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martedì 2 giugno 2015

“Fuori dal coro”: esordio noir per il cuoco di De Niro

di Silvia Sottile

La storia più interessante di Fuori dal coro è quella dello stesso regista e sceneggiatore Sergio Misuraca, su cui in effetti si è puntato molto per la pubblicizzazione del film. Misuraca ha vissuto diversi anni a Los Angeles per inseguire il sogno di entrare nel mondo del cinema. Si è così  ritrovato a lavorare nel ristorante dei vip e a cucinare spaghetti aglio, olio e peperoncino per Robert De Niro. Tornato in Sicilia a causa dei documenti falsi, ha aperto un suo ristorante e finalmente ha provato a coronare in patria quel sogno cinematografico mai accantonato con la realizzazione di questo film totalmente siciliano, che rappresenta il suo debutto. Sicuramente da premiare la tenacia e la forza di volontà nonostante tutte le difficoltà del caso (i costi, i mancati sostegni pubblici, ecc.) ma tutto questo non basta a farci apprezzare un film che non porta nulla di nuovo nel panorama cinematografico italiano, ad eccezione del genere ma di sicuro non così ben sviluppato da risultare particolarmente interessante né tanto meno credibile.
Forse se Misuraca ci avesse raccontato la sua, di storia, sarebbe stato meglio. Invece no, mette in scena un mix di commedia, noir, pulp e splatter che alla fine non è né carne e né pesce e confonde solamente le idee allo spettatore, salvo risultare prevedibilissimo in tutte le svolte narrative che si susseguono in maniera fin troppo eccessiva spezzando di continuo il già flebile ritmo del racconto. Probabilmente la più grossa pecca è aver voluto mettere troppa carne sul fuoco non riuscendo  a gestirla in maniera uniforme.

Dario (Dario Raimondi) e Nicola (Alessio Barone) sono due giovani siciliani disoccupati che trascorrono le giornate tra spinelli e giri in motorino. Dario è laureato e in cambio di una raccomandazione per un posto di lavoro acconsente a svolgere un lavoretto per il personaggio più influente del paese, il “Professore”: portare in macchina una busta (contenente presunti documenti importanti) a Roma e consegnarla al poco raccomandabile slavo Pancev (Ivan Franek). A Roma però le cose non filano lisce come previsto perché la persona che doveva fare da tramite è Tony (Alessandro Schiavo), zio di Dario con cui non ci sono buoni rapporti da anni, ma soprattutto perché la busta non si trova. In una rocambolesca fuga da Pancev, Dario e Tony sono costretti a tornare in Sicilia dove si conclude la vicenda.

Dicevamo dunque che la scrittura non è omogenea, inficiata da troppi presunti colpi di scena per cambiare le carte in tavola che non risultano credibili e sono anche prevedibili in toto. La commistione di generi diventa in questo caso un’arma a doppio taglio: la storia, sebbene ci sia alla base la voglia di stupire, è tanto sconclusionata quanto scontata, infarcita di cliché già visti e rivisti sia riguardo alla sicilianità (e a tutti i suoi luoghi comuni), sia riguardo al genere thriller/noir. Se l’intento dichiarato di Misuraca era prendere spunto da Tarantino e Scorsese per costruire una storia pulp, possiamo dire che manca in pieno l’obiettivo: il risultato è un film che non decolla mai e sembra una grottesca e mal riuscita parodia dei maestri a cui voleva invece rendere omaggio.
I personaggi non hanno un minimo di spessore e risulta quindi difficile poter giudicare le varie interpretazioni degli attori, nessuna particolarmente brillante (a parte la straordinaria attrice siciliana Aurora Quattrocchi nel piccolo ruolo di Maria). Escludendo pochissime battute, affidate per lo più al simpatico Nicola/Alessio Barone, il lato comico si perde per strada virando in maniera un po’ troppo eccessiva sullo splatter.

Non bastano neanche i paesaggi siciliani né le musiche tradizionali a risollevare Fuori dal coro, al cinema dal 4 giugno. Tutt’al più viene voglia di andare al mare.

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