di Silvia Sottile
L’Età d’Oro è un
sentito e commosso omaggio della regista Emanuela Piovano ad Annabella
Miscuglio, donna affascinante nonché regista all’avanguardia negli anni
’70-’80, periodo in cui tra un film, un documentario ed una battaglia
femminista, radunava intorno a sé un nutrito gruppo di artisti e appassionati
di cinema, giovani amici che pian piano l’hanno “abbandonata” prendendo altre
strade.
Nella pellicola della Piovano è Laura Morante ad
interpretare il ruolo della protagonista, Arabella (figura che richiama
esplicitamente Annabella), una pasionaria
del cinema che lotta per tenere in piedi un’arena cinematografica che ha
restaurato e che da anni programma quotidianamente con i film che più ama. Ma
su quello schermo all’aperto vediamo anche delicati filmini “familiari” perché
la sua più grande passione era quella di “documentare” tutto con una cinepresa.
Una passione totalizzante che il figlio Sid (Dil Gabriele Dell’Aiera) non le ha
mai perdonato perché avrebbe preferito una madre più attenta e affettuosa
invece che una donna presa dalla sua arte a scapito di tutto il resto. Inizia
forse a capirla quando ormai è troppo tardi, nel momento in cui, costretto a tornare
in Puglia a causa di un drammatico evento, rientra in contatto con le emozioni
della sua infanzia e i suoi ricordi. E dunque incontra gli altri personaggi,
tutti raccolti per l’ultimo originale omaggio ad Arabella nella sua arena. Nel
cast troviamo anche Gigio Alberti (Jean), Eugenia Costantini (Vera), Pietro De
Silva (Don Sandro), Stefano Fresi (Alberto), Giulio Scarpati (Bruno) e Giselda
Volodi (Rosaria), con l’amichevole partecipazione di Elena Cotta (Coppa
Volpi a Venezia nel 2013) e la
partecipazione straordinaria di Adriano Aprà.
Se l’intento della Piovano era quello di ricordare una donna
eccezionale, bisogna purtroppo ammettere che la personalità della Miscuglio non
emerge nel modo desiderato, probabilmente a causa della costruzione del film,
caratterizzato da una trama troppo frammentaria, uno stile molto particolare,
difficile da comprendere, che non rende giustizia all’argomento trattato, né a
quel tipo di cinema che vuole omaggiare. Ci troviamo indubbiamente di fronte ad
una pellicola d’autore ma la regista, per quanto sempre originale e delicata,
si fa prendere troppo la mano da elementi surreali, a scapito della logica,
rendendo L’Età d’Oro un prodotto non
facilmente catalogabile, strano, rarefatto, che spesso, data l’eccessiva
lentezza, cade nella noia, anche perché onestamente non è semplice né immediato
capire dove voglia andare a parare.
Neanche il finale scioglie i dubbi sul
senso complessivo di tutta l’opera, un racconto che nell’insieme non convince e
non decolla mai. Spiace constatare che anche gli attori, per quanto bravi, si
muovono un po’ spaesati e poco credibili davanti alla macchina da presa:
supponiamo che sia un effetto voluto ma il risultato ottenuto confonde
ulteriormente lo spettatore. Comunque a catalizzare l’attenzione è sempre la Morante.
L’Età d’Oro, presentato
al BIF&ST 2016, si rivela uno sterile, surreale e soporifero esperimento
meta-cinematografico che non riesce a trasmettere emozioni. Nelle nostre sale
dal 7 aprile.
Nessun commento:
Posta un commento