Parliamo di...

martedì 25 marzo 2014

"Divergent": non importa a chi appartieni, ma chi sei veramente.

di Luca Cardarelli

È in arrivo in Italia (uscita prevista il 3 aprile) la trasposizione cinematografica di Divergent, primo capitolo della saga romanzesca che mescola avventura, fantascienza e romanticismo creata dalla scrittrice emergente Veronica Roth che, dopo aver raggiunto vette toccate sino ad ora solo dai vari Harry Potter, Twilight e 50 sfumature, sta spopolando negli Stati Uniti. 
Il film, diretto da Neil Burger (già regista del thriller fantascientifico Limitless con protagonista il belloccio Bradley Cooper e del "magico" The Illusionist con Edward Norton), si appresta ad imitare nel successo il romanzo grazie alla collaudata formula alla Hunger Games di cui è appena uscito il secondo episodio (per il terzo, diviso in due per mero spirito capitalistico, dovremo aspettare il 2015). Il cast, formato per la maggior parte da ragazzi sulla ventina, è una delle componenti che maggiormente fanno pensare ad un'imitazione del suddetto prodotto young-adult e vede protagonista assoluta una Shailene Woodley (già vista in Paradiso Amaro al fianco di George Clooney) molto "Lawrenciana" sia nel fisico che nella resa psicologica del personaggio di Beatrice "Tris" Prior. Co-protagonista, nei panni di Tobias "Quattro" Eaton, troviamo il prestante Theo James (piccola parte per lui in Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni di Woody Allen e partecipazione attiva al quarto episodio della saga cinematografica Fatasy-Horror di Underworld), un mix tra Peta (Josh Hutcherson) e Gale (Liam Hemsworth). Completa il quadro dei protagonisti la figlia di Lenny Kravitz, Zoe, che interpreta Christina, compagna fedele di Tris nelle avventure cui assistiamo. Fiore all'occhiello una perfida e glaciale Kate Winslet nei panni del villain principale, Jeanine Matthews.  

La storia, come anticipato, non è delle più originali: in un futuro non troppo remoto il mondo (dove per mondo si intendono gli Stati Uniti d'America) viene annientato da una spaventosa guerra. Per stabilizzare la situazione si decide di dividere la popolazione in fazioni distinte per carattere degli appartenenti:  i Candidi, di cui fa parte Christina, sinceri, dicono sempre la verità e si occupano della legislazione; i Pacifici che sono gentili, rigettano l'aggressività e sono specializzati in assistenza sociale e consulenze varie; gli Eruditi, con a capo Jeanine Matthews, dedicano la vita alla cultura e lavorano come insegnanti o ricercatori; gli Abneganti, di cui fa parte Beatrice, altruisti e caritatevoli, si occupano del governo della società; gli Intrepidi, dei quali Quattro è il capofazione, coraggiosi e forti, proteggono la popolazione come fossero una sorta di polizia. Infine troviamo gli Esclusi, che vivono al di fuori della società mendicando perché non sono riusciti a superare l'iniziazione a nessuna delle summenzionate fazioni. La vicenda narra di Beatrice che, arrivata alla maggiore età, si trova a dover scegliere se continuare ad essere un'abnegante o cambiare strada, abbandonando così la famiglia che l'ha vista nascere e crescere senza la possibilità di poter tornare sui suoi passi. Dopo aver scelto di passare agli Intrepidi, scoprirà, attraverso un test biologico/attitudinale, di non fare parte di una sola fazione, ma di tre insieme: Beatrice è sia Abnegante che Intrepida che Erudita. È dunque "Divergente". Tenendo nascosta la cosa poiché i Divergenti sono considerati soggetti poco controllabili ed instabili caratterialmente, quindi pericolosi, Beatrice continua il suo addestramento per essere definitivamente inserita nella fazione degli Intrepidi, rischiando più volte di venirne esclusa. Una volta raggiunto l'obiettivo, si troverà in mezzo ad una guerra scatenata da Jeanine Matthews per la presa del potere a discapito degli abneganti e per l'eliminazione di ogni forma di "divergenza". 

Questo film può essere considerato benissimo una summa di molti altri già visti e di discreto successo: Hunger Games è probabilmente quello che ha influenzato di più Burger nella realizzazione di Divergent, ma non possiamo fare a meno di notare note di colore già apprezzate in Matrix (soprattutto nell'addestramento mentale cui Quattro sottopone Tris per evitare che venga esclusa dagli Intrepidi, ma anche nell'abbigliamento da civili dei personaggi), i riferimenti alll'onnipresente Harry Potter (l'appartenenza ad una fazione denota anche il carattere dei singoli membri) e l'immancabile omaggio a Twilight cui ogni storia d'amore presente in questo genere di film pare debba ispirarsi, come per effetto di una sorta di legge non scritta.
Dunque ci troviamo di fronte sicuramente ad un prodotto di cui si sa già il finale dopo poco più di mezz'ora dall'inizio, e anche la caratterizzazione dei personaggi sembra un prodotto da catena di montaggio. Di positivo c'è, quantomeno, un ritmo molto elevato e una buona cura delle scene d'azione e di battaglia (notevole, a parere di chi scrive, uno stallo alla messicana a quattro, ravvicinatissimo, che farà letteralmente sobbalzare sulla poltrona lo spettatore). I colpi di scena presenti, però, purtroppo non sono degni di tale nome: ampiamente preannunciati dall'incedere della storia, regalano al tutto un sapore amaro, più che agrodolce. Dalla maestosità con la quale il film era stato presentato ci saremmo aspettati un po' di più dall'ottimo Neil Burger, anche se il peccato originale è da ricercare in chi la storia l'ha scritta su carta, più che nel regista. 
Nonostante tutto, pare che la pellicola sia comunque destinata, in base alla previsioni made in USA, ad un discreto successo di pubblico, soprattutto di fascia adolescenziale.                                                   

venerdì 21 marzo 2014

"Captain America: The Winter Soldier": un Capitano, per la Marvel c'è solo un Capitano!

di Carlo Anderlini

Dopo le incursioni in The Avengers e a due anni dal successo di Captain America: The first avenger, il supereroe della Marvel Comics torna sugli schermi in The Winter Soldier. In questo sequel il protagonista Steve Rogers (un Chris Evans dal volto pulito e fiero), già creato con la matita nel lontano 1941 e da allora condannato ad essere il superpotente baluardo del servizio segreto Usa SHIELD, sta tentando di trovare un nuovo e più moderato stile di vita nella realtà odierna. Ma il destino è destino (se sei superuomo ci sarà un perchè!): chiamato a scongiurare una minaccia planetaria, Steve si rimette in azione e con l'aiuto dei fedelissimi Natasha (Black Widow, ex spia russa ora a stelle e strisce interpretata da una intrigante Scarlett Johansson) e Sam (l'agente Falcon, un poco convinto Anthony Mackie) continua anche al giorno d'oggi a battersi al servizio del bene. Egli ingaggia una epica e imprevedibile total-war contro la spietata organizzazione HYDRA nonchè contro il suo (ex?) migliore amico, quel Bucky (Winter Soldier, in scena Sebastian Stan) dato da tempo come deceduto, ma in realtà tramutato in corpo criminale a seguito di una potente "riprogrammazione". 

Durante il suo lungo percorso fumettistico-filmico, la nostra Sentinella della Libertà non ha subito i condizionamenti del tempo e pertanto in questo action-fantasy movie i registi hanno dovuto velocemente cucirgli addosso una nuova scala di valori e nuovi mezzi tecnologici: la sua difficoltà non è quella di gettarsi dagli aerei senza paracadute, ma, quasi novello Cavaliere Oscuro, di gestire una realtà in cui nulla è come sembra e nessuno è insospettabile. Anche se dotato di arti marziali e di scudo di vibranio versione 2.0, egli soffre la sfiducia in generale, le ambiguità etiche, l'incertezza tra libertà e privacy.  Di conseguenza, se un tempo era poco amato dai fumettari pacifisti e anti-capitalisti, ora il Capitano è acclamato da tutto il Marvel-people in quanto divenuto molto meno iconico e retorico. 
Anche gli altri personaggi hanno dovuto affrontare mutazioni: la Vedova Nera - Natasha ora indossa raramente il suo leggendario costume, tende ad un maggiore livello di integrità e instaura una maggiore confidenza con Steve; Falcon è un supereroe afro-americano che adotta un look Ultimate, sa volare ed è molto meno servile di un tempo; Bucky, infine, è geneticamente nuovo per definizione. Nel cast d'eccellenza figurano poi, in ruoli niente affatto secondari, anche Robert Redford (un Alexander Pierce, criptico segretario generale dello SHIELD) e Samuel L. Jackson (un Nick Fury, direttore dello SHIELD, dal codice etico discutibile: "...la punizione viene prima del crimine"). 

Captain America: the Winter Soldier, che ricalca le atmosfere del thriller politico (vedasi Il maratoneta), ha per registi i fratelli Joe e Anthony Russo; ambientato al giorno d'oggi, con alcuni ben riusciti flashback di aggancio, è stato girato a Cleveland, Los Angeles e Washington e si è avvalso della collaborazione di ben cinque società di effetti speciali, talora troppo indulgenti verso le tecniche del videogame.
Il film, invero un po' lungo, è farcito di azioni mega-spettacolari fino a straboccare (ora Steve non ha più tempo per aprire le porte, le distrugge prima), ma l'elettricità continua che emana e il cuore pulsante che lo pervade non ne fanno solo un cult spacca-mascelle. Molte battute sono apprezzabili per arguzia e ironia ("Se ti sparano addosso, quelli sono i cattivi!") e supercars ed enormi fortezze volanti convivono agilmente con sensi di colpa e legami di amicizia. La musica è un rischioso ma coerente mix arrembante di sinfonica, tematica, eroica e musical e spesso quell'ovattato colore malatticcio pallido (Blade Runner docet) che avvolge tutto in una notte perpetua è adeguato alle scene più noir.
La riapparizione di Bucky è convincente, le transizioni psicologiche e relazionali dei personaggi sono tutt'altro che approssimative, lo sforzo di arrivare comunque a costruire un mondo migliore ed essersi reciprocamente utili è sempre palpabile, pertanto sia il messaggio di fondo che il divertimento - perchè di questo deve trattarsi, al di là degli inevitabili contagi di superomismo - paiono assicurati.
Il battage pubblicitario mondiale che ha preceduto l'uscita del film è stato massiccio (clip, trailer, videogiochi, app, collaborazioni con GM e Harley-Davidson, spot tv da 4 milioni di dollari durante il Superbowl). La release italiana è prevista per il 26 marzo e quella usa per il 4 aprile. 
Inevitabile, considerato il prevedibile successo, un ulteriore sequel, già programmato per il 2016: stessi registi e, probabilmente, protagonista lo stesso Chris Evans.    

giovedì 20 marzo 2014

"Cinecittà": la dichiarazione d'amore di De Sica

di Emanuela Andreocci

Una proiezione in bianco e nero con De Sica che entra in moto negli studios, la scenografia che si apre, le luci del varietà che si accendono ed ecco che il protagonista della serata fa il suo ingresso sul palcoscenico del Brancaccio, per l'occasione trasformato nel celebre Studio 5.
Come possiamo definire "Cinecittà", in scena al teatro romano fino al 13 Aprile? Un one man show, certamente, ma non solo: le coreografie di Franco Miseria e la regia di Giampiero Solari lo dotano di tutte le caratteristiche del musical di alto livello, mentre la straordinaria orchestra dal vivo disposta su due piani diretta dal Maestro Marco Tiso e gli interventi dei tre attori (Daniela Terreri, Daniele Antonini e Alessio Schiavo), elementi preziosi e fondamentali per far rifiatare il performer principale, lo avvicinano ai Varietà con la V maiuscola che, purtroppo, sembrano essere ormai solo un lontano ricordo nei palinsesti televisivi nostrani. Eccellente anche il corpo di ballo, ma ci sentiamo di fare un piccolo appunto sui costumi: pur non essendo minimamente volgari, quelli delle ballerine lasciano ben poco all'immaginazione e cozzano con l'aria poetica, delicata e di altri tempi che viene evocata durante tutto lo spettacolo.  
Quello che ci offre Christian De Sica (autore insieme a Riccardo Cassini, Marco Mattolini e Giampiero Solari) è, infatti,  uno straordinario e nostalgico tuffo nel passato, un omaggio ad un mondo che ormai non esiste più fatto di protagonisti eccezionali di cui però possiamo (e dobbiamo) ricordarci. 
Lui, il re del cinepanettone, si prende in giro e scherza sulla sua fortuna: conscio della volgarità traboccante nei suoi film dal poco valore ma dai grandi incassi di botteghino, non ha dimenticato le origini del suo amore per il mestiere dell'attore nato quando, da piccolo, accompagnava il padre dentro Cinecittà. 
La voce di  Federico (Fellini?) lo rimprovera per le sue parolacce e gli mostra quello che è il suo regno, un luogo che De sica conosce alla perfezione e dove si sente a casa, un luogo che gli permette di passare da una parte all'altra delle telecamera, di fare provini, di incontrare personaggi, di raccontare e ricordare. 
Attraverso canzoni, balletti e aneddoti, si sciorina in una continua e toccante dichiarazione d'amore: Cinecittà si trasforma in un luogo della memoria dove possono rivivere le emozioni più profonde e i ricordi più intimi, un posto e un momento dove rendere omaggio alla figura del grande Vittorio (che il figlio imita alla perfezione e a cui, col passare degli anni, somiglia sempre di più) e anche a quella di Alberto Sordi, considerato dal protagonista come uno zio. 
"Cinecittà" è uno spettacolo dove sorrisi ed emozioni si fondono alla perfezione, uno spettacolo costruito ad hoc per mostrare e, soprattutto, ricordare le eccellenti caratteristiche di Christian De Sica come cantante, ballerino e intrattenitore (esilaranti, a tal proposito, le molteplici versioni de "Il sabato del villaggio"), uno spettacolo che aspira ai fasti di un glorioso passato (ancora vivo?) e che contemporaneamente strizza l'occhio al presente.

lunedì 17 marzo 2014

"Un sogno fantastico" ad occhi aperti

di Gin Rodari

Non sempre sono i costumi, le scene o il teatro scelto come location dell'evento a decretare se uno spettacolo è valido oppure no, non sempre è imprescindibile avere nomi famosi in locandina o manifesti affissi in ogni dove per dare valore ad un'opera. Capita infatti, ogni tanto, di scovare dei piccoli gioielli che aspirano alla grandezza partendo dal basso, con la voglia, passione, serietà e determinazione di chi è agli inizi ma punta in alto, ben consapevole di pregi e difetti, limiti e possibilità.
Un sogno fantastico, regia di Simone Fraschetti, andato in scena ieri pomeriggio al Teatro Gianelli di Roma, è l'emblema di questo tipo di spettacolo: la giovane compagnia romana Danza 2000 ha permesso al pubblico di ridere e sognare con un musical da favola, estremamente adatto ai bambini ma assolutamente consigliato anche ai grandi, a cui strizza l'occhio con qualche battuta più audace. 
Tramite le avventure di Pinocchio (interpretato da Paolo Vannini, direttore artistico della Compagnia, coreografo e autore di alcune delle canzoni dello spettacolo) gli spettatori hanno avuto la possibilità di incontrare anche altri personaggi delle loro storie preferite (come Peter Pan e Belle, per esempio) e di sperimentare il valore dell'amore, dell'amicizia, dell'onestà e dei sogni. Chi smette di sognare, infatti,smette di vivere. Questo il messaggio dello spettacolo, ma anche il "motto morale" della compagnia che, senza una produzione alle spalle (e quindi con scene, effetti e costumi molto semplici) è riuscita a mettere in piedi uno spettacolo divertente e degno di essere visto e conosciuto: le canzoni, sia quelle edite e famose che quelle inedite scritte e arrangiate appositamente per lo spettacolo, sono coinvolgenti, gli attori genuini e credibili nella parte, il corpo di ballo ben assortito, grintoso e pieno di energia positiva che ad ogni movimento dal palco arriva direttamente in platea. 
Certo, lo abbiamo detto, qualche miglioria va effettuata, ma siamo sicuri che basterà una produzione, anche piccola, per fare il salto di qualità definitivo. E' necessario, infatti, che le canzoni siano live (non tutti i protagonisti sono in grado di sostenere i ritmi e le tonalità delle musiche utilizzate, mentre invece altri hanno prestato la propria voce in sede di registrazione) e che le scenografie siano leggermente arricchite, ma non troppo: l'idea di un sogno semplice, accessibile a tutti, un sogno prêt-à-porter dal sapore quasi artigianale di un prodotto hand made, è un valore aggiunto che lo spettacolo non deve perdere. 

venerdì 14 marzo 2014

Con "Mr. Peabody e Sherman" è tutta un'altra storia!

di Emanuela Andreocci

Il cinema d'animazione, si sa, raggiunge vette di esilarante genialità che non sono minimamente immaginabili per i film tradizionali, inutile tentare di fornire esempi o cercare commedie brillanti come termine di paragone: le sceneggiature dei moderni cartoon sono miniere ricchissime, terreno più che fertile per le mille sfaccettature da far assumere ai personaggi e le infinite possibilità di parodia che ne derivano. 
Recentemente abbiamo lodato il coinvolgente The LEGO Movie, adesso è il turno di Mr. Peabody e Sherman. Quest'ultimo è certamente meno intrigante e divertente del primo, ma la DreamWorks comunque non delude le aspettative e offre un prodotto (regia di Rob Minkoff) che intrattiene piacevolmente e fa sorridere, partendo da un'idea originale tratta da una serie tv tra la fine degli anni '50 e l'inizio dei '60: Mr. Peabody e Sherman sono padre e figlio, solo che il primo... è un  cane! Intelligente, brillante, sorprendente e geniale ma pur sempre un cane. La cosa inizialmente sembra non presentare nessun problema (anzi lo spettatore si sorprende della naturalezza con cui un cane-padre accompagna il figlio a scuola in un mondo esclusivamente umano), ma poi, a causa di una piccola lite avvenuta a scuola tra il ragazzino e la sua compagna Penny, la situazione familiare "particolare" offre il fianco ad un pretesto dal sapore razzista per togliere il bambino al genitore. Mr. Peabody ha tutte le carte in regola per continuare a essere il padre di Sherman: lo ha trovato da piccolo per strada, ne ha chiesto e ottenuto l'affidamento in un'aula di tribunale e non intende assolutamente rinunciare a suo figlio. D'altronde se un bambino può adottare un cane, perchè un cane non può adottare un bambino?
E' merito/causa del Tornindietro (la macchina del tempo inventata da Mr. Peabody con cui Sherman "studia" storia e confuta fatti universalmente riconosciuti come accaduti) che comincia una rocambolesca avventura tra l'Antico Egitto e il Rinascimento Italiano. In questo viaggio attraverso secoli e mode, invenzioni e scoperte, al cospetto dei Faraoni e di Leonardo da Vinci (ma anche di Einstein, Agamennone e Maria Antonietta, solo per citarne alcuni) si rafforzerà il legame padre e figlio, con una rinnovata e confermata "profonda devozione" reciproca, e si instaurerà un rapporto nuovo e apparentemente inspiegabile tra i due compagni di scuola, nato da un battibecco in classe e sfociato poi in qualcosa di più profondo e duraturo.  
La genialità di cui abbiamo parlato e tessuto le lodi a inizio articolo è da individuare soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi: prima di tutto dal punto di vista estetico (basti pensare al piccolo Sherman trovato in fasce già con i suoi grandi occhiali neri - dimostrazione emblematica del fatto che a volte bastano piccoli e semplici dettagli per fare la differenza!), poi anche dal punto di vista caratteriale/storico (Mr. Peabody che intrattiene i genitori di Penny con un improvvisato concerto in cui è in grado di suonare tutti gli strumenti, anche quelli più impensabili; Maria Antonietta che "perde la testa" per i dolci; il padre della relatività che non riesce a fare il cubo di Rubik; una nuova versione in miniatura del cavallo di Troia che serve per entrare in quello più grande ideato da Ulisse per espugnare la città greca, e così via).
Con Mr. Peabody e Sherman viene offerto di fare un simpatico tuffo (anche in 3D) in un passato che tutti hanno studiato, ma che magari non ricordano con esattezza: con Mr. Peabody e Sherman è tutta un'altra storia!  

mercoledì 5 marzo 2014

"La mossa del pinguino": una genuina grattachecca di sogni

di Emanuela Andreocci

Passato (e riscosso) il sogno dell'Oscar, in Italia si torna a puntare in alto, cambiando ambito: dopo il più grande riconoscimento cinematografico, si punta a quello sportivo! Ne La mossa del Pinguino, che segna l'esordio alla regia di Claudio Amendola, l'"armata Brancaleone" dei ghiacci formata dai quattro scapestrati e affiatati protagonisti aspira alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, e ci vuole arrivare grazie ad uno sport non propriamente nazionale: il curling. 
Di che cosa si tratta? Inizialmente non lo sa bene neanche Bruno (Edoardo Leo), ma capisce che è qualcosa che si avvicina molto al lavoro notturno in cui lui e il suo amico Salvatore (Ricky Memphis) sono impegnati: se possono passare uno scopettone sul pavimento di un museo, potranno certamente smuovere quell'affare dal nome difficile per velocizzare lo scorrimento della strana "palla" a forma di pentola.  
Insieme ad Ottavio (Ennio Fantastichini) e Neno (Antonello Fassari), che sotterrano l'ascia di guerra per il bene comune, cominciano una serie di improbabili allenamenti in previsione delle selezioni nazionali. 
Contemporaneamente alla crescita sportiva, si assisterà ad un'evoluzione interiore dei personaggi, in particolare a quella di Bruno che dovrà dimostrare a sua moglie Eva (Francesca Inaudi) di essere un marito e padre affidabile, e non un secondo figlio (tra l'altro meno intelligente del primo!). Edoardo Leo (che ha lavorato alla sceneggiatura del film insieme ad Amendola) è convincente sia nei panni dello spacciatore precario (visto e apprezzato più che recentemente in Smetto quando voglio) quanto in quelle dell'improvvisato e mediamente scapestrato sportivo del film in questione.

La mossa del pinguino è un prodotto buono, con tanto cuore, ispirato a sentimenti importanti e a valori che fanno riflettere: i rapporti personali sono al centro di tutto, il curling è solo un pretesto (come poteva essere, nel passato del protagonista, il desiderio di allevare delfini nel lago di Bracciano!), ma permette a Bruno di spiegare alle donne (l'ha rivelato Leo in conferenza stampa) perchè "un uomo fa fatica ad andare ad un matrimonio sotto casa, ma si alzerebbe alle 4 di notte del 3 gennaio per una partita di calcetto in trasferta a Taranto!" 
Si ride, assolutamente, ma si piange anche, e forse la parte melò è addirittura più convincente di quella comica in quanto va a toccare corde reali, a smuovere sentimenti profondi e sinceri. 
Ottima la resa temporale: con qualche accorgimento ad hoc che strizza l'occhio al pubblico, ci si ritrova facilmente in un 2006 perfettamente credibile. Peccato, invece, che i movimenti di macchina più audaci (le inquadrature dal basso, delle "zenitali al contrario") si esauriscano al biliardino senza riproporsi durante il film, così come dispiace l'ingenuità del primo allenamento, con cadute e ruzzoloni sul ghiaccio senza un ritmo deciso che avrebbe sostenuto e reso più dinamica la scena. 
Da sottolineare, assolutamente, le interpretazioni degli attori, non solo considerandole individualmente, ma facendo una panoramica di gruppo: senza lodare singolarmente i quattro protagonisti maschili (dalle doti conosciute e apprezzate), dobbiamo necessariamente rendere giustizi al regista che ha scelto un cast di colleghi, professionisti e amici, che si integrano e completano alla perfezione. 

Un film per chi ama sognare e fermarsi, ogni tanto, a lanciare la propria lenza per pescare le opportunità della vita. Dal 6 marzo nei cinema.


martedì 4 marzo 2014

"Supercondriaco": malato, malatissimo, praticamente sano!

di Luca Cardarelli

Romain Flaubert (Dany Boon), fotografo per una rivista scientifica on line, è un soggetto ipocondriaco irrecuperabile. Il suo migliore, nonché unico, amico, è il suo medico di base Dimitri Zvenska (Kad Merad). Qualsiasi cosa gli capiti, da un formicolio anonimo ad un mal di testa lancinante passando anche per morti apparenti e fantomatici tumori, Romain chiama Dimitri. Si trasferisce pure a casa sua per poter essere curato meglio. Dimitri, messo alle strette dalla moglie psicologa che addirittura sospetta un suo amore represso nei confronti di Romain, lo vuole sistemare con una donna con lo scopo di levarselo di torno una volta per tutte…
La premiata ditta Boon/Merad, già apprezzata in Giù al nord, in Supercondriaco è tornata più scoppiettante che mai con un film che mette a nudo una delle peggiori ossessioni che un uomo possa avere: l'ipocondria. Soprattutto ora, con a disposizione informazioni pressoché illimitate grazie alla rete, il fenomeno (o disturbo psichico?) è più diffuso che mai. Quanti di noi, notando "qualcosa che non va" hanno aperto almeno una volta la pagina di google e digitato i sintomi nel box di ricerca?  Ecco, Romain Flaubert vive praticamente in simbiosi con il suo pc perennemente collegato alla pagina "medicweb". Odia le feste, soprattutto quelle che implicano baci e abbracci come quella di capodanno (l'esilarante scena iniziale), per paura di beccarsi qualche infezione dovuta a chissà quale microbo o bacillo volante. La genialità di Boon non sta tanto nel raccontare, seppur benissimo, questa fobia estrema (tra l'altro ha affermato di rispecchiarsi molto nella figura di Romain e che realmente uno dei suoi migliori amici è anche il suo medico), ma nel combinarla con una vicenda molto movimentata in stile "Action Movie" in una classica commedia degli equivoci contraddistinta da un ritmo alto dall'inizio alla fine.
Altro tema trattato all'interno del film è il rapporto che gli ipocondriaci hanno con le donne. Dani Boon è uno scapolo per scelta. Sì, per scelta delle donne. E il suo migliore amico lotta con tutte le sue forze per convincerlo a trovarsi una ragazza che lo guarisca. La vicenda si movimenta ulteriormente quando entra in scena la sorella di Dimitri, Anna (Alice Pol), impegnatissima nell'attività diplomatica nei paesi afflitti da guerre civili e rivoluzioni, come nel caso del fantomatico paese del Tcherkistan. E qui spunta fuori l'elemento action, generato da un banale scambio di persona a causa del quale il nostro Romain, accusato di essere il capo dei rivoluzionari, viene arrestato e rinchiuso in una prigione in stile Guantanamo. Costretto a dividere la cella con scarafaggi e topi, il nostro supercondriaco si ritrova a fare i conti con ciò di cui ha più paura: la disgrazia, come sempre avviene nei film di questo genere, si trasforma in fortuna perchè Romain imparerà a superare le sue paure e si dimostrerà inaspettatamente coraggioso. L'elemento romantico, portato dalla bella quanto svampita e pasticciona Anna, dona inoltre al film quel miele che non guasta mai.

Siamo di fronte ad un prodotto di buona fattura, anche se alla lunga può risultare un po' stancante, vuoi per la coppia comica Boon/Merad che ha sparato le sue più potenti cartucce già con Giù al Nord, film veramente esilarante dalla prima all'ultima scena, vuoi perchè noi italiani, quanto ad ipocondriaci, vantiamo due pezzi da 90 come Carlo Verdone e Margherita Buy in Maledetto il giorno che t'ho incontrato. Un film, Supercondriaco, caratterizzato da una sceneggiatura varia e ben sviluppata lungo tutta la durata del film, senza tempi morti:  si ride bene e si ride tanto. Ottime anche le scelte scenografiche: esilarante la parete della casa di Romain, completamente occupata dai medicinali, e molto ben curata l'ambientazione carceraria (la prigione è stata recuperata da un vecchio rifugio antiatomico risalente all'epoca Sovietica nei pressi di Budapest che dà proprio l’idea di un Lager).

I francesi, con a capo Dany Boon che si conferma un ottimo attore/regista/sceneggiatore, negli ultimi anni hanno veramente assunto il ruolo di leader europei nel genere della commedia: pensiamo a film come il già citato Giù al Nord (rifatto in salsa tricolore con Benvenuti al Sud), Niente da dichiarare? (ottima commedia sulla rivalità tra Belgi e Francesi, diretto sempre da Boon), Il piccolo Nicolas e i suoi genitori (semplicemente esilarante) fino ad arrivare al recente Un piano perfetto (in cui Dany Boon è protagonista insieme ad un'effervescente Diane Kruger). Anche se ultimamente sembra che il cinema italiano si stia ridestando sul campo della commedia dopo anni di encefalogramma piatto, i nostri cuginastri si godono la loro epoca d'oro sfornando sempre più spesso ottime pellicole ridanciane che solo una decina di anni fa sembravano utopia.

Nelle sale italiane dal 13 marzo.