famoso per aver diretto The Iceman (2013).

Criminal ha inizio con il brutale omicidio di Bill Pope (Ryan Reynolds) ad opera dell’anarchico Heimbahl (Jordi Mollà). Pope era un agente della CIA sul punto di stringere un accordo con l’hacker Jan Strook, detto “l’Olandese” ( Michael Pitt), in grado di mettersi al comando dell’arsenale militare degli Stati Uniti. Sulle sue tracce naturalmente anche il pericoloso gruppo terrorista guidato da Heimbahl, intenzionato a sfruttare questa falla del sistema per i propri scopi e distruggere il mondo. Il capo londinese della CIA (Quaker Wells/Gary Oldman) non può permettere che le informazioni top-secret di Pope vadano con lui nella tomba, contatta dunque il Dottor Franks (Tommy Lee Jones), un neurochirurgo anticonformista, per tentare un esperimento scientificamente innovativo: trasferire le sinapsi del cervello di Pope in un altro uomo e l’unico in grado di assorbirne i ricordi è un pericoloso detenuto nel braccio della morte, Jerico (Kevin Costner), nella speranza che il criminale possa portare a termine la missione di salvataggio. Ma a che prezzo? Il risultato infatti non è esattamente quello sperato: cosa può succedere nella mente di un folle criminale che non ha mai provato emozioni quando improvvisamente è assalito da ricordi e sentimenti che non sono i suoi?

Cast stellare quello selezionato da Vromen, che si rivela l’unico vero punto di forza del film: oltre al premio Oscar Kevin Costner (Balla coi lupi), protagonista assoluto, e ai già citati Tommy Lee Jones (Oscar per Il Fuggitivo), Gary Oldman (i tre si ritrovano a lavorare insieme 25 anni dopo JFK – Un caso ancora aperto di Oliver Stone), Ryan Reynolds, Michael Pitt, Jordi Mollà, troviamo anche Gal Gadot (attualmente in sala in versione Wonder Woman in Batman V Superman: Dawn of Justice) nei panni di Jill Pope (la vedova di Bill), Alice Eve (Marta Lynch) e Antje Traue (Elsa Mueller). Buone le interpretazioni, soprattutto quella di Kostner in un ruolo da cattivo piuttosto insolito per lui (il suo Jerico è comunque caratterizzato da una forte evoluzione, da criminale a eroe), fatta eccezione per il personaggio interpretato in Un mondo perfetto di Clint Eastwood (1993) a cui il regista ci confessa (in sede di conferenza stampa) di aver pensato.

La trama purtroppo non è particolarmente originale, tutt’altro. Solo pochi mesi fa è uscito nelle nostre sale Self/less (con lo stesso Ryan Reynolds e Ben Kingsley), molto simile come idea di partenza,  ma in generale la sceneggiatura risulta poco convincente e molto prevedibile, caratterizzata dalle tipiche argomentazioni e svolte narrative (non sempre logiche) di un classico thriller d’azione basato sulla lotta al cyber terrorismo, con l’aggiunta dell’aspetto medico fantascientifico in una sorta di richiamo a un Frankenstein moderno. Anche l’inserimento degli elementi emotivi e sentimentali risulta piuttosto slegato, troppo buonista e poco approfondito, così come il percorso di cambiamento del protagonista che appare decisamente superficiale.

Alla fine, tra numerose sequenze action ad alto trasso adrenalinico in una cupa Londra che fa da sfondo, musiche martellanti, qualche uscita involontariamente comica, momenti di eccessiva violenza gratuita, alternati ad un romanticismo inusuale e straniante, Criminal  si rivela un prodotto al di sotto delle aspettative: sembra l’ennesima occasione sprecata per far vedere qualcosa di innovativo e regala tutt’al più due ore di intrattenimento senza grosse pretese. Al cinema dal 13 aprile. 

lunedì 11 aprile 2016

“L’Età d’Oro”: surreale racconto meta-cinematografico

di Silvia Sottile

L’Età d’Oro è un sentito e commosso omaggio della regista Emanuela Piovano ad Annabella Miscuglio, donna affascinante nonché regista all’avanguardia negli anni ’70-’80, periodo in cui tra un film, un documentario ed una battaglia femminista, radunava intorno a sé un nutrito gruppo di artisti e appassionati di cinema, giovani amici che pian piano l’hanno “abbandonata” prendendo altre strade.

Nella pellicola della Piovano è Laura Morante ad interpretare il ruolo della protagonista, Arabella (figura che richiama esplicitamente Annabella), una pasionaria del cinema che lotta per tenere in piedi un’arena cinematografica che ha restaurato e che da anni programma quotidianamente con i film che più ama. Ma su quello schermo all’aperto vediamo anche delicati filmini “familiari” perché la sua più grande passione era quella di “documentare” tutto con una cinepresa. Una passione totalizzante che il figlio Sid (Dil Gabriele Dell’Aiera) non le ha mai perdonato perché avrebbe preferito una madre più attenta e affettuosa invece che una donna presa dalla sua arte a scapito di tutto il resto. Inizia forse a capirla quando ormai è troppo tardi, nel momento in cui, costretto a tornare in Puglia a causa di un drammatico evento, rientra in contatto con le emozioni della sua infanzia e i suoi ricordi. E dunque incontra gli altri personaggi, tutti raccolti per l’ultimo originale omaggio ad Arabella nella sua arena. Nel cast troviamo anche Gigio Alberti (Jean), Eugenia Costantini (Vera), Pietro De Silva (Don Sandro), Stefano Fresi (Alberto), Giulio Scarpati (Bruno) e Giselda Volodi (Rosaria), con l’amichevole partecipazione di Elena Cotta (Coppa Volpi  a Venezia nel 2013) e la partecipazione straordinaria di Adriano Aprà.

Se l’intento della Piovano era quello di ricordare una donna eccezionale, bisogna purtroppo ammettere che la personalità della Miscuglio non emerge nel modo desiderato, probabilmente a causa della costruzione del film, caratterizzato da una trama troppo frammentaria, uno stile molto particolare, difficile da comprendere, che non rende giustizia all’argomento trattato, né a quel tipo di cinema che vuole omaggiare. Ci troviamo indubbiamente di fronte ad una pellicola d’autore ma la regista, per quanto sempre originale e delicata, si fa prendere troppo la mano da elementi surreali, a scapito della logica, rendendo L’Età d’Oro un prodotto non facilmente catalogabile, strano, rarefatto, che spesso, data l’eccessiva lentezza, cade nella noia, anche perché onestamente non è semplice né immediato capire dove voglia andare a parare. 

Neanche il finale scioglie i dubbi sul senso complessivo di tutta l’opera, un racconto che nell’insieme non convince e non decolla mai. Spiace constatare che anche gli attori, per quanto bravi, si muovono un po’ spaesati e poco credibili davanti alla macchina da presa: supponiamo che sia un effetto voluto ma il risultato ottenuto confonde ulteriormente lo spettatore. Comunque a catalizzare l’attenzione è sempre la Morante.

L’Età d’Oro, presentato al BIF&ST 2016, si rivela uno sterile, surreale e soporifero esperimento meta-cinematografico che non riesce a trasmettere emozioni. Nelle nostre sale dal 7 aprile.

mercoledì 6 aprile 2016

“Una notte con la Regina”: deliziosa commedia inglese

di Silvia Sottile

Per il regista inglese Julian Jarrold non è una novità dar vita a piccoli gioielli cinematografici caratterizzati dall’abilità di romanzare con delicata fantasia e un pizzico di ironia personaggi storici realmente esistiti.  Dopo aver diretto nel 2007 il romantico Becoming Jane – Il ritratto di una donna contro, che prende spunto dalla vita della grande scrittrice inglese Jane Austen, Jarrold alza ulteriormente il tiro, ripetendo la fortunata formula addirittura con una giovane Regina Elisabetta II. E gli esiti sono altrettanto buoni, forse persino migliori.

Una notte con la Regina (A Royal Night Out) è una deliziosa commedia in stile tipicamente british in cui si mescolano sapientemente realtà e finzione. Le vicende si svolgono l’8 maggio 1945, è la Giornata della Vittoria, tutta Londra scende in piazza per festeggiare
la fine della Seconda Guerra Mondiale e per una volta, data l'occasione, anche le giovani Principesse Elizabeth (Sarah Gadon), futura Regina, e Margaret (Bel Powley) vorrebbero uscire ed unirsi alla folla festante. Riescono quindi a convincere il Padre, Re Giorgio VI (Rupert Everett) e la madre (Emily Watson) a partecipare a quella notte di festa, a patto di rimanere all’Hotel Ritz, scortate da due guardie reali. Fino a questo punto abbiamo una documentazione storica che conferma i fatti in modo abbastanza veritiero, da qui in poi, invece, entriamo nel campo dell’immaginazione, del “what if”. La nostra Margaret riesce a sgattaiolare fuori dall’hotel, mescolandosi alla folla e cacciandosi in mille situazioni improbabili. Sta alla sorella maggiore, la ben più responsabile Elizabeth, correrle dietro per tutta la notte e tirarla fuori dai guai, aiutata da un incontro casuale, il bell’aviere Jack (Jack Reynor). La cosa più divertente di questa rocambolesca notte immaginaria è proprio il fatto che le due principesse “in incognito” non avessero mai avuto prima di allora occasione di stare in mezzo alla gente del popolo. Porteranno dunque sempre  dentro di sé il ricordo di questa indimenticabile esperienza.

Jarrold dà vita ad una frizzante, romantica, colorata commedia, che nella sua freschezza ricorda Vacanze Romane e si ispira anche alle sofisticate commedie anni ’40, con dialoghi brillanti e davvero ben scritti. Ottima anche la ricostruzione storica della Londra del 1945, caratterizzata da incredibile accuratezza sia nei costumi che nelle scenografie. A parte gli esterni ben riconoscibili girati a Londra (sempre splendida, una  location ideale), il grosso delle riprese è avvenuto nella cittadina di Hull, dove si sono potuti ricreare alla perfezione, ma con più tranquillità (e costi minori), sia una strada principale che il dedalo di viuzze tipico di Soho. Le vivaci e coinvolgenti musiche di Paul Englishby contribuiscono a creare l’atmosfera allegra e festosa di quella notte speciale.

Perfetta la scelta del cast: ottima l’interpretazione della canadese Sarah Gadon  nei panni di una giovane e sognatrice Elizabeth; bene anche l’irlandese Jack Reynor; a catalizzare l’attenzione, però, rubando spesso la scena, è l’effervescente attrice londinese Bel Powley, nel ruolo di una scatenata e irresistibile Principessa Margaret, intenzionata a divertirsi il più possibile, tra equivoci e incontri dall’esito imprevedibile. Che dire dei reali? Per interpretare il Re e la Regina del Regno Unito potevano essere scelti solo due inglesi di gran classe: Emily Watson e Rupert Everett, impeccabili come sovrani ma anche genitori amorevoli. In particolare vediamo Re Giorgio VI alle prese con quel famoso discorso che valse l’Oscar a Colin Firth (ne Il discorso del Re) e possiamo assolutamente dire che Everett, con il suo aplomb regale, non sfigura affatto.

Una notte con la Regina, al cinema dal 7 aprile con Teodora film, è una deliziosa commedia inglese, una favola solare e spensierata che mette di buon umore ma riesce anche a commuovere nel finale. 

“Veloce come il vento”: un riuscito mix di adrenalina e sentimenti

di Silvia Sottile

Sembra un buon momento in Italia per il cinema di genere. Dopo lo straordinario successo di pubblico e critica (culminato con 16 nomination ai David di Donatello) ottenuto da Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, ecco che arriva in sala Veloce come il vento, terza regia per Matteo Rovere, che porta sullo schermo una storia familiare ambientata nel ruggente mondo dei motori.
Giulia De Martino (Matilda De Angelis) ha 17 anni e la velocità le scorre nelle vene: viene da una famiglia che da generazioni sforna campioni di corse automobilistiche. È un pilota di talento, nonostante la giovanissima età, e corre nel campionato GT sotto la guida del padre. Un giorno tutto cambia e si ritroverà  a dover crescere il fratellino Nico (Giulio Pugnaghi) e ad affrontare da sola la pista e la vita. Per non perdere la casa deve vincere il campionato e sarà dunque costretta a convivere col fratello maggiore Loris (Stefano Accorsi), un ex pilota di successo, ormai rovinato dalla tossicodipendenza, ma ancora dotato di una grande abilità al volante. I due saranno obbligati a lavorare insieme, in un susseguirsi di adrenalina ed emozioni che farà scoprire loro quanto sia complicato ma allo stesso tempo importante, essere una famiglia. Nel cast anche Roberta Mattei (Annarella, la compagna di Loris) e Paolo Graziosi (nel ruolo del meccanico Tonino).

L’abilità di Rovere sta nel far convivere le due anime del film, conciliando alla perfezione la storia umana, le emozioni della sfera familiare, con l’azione, la carica e la dinamicità del mondo delle corse. Il personaggio di Loris De Martino è liberamente ispirato alle reali vicende dell’ex-campione di rally Carlo Capone. Mentre Giulia rappresenta un po’ tutte quelle donne (e ce ne sono tante) che guidano su pista in un ambiente prettamente maschile. Ciò che si evince con forza è la grande passione che chi lavora in questo mondo mette in ciò che fa: tutti, dal primo all’ultimo, sono animati dall’amore per i motori. È davvero un peccato che non abbiano la stessa visibilità della Formula 1. Le scene di gara a tutta velocità sono molto realistiche, addirittura vere, essendo state girate nei weekend durante le gare del campionato GT. Difatti si respira a pieni polmoni l’adrenalina tipica delle corse, l’ideale per dare un ritmo intenso che si mantiene per tutta la durata del film facendo appassionare lo spettatore.

Per quanto riguarda i rapporti familiari l’evoluzione procede su binari piuttosto classici e collaudati ma senza perdere mai quei guizzi originali che lasciano il segno, ulteriormente valorizzati dalle magistrali interpretazioni dei protagonisti. Matilda De Angelis, infatti, al suo esordio cinematografico dopo l’esperienza televisiva di Tutto può succedere, è ben più di una promessa, reggendo da professionista un difficile ruolo di primo piano. Stefano Accorsi, d’altro canto, dà mostra di tutto il suo talento, dando vita ad un personaggio ricco di sfaccettature che per certi versi ricorda quello da lui stesso interpretato agli inizi della sua carriera in Radiofreccia di Luciano Ligabue e che gli era valso il David di Donatello (da notare che il produttore è sempre Domenico Procacci). L’attore bolognese si immedesima totalmente, anche nel fisico (ha dovuto perdere 11 kg), nel tossico e disperato Loris che dentro di sé ha ancora una grinta inaspettata.

Veloce come il vento è stato presentato in anteprima al BIF&ST 2016 ed è stato scelto per la terza edizione del progetto ADOTTA UN FILM promosso da 01 Distribution, Rai Cinema e Fandango per sostenere i giovani registi italiani, in partnership con i circuiti Uci Cinemas e The Space Cinema.  Il film sarà nelle nostre sale dal 7 aprile, in circa 300 copie. La qualità del prodotto è sicuramente all’altezza dei film “adottati” nel 2014 (Smetto quando voglio di Sydney Sibilia) e nel 2015 (Se Dio vuole di Edoardo Falcone).