di Silvia Sottile
La storia più interessante di Fuori dal coro è quella dello stesso regista e sceneggiatore Sergio
Misuraca, su cui in effetti si è puntato molto per la pubblicizzazione del film.
Misuraca ha vissuto diversi anni a Los Angeles per inseguire il sogno di entrare
nel mondo del cinema. Si è così
ritrovato a lavorare nel ristorante dei vip e a cucinare spaghetti
aglio, olio e peperoncino per Robert De Niro. Tornato in Sicilia a causa dei
documenti falsi, ha aperto un suo ristorante e finalmente ha provato a coronare
in patria quel sogno cinematografico mai accantonato con la realizzazione di
questo film totalmente siciliano, che rappresenta il suo debutto. Sicuramente
da premiare la tenacia e la forza di volontà nonostante tutte le difficoltà del
caso (i costi, i mancati sostegni pubblici, ecc.) ma tutto questo non basta a
farci apprezzare un film che non porta nulla di nuovo nel panorama cinematografico
italiano, ad eccezione del genere ma di sicuro non così ben sviluppato da
risultare particolarmente interessante né tanto meno credibile.
Forse se Misuraca ci avesse raccontato la sua, di storia,
sarebbe stato meglio. Invece no, mette in scena un mix di commedia, noir, pulp
e splatter che alla fine non è né carne e né pesce e confonde solamente le idee
allo spettatore, salvo risultare prevedibilissimo in tutte le svolte narrative
che si susseguono in maniera fin troppo eccessiva spezzando di continuo il già
flebile ritmo del racconto. Probabilmente la più grossa pecca è aver voluto
mettere troppa carne sul fuoco non riuscendo a gestirla in maniera uniforme.
Dario (Dario Raimondi) e Nicola (Alessio Barone) sono due
giovani siciliani disoccupati che trascorrono le giornate tra spinelli e giri
in motorino. Dario è laureato e in cambio di una raccomandazione per un posto
di lavoro acconsente a svolgere un lavoretto per il personaggio più influente
del paese, il “Professore”: portare in macchina una busta (contenente presunti
documenti importanti) a Roma e consegnarla al poco raccomandabile slavo Pancev
(Ivan Franek). A Roma però le cose non filano lisce come previsto perché la
persona che doveva fare da tramite è Tony (Alessandro Schiavo), zio di Dario
con cui non ci sono buoni rapporti da anni, ma soprattutto perché la busta non
si trova. In una rocambolesca fuga da Pancev, Dario e Tony sono costretti a
tornare in Sicilia dove si conclude la vicenda.
Dicevamo dunque che la scrittura non è omogenea, inficiata
da troppi presunti colpi di scena per cambiare le carte in tavola che non
risultano credibili e sono anche prevedibili in toto. La commistione di generi
diventa in questo caso un’arma a doppio taglio: la storia, sebbene ci sia alla
base la voglia di stupire, è tanto sconclusionata quanto scontata, infarcita di
cliché già visti e rivisti sia riguardo alla sicilianità (e a tutti i suoi
luoghi comuni), sia riguardo al genere thriller/noir. Se l’intento dichiarato
di Misuraca era prendere spunto da Tarantino e Scorsese per costruire una storia
pulp, possiamo dire che manca in pieno l’obiettivo: il risultato è un film che
non decolla mai e sembra una grottesca e mal riuscita parodia dei maestri a cui
voleva invece rendere omaggio.
I personaggi non hanno un minimo di spessore e risulta quindi
difficile poter giudicare le varie interpretazioni degli attori, nessuna
particolarmente brillante (a parte la straordinaria attrice siciliana Aurora
Quattrocchi nel piccolo ruolo di Maria). Escludendo pochissime battute,
affidate per lo più al simpatico Nicola/Alessio Barone, il lato comico si perde
per strada virando in maniera un po’ troppo eccessiva sullo splatter.
Non bastano neanche i paesaggi siciliani né le musiche
tradizionali a risollevare Fuori dal coro,
al cinema dal 4 giugno. Tutt’al più viene voglia di andare al mare.
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