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venerdì 22 gennaio 2016

“Steve Jobs”: un biopic in tre atti

di Silvia Sottile

Danny Boyle, regista di film cult quali Trainspotting (1996) e The Millionaire (2008) che gli è valso l’Oscar per la regia, porta in scena (nel vero senso della parola) un ritratto piuttosto atipico di Steve Jobs, il fondatore della Apple. Non si tratta infatti della storia della sua vita ma punta solo su tre momenti particolarmente importanti della sua carriera professionale, facendoli incrociare con l’aspetto privato.

La sceneggiatura di Steve Jobs, basata sull’omonima biografia autorizzata  scritta da Walter Isaacson e pubblicata nel 2011, è ad opera di un altro premio Oscar, Aaron Sorkin (The Social Network). Questo brillante adattamento gli è appena valso un Golden Globe, tanto che stupisce la sua mancata candidatura agli Oscar.

Il copione del film presenta una struttura teatrale, cosa che emerge in tutta la sua evidenza nel corso della rappresentazione. Si tratta di un’opera tripartita (quasi come fosse suddivisa in tre atti) che si svolge nel backstage pochi minuti prima dei lanci dei tre prodotti più rappresentativi della carriera di Jobs: si parte col Macintosh nel 1984, si passa poi al NeXT nel 1988 e si finisce con la presentazione dell’iMac nel 1998, tratteggiando un ritratto più intimo che professionale dell’uomo che ha rivoluzionato la tecnologia digitale. Quello che emerge infatti non è l’esaltazione del mito di Steve Jobs ma un uomo con immani pregi ed anche enormi difetti, soprattutto in ambito relazionale.

La sceneggiatura eccellente e la regia impeccabile sono trascinati dalla straordinaria interpretazione di Michael Fassbender nei panni di Steve Jobs, a dimostrazione che per trasformarsi nel personaggio ed essere convincenti non è necessaria una forte somiglianza fisica ma conta esclusivamente l’incredibile capacità recitativa. Fassbender ha offerto una prova immensa del suo talento che gli è valsa una meritatissima nomination agli Oscar. Ne viene fuori il ritratto di un genio, la cui mente instancabile ha praticamente plasmato il mondo (quasi come un direttore d’orchestra) ma emergono anche tutte le sue difficoltà nei rapporti umani che ci portano ad empatizzare con lui. 
Va riconosciuto grande merito anche alla bravura di Kate Winslet che interpreta (con una performance meno evidente, dato il minore spazio sulla scena, ma altrettanto grandiosa) Joanna Hoffman, ovvero la direttrice marketing sempre al fianco di Jobs, ruolo che l’ha portata a vincere il Golden Globe come miglior attrice non protagonista (e nella stessa categoria è in lizza per l’Oscar). Altre figure ruotano intorno a Jobs e si trovano a dialogare e a scontrarsi con lui dietro le quinte proprio nei momenti che precedono i tre importanti lanci: l’ex-fidanzata Chrisann Brennan (Katherine Waterston) insieme alla figlia Lisa, l’amico e co-fondatore della Apple Steve Wozniak (Seth Rogen) e l’ex CEO (amministratore delegato) della Apple John Sculley (Jeff Daniels). Tutto il cast è di alto livello e dà vita a questa sorta di spettacolo teatrale su grande schermo che nella sua struttura tripartita (ma anche nel percorso interiore del protagonista) ricorda molto Il canto di Natale di Charles Dickens con Scrooge che incontra i suoi fantasmi del passato, presente e futuro: la differenza è che qui Jobs incontra le figure reali della sua vita, anche se indubbiamente in parte romanzate. 
Tanti i dialoghi, continui i movimenti in scena, davvero un’opera incredibile, sorretta anche dalla particolare colonna sonora di Daniel Pemberton che ha creato musiche diverse per ognuno dei tre segmenti, particolarmente adatte ad evidenziare il momento storico e tecnologico di ogni periodo.

Steve Jobs, al cinema dal 21 gennaio, è un gioiello cinematografico, frutto dell’abilità di Boyle, dell’incredibile scrittura di Sorkin, e recitato divinamente da due dei migliori attori contemporanei, ovvero Fassbender e la Winslet. 


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