di Silvia Sottile
L’attore Giorgio Pasotti, noto al grande pubblico per i suoi
ruoli in film e fiction televisive di successo, passa dietro la macchina da
presa per dirigere a quattro mani, insieme a Matteo Bini, Io, Arlecchino. Per il loro debutto i due registi bergamaschi scelgono
di attingere alla propria tradizione culturale portando sul grande schermo il
personaggio di Arlecchino, maschera
bergamasca della Commedia dell’Arte.
Paolo (Giorgio Pasotti), noto conduttore di un talk show
televisivo pomeridiano, viene raggiunto a Roma da una telefonata: suo padre
Giovanni (Roberto Herlitzka) è ricoverato in ospedale. Costretto a tornare nel
piccolo villaggio medievale in provincia di Bergamo, Paolo scopre che il padre
è gravemente malato. Giovanni, ex attore teatrale e famoso Arlecchino, vuole
spendere gli ultimi mesi della sua vita continuando a recitare con la piccola
compagnia teatrale del paese, mettendo in scena spettacoli della Commedia dell’Arte.
Il ritorno al paese porterà Paolo a ricucire il rapporto col padre e con le sue
origini, a ridefinire la sua identità, a riflettere su cosa vuole davvero dalla
vita e a riscoprire il tesoro artistico del personaggio di Arlecchino, del
quale si troverà a vestire i panni.
Si tratta di una
commedia con venature drammatiche, dai toni delicati, che seguendo una trama
semplice e lineare porta a commuoversi, sorridere e sicuramente riflettere sul
valore dei legami familiari e con il proprio territorio. Il personaggio di
Arlecchino con i “suoi guizzi, salti e lazzi” può essere visto come una metafora
dell’uomo contemporaneo che recupera il suo passato e guarda al futuro con la
sua tipica capacità di arrangiarsi e reinventarsi con forza, vitalità ed
energia. Nel film possiamo infatti osservare quasi un passaggio di testimone
tra padre e figlio. Paolo, riabbracciando l’importanza dei valori tradizionali
e dei veri affetti si trova dunque a dover scegliere tra il freddo mondo
televisivo della capitale o quello caldo e accogliente, semplice e vitale di
una cittadina di provincia lontana dalla falsità della tv, grazie anche alla
genuinità del teatro. Il contrasto forse è un po’ troppo marcato ma il film
scorre piacevolmente, in maniera armoniosa, quasi come una favola moderna, con
una regia pulita che ha l’intelligenza di non strafare, aiutata da bei paesaggi
e musiche azzeccate.
Grande merito all’aspetto teatrale della sceneggiatura,
all’abilità dei registi, sebbene alla loro prima esperienza (decisamente
promossi), e soprattutto alla scelta del cast: Pasotti rende bene il tormento
di un uomo alla riscoperta di se stesso; a Lunetta Savino e Gianni Ferreri (nei panni di
una coppia di attori teatrali amatoriali) è affidato l’elemento comico, con qualche
battuta allegra e divertente che serve ad alleggerire l’atmosfera e a sdrammatizzare
i toni. Ma quella che senza dubbio si è rivelata vincente è stata la decisione
di affidare il ruolo di Giovanni allo
straordinario Roberto Herlitzka, capace di trascinare il film con la sua
bravura nell’interpretare un anziano Arlecchino in fin di vita ma ancora pieno
di vitalità.
Io, Arlecchino,
film delicato e a tratti commovente, sarà nelle nostre sale dall’11 giugno.
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