di Silvia Sottile
È uscito il 16 aprile nelle nostre sale Black Sea, il thriller claustrofobico del regista premio Oscar
Kevin MacDonald (Un giorno a settembre,
L’ultimo re di Scozia). Un intenso Jude Law è il protagonista di questa
adrenalinica avventura mozzafiato e senza esclusione di colpi a bordo di un
sommergibile nelle gelide e profonde acque del Mar Nero alla ricerca dell’oro
dei nazisti.
Il Capitano di sommergibili Robinson è un uomo che ha perso tutto: un divorzio
difficile alle spalle, un figlio con cui non ha nessun rapporto e un
licenziamento improvviso da parte della società di recupero relitti per cui ha
lavorato una vita intera. Decide allora di riscattarsi con una straordinaria
impresa senza precedenti: recuperare il carico d’oro che giace sul fondo del
Mar Nero custodito dentro un sommergibile tedesco affondato nel 1941. Si tratta
di un’impresa disperata, quasi suicida, dove in gioco c’è persino la vita.
Robinson trova un finanziatore, Lewis (Tobias Menzies), e assolda in gran
segreto un ristretto numero di uomini (inglesi e russi) promettendo di dividere
l’oro in parti uguali. Man mano che il sottomarino scende in profondità e si
avvicina al tesoro, anche l’anima di ogni singolo membro dell’equipaggio va a
fondo in un crescendo di rivalsa, egoismo e soprattutto avidità che prende il
sopravvento spegnendo le luci della ragione in un gioco al massacro alla fine
del quale potrà restarne soltanto uno.
Un carico d’oro da recuperare, un equipaggio pericoloso, ancor
più della missione stessa già rischiosa di suo, l’incomunicabilità tra inglesi
e russi, un collegamento con la seconda guerra mondiale, il mistero degli
abissi marini, la paura di morire: ci sono tutti gli elementi classici
dei film d’avventura ambientati in un sottomarino, perfetti per costruire un
buon prodotto del genere, ricco di azione. Macdonald è abile a mixare
sapientemente tutti questi elementi, in fin dei conti non particolarmente
innovativi se non addirittura scontati, sommando anche l’aspetto prettamente
psicologico. Riesce così ad ottenere un thriller lento e adrenalinico al tempo
stesso, carico di tensione (sempre presente) che tiene col fiato sospeso fino
all’ultimo istante. Riuscirà qualcuno (e chi) ad uscire vivo dal sottomarino? Indubbiamente
la tragedia del Kursk (affondato nel 2000 con oltre 100 uomini intrappolati a
bordo) ha giocato un ruolo importante nella genesi del film. Su un’altra cosa
il regista ha pienamente colto nel segno, probabilmente grazie alla sua
esperienza con i documentari da cui deriva una grande attenzione ai dettagli:
buona parte del film è stata girata all’interno di un vero sommergibile russo (il
Black Widow, di proprietà di un collezionista inglese) e il resto su una fedele
ricostruzione in studio. Gli spazi stretti aumentano esponenzialmente l’effetto
claustrofobico che voleva evidenziare, riuscendoci perfettamente. Anche l’illuminazione
è ridotta al minimo, l’oscurità proviene dall’esterno (ovvero dal paesaggio
sottomarino che per certi versi somiglia molto allo spazio dei film di
fantascienza) ma anche dall’interno, sia del sommergibile (quasi privo di luci)
che degli uomini: il buio come una
metafora dell’animo umano.
E poi c’è lui, Jude Law, straordinario protagonista
assoluto, bravissimo nel ruolo del carismatico Capitano Robinson, un anti-eroe,
concentrato più sul tesoro come rivalsa personale (vediamo anche dei flashback
con la moglie e il figlio) che sulle diatribe tra i suoi uomini, ossessionato
dall’oro salvo poi dimostrarsi capace di atti eroici. Un ruolo intenso,
interpretato magistralmente, che gli consente ancora una volta di mostrare il
suo talento e di reggere gran parte del film sulle sue spalle. È affiancato da comprimari all’altezza: tutto
il cast di contorno è stato scelto con cura e si mostra di alto livello, sia tra
gli “inglesi” (tra cui spiccano l’australiano Ben Mendelsohn che interpreta il
folle sommozzatore Fraser, l’americano Scoot Mcnairy nei panni dell’avvocato
Daniels e il giovane Bobby Schofield/Tobin) che tra i “russi” (davvero russi,
tra i migliori attori del loro paese, su tutti Konstantin Khabenskiy nel ruolo
dell’interprete Blackie e Grigoriy Dobrygin ovvero Morozov).
Black sea, un
concentrato di tensione e adrenalina, riesce a tenere desta l’attenzione per
tutte le due ore della sua durata, regalando un piacevole intrattenimento agli
amanti del genere. È sicuramente un bel film, realizzato anche bene, ma non va
tralasciato un dettaglio: lascia addosso un senso di angoscia e claustrofobia
nello spettatore. Alla fine della visione si sente un forte bisogno di spazio,
luce e soprattutto aria. E se fosse una cosa voluta? Noi lo mettiamo in conto.
Non me lo aspettavo ma Black Sea è davvero un film bellissimo, ben costruito su più livelli e per nulla scontato :D
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