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venerdì 25 aprile 2014

“Il mondo fino in fondo”: varcare il proprio limite può renderci migliori

di Carlo Anderlini

Nel film Il mondo fino in fondo si parte del rapporto scazzoso tra Davide e Loris, fratelli separati da sensibilità diverse. Davide e' gay, diciottenne stanco della sua clandestinità sessuale, mentre Loris è ignaro di ciò, marito e quasi padre, trentenne strutturato nell’azienda di famiglia e con l’ Inter nel cuore. Durante una trasferta insieme a Barcellona al seguito degli ultras, Davide conosce il cileno Andy, poche parole, molti tormenti e un po’ di lotta ecologica. Andy è in fuga da se stesso, ma in Davide tutto muta, esce dal carapace, lascia solo un biglietto al fratello e segue come un aquilone il suo nuovo amico fino a Santiago. Lontano dal suo piccolo paese diffidente ed ottuso, subito deluso nelle aspettative amorose ma contagiato dal dinamismo risoluto del gruppo estremista e della sua leader Ana (la ex ragazza di Andy), Davide si impasta confusamente di idee di lotta attivista facendosi coinvolgere anche in alcune incursioni. Quando Andy molla tutto e va alla deriva nella lontanissima Patagonia cilena, Davide e Ana si dirigono alla sua ricerca verso il Sud del mondo ("Vuelvo al Sur, como se vuelve siempre al amor"). Loris, il fratello, lo raggiungerà per non perderlo e per capire le ragioni della fuga. Oltre i confini terrestri ed oltre i loro confini mentali, essi incontrano persone, si confrontano e si scontrano, seguono il loro mantra, vivono. Ma into the wild non ci sono più nascondigli, e insieme al goal dell’Inter qui la verità arriverà pura e sferzante come il vento dei ghiacciai. 

Il regista, soggettista e sceneggiatore Alessandro Lunardelli esordisce con questo road-movie di ampio respiro, e la sua è una duplice arditissima sfida. Seguire con rigore e coerenza il doppio binario del percorso interiore di crescita di Davide e dello scontro ecologico globale non è impresa da poco. Ed infatti qua e là affiorano opacità e asimmetrie, la gestione dei protagonisti è talvolta senza briglie, le tematiche spesso galleggiano a causa della loro sovrabbondanza e l’impalcatura complessiva è poco ancorata. Il regista pare inoltrarsi pericolosamente sull’ondivago sentiero del non luogo patagonico, in cui gli approdi non si intravedono, qualcuno si perde per strada e un percorso vale l’altro; l’importante, sembra dirci, è non fermarsi mai, come vale in fondo per ogni percorso umano. Solo che l’opera sembra procedere e misurarsi più con un obiettivo geografico finale invece che fondarsi sulla metabolizzazione finale dei confronti identitari. Ma tutto questo, in un’opera prima che ha ricevuto un contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e una buona accoglienza al Festival di Roma, può anche essere giustificato. In fondo i nodi cruciali del film sono sufficientemente dipanati e la perdita dell’innocenza individuale e collettiva è testimoniata da precisi rintocchi scenici. 
Come succede, ad esempio, nei delicati passaggi di outing personale e familiare tra i due fratelli durante la ricerca di Andy. Quando tra i due cala il grande silenzio del ghiacciaio, la bianca verità occupa tutto lo spazio possibile, e parole mai dette finora dall'uno diventano parole mai sentite prima dall'altro. Snodi familiari irrisolti, una madre irrequieta che se ne andò via, lontani rancori insabbiati; goal, goal, e poi il goal finale liberatorio, e la partita è finita. La reciproca fragilità ha lasciato ora il posto alla fraterna leggerezza. Solo di fronte alla purezza primigenia (mentale o fisica che sia), al di là di quella finis terrae che è in ciascuno di noi, si possono abbattere le barriere mentali che deteriorano il senso del nostro vivere. 
Come succede, anche, nel percorso di lettura della realtà politico-ecologica: in un Cile ancora irrequieto, che da trenta anni cerca a fatica di dimenticare il suo oscuro passato, la lotta rivoluzionaria è limitata a interventi mediatici, condotti con approssimazione da attivisti che “non vogliono far male a nessuno”, desiderosi più di essere intervistati dal Times e di riconciliarsi con la loro identità perduta che di salvare il mondo; mentre la paura e la diffidenza sociale ancora ribollono sotto le antiche ceneri dell’odio e le multinazionali inquinano anche i più lontani avamposti. Ma la salvezza individuale e collettiva è nel farsi contagiare dalla bellezza, nelle grandi distese inesplorate della nostra psiche, dove si scongelano i ghiacciai delle nostre meschinità e dove non si è né a favore né contro, ma insieme. 

Dedicato soprattutto ad un pubblico giovane e abbastanza esigente, il film si avvale di una interpretazione frenata di Davide (Filippo Scicchitano, Scialla) e di un sovraeccitato Loris (Luca Marinelli, lo sguardo de La solitudine dei numeri primi), nonché della battagliera e malinconica Ana (Manuela Martelli). Ottima performance del tassista Lucho (Alfredo Castro). Il film girato ad Agro (paese immaginario del Piemonte), a Barcellona, a Santiago del Cile ed infine nei pressi della meravigliosa Laguna di San Rafael, arriverà nelle nostre sale il 30 aprile.

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