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lunedì 9 marzo 2015

"Foxcatcher": Una storia americana

di Silvia Sottile

Il sottotitolo italiano di Foxcatcher  è Una storia americana e già questo, per quanto possa sembrare banale, inquadra chiaramente lo scenario focalizzandosi su un mondo tipicamente USA. Il film di Bennett Miller racconta fatti realmente accaduti: è l’adattamento cinematografico dell’autobiografia di Mark Schultz Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia. Storia legata al mondo dello sport (nel caso specifico la lotta libera) con una passione che supera i limiti della follia.

Protagonisti della drammatica vicenda sono lo stesso Mark Schultz (interpretato da Channing Tatum) e suo fratello maggiore Dave (Mark Ruffalo), campioni olimpici di lotta libera nel 1984. 

Dopo aver vissuto un’infanzia difficile e dopo la straordinaria vittoria alle Olimpiadi, i due fratelli sono molto legati nella vita e soprattutto nello sport. Si allenano anche insieme ma Mark si sente spesso oscurato dalla fama del fratello maggiore (di pochi anni), nonostante Dave (decisamente più maturo, non solo in riferimento all’età) sia in realtà molto affettuoso e protettivo nei confronti del fratello minore, quasi un padre. 

A mutare gli equilibri e a sconvolgere profondamente questa situazione interviene John du Pont (Steve Carell), un eccentrico e psicopatico miliardario, eccessivamente patriottico, appartenente ad una nota ed antica dinastia americana. Convinto di avere il mondo ai suoi piedi grazie al denaro, pensa di poter comprare tutto e tutti con i soldi: perfino carri armati, mitragliatrici dall’US Army…  e le persone, appunto. Du Pont vive in una sconfinata tenuta in Pennsylvania dove decide di allenare una squadra di lotta libera (Team Foxcatcher, dal nome della sua tenuta). Mark accetta subito (riuscendo a vincere i Mondiali) mentre Dave non vuole sradicare la sua famiglia e inizialmente rifiuta. Scopriamo che Du Pont ha i suoi gravi problemi a causa del rapporto conflittuale con l’anziana madre (Vanessa Redgrave) e cerca da sempre di ottenere la sua approvazione senza mai riuscirci. La simbiosi tra Mark e il suo mentore non va nel migliore dei modi: se all’inizio si pone oltre che come allenatore anche come una figura paterna per il ragazzo, in seguito Du Pont arriva addirittura ad iniziare all’uso della cocaina il suo giovane protetto che, senza più una valida guida, si perde in una parabola discendente.  Poi, rendendosi conto che i risultati sportivi non sono quelli sperati, il miliardario decide di richiamare Dave e farlo trasferire a Foxcatcher con moglie (Sienna Miller) e figli al seguito. Solo il supporto del fratello, che si scontra con Du Pont, può aiutare un Mark psicologicamente fragile e distrutto a qualificarsi per un soffio alle Olimpiadi del 1988. La storia si evolve così, con estrema lentezza e angoscia, fino al tragico epilogo che naturalmente non riveliamo. I fatti successivi alla drammatica conclusione del film sono raccontati in poche righe prima dei titoli di coda.

Centotrentaquattro minuti che non passano mai per un dramma già intenso e deprimente di suo ma narrato in maniera particolarmente lunga, noiosa, fredda e pesante. I dialoghi sono spesso fatti solo di poche sillabe e manca del tutto un collante, una qualsiasi cosa che dia fluidità e che riesca a tenere desta l’attenzione dello spettatore.
E pensare che questa pellicola ha ricevuto 5 nomination agli Oscar! Si vede che agli americani piace, a noi decisamente meno. Per dovere di cronaca vanno segnalate le magistrali prestazioni degli attori, unica salvezza del film: spicca la camaleontica bravura di Steve Carell (profondamente trasformato per l’occasione e meritatamente candidato come miglior attore protagonista) ed anche Mark Ruffalo (nominato come miglior attore non protagonista) è bravissimo e toccante nel suo ruolo. Channing Tatum, tutto muscoli ma mono-espressivo e sempre ingrugnito, è perfetto per la parte solo grazie alla sua fisicità.

La cosa più triste e tragica di Foxcatcher, al cinema dal 12 marzo, è proprio il fatto che si tratta di una storia vera. 

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