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martedì 21 gennaio 2014

"La gente che sta bene": la commedia si fa gradualmente dramma

di Carlo Anderlini

Dall’ultimo romanzo di Federico Baccomo (già autore nel 2009 di Studio illegale da cui venne tratto il film con Fabio Volo) esce nelle sale il 30 gennaio La gente che sta bene per la regia di Francesco Patierno.
Il film racconta le vicende di Umberto Dorloni (Claudio Bisio), avvocato d’affari di successo in un prestigioso studio internazionale, il quale, cialtrone sul lavoro e assente a casa, cavalca spavaldamente la sua carriera senza apparenti ostacoli, ignorando sia la crisi economica (che «in città si misura dallo stato di salute dei piccioni»), sia le vistose problematiche che incombono sulla moglie Carla (una inascoltata, ma misurata e solida Margherita Buy che su richiesta del marito ha lasciato il lavoro per intraprendere «la carriera genitoriale») e sui figli ( «Se si fanno in tarda età, come si fa a sgridarli?»).
Il successo e i soldi («Ci si realizza quando ti pagano») sono l’unico target possibile del nostro protagonista, lavoro e famiglia come unicum aziendale. 
Umberto ha sempre la battuta pronta, spesso fuori luogo, possiede energia e sfrontatezza, ascolta e accudisce solo se stesso, lavora la domenica pomeriggio, è simpatico e trascinante, ma sa essere anche subdolo, imbroglione, viscido, furbastro e cinico. Il regista lo affida al giudizio dello spettatore senza rete di protezione, sul filo della satira sociale più pungente. 
La storica commedia all’italiana – dove lo spettatore accetta di parlare dei propri difetti ma solo a patto che se ne rida – è assente, non c’è posto per essa  - nella visione dello scrittore prima e del regista poi – in questa Italia schiacciata dalla crisi, dove gli avvocati si ritrovano camerieri e dove si può restare a galla  – come nel recente film di Virzì  - solo attraverso amoralità e bassezze di ogni genere.
Anche Alberto è vittima della crisi che travolge uomini e mercati, e la sua intoccabilità viene spazzata via all’improvviso da un inaspettato licenziamento (tocca a lui ora sentirsi dire «Vedila come un’opportunità»). Ed è da qui che l’egocentrismo del personaggio e la sua ferrea volontà di farcela riveleranno i suoi lati più oscuri e scorretti. Tra i lupi della foresta, però, vi è un altro capobranco (l’ avvocato Azzesi, un poderoso Diego Abatantuono), al tempo stesso mastino e sciacallo, che sa leggere i labiali e che gioca altrettanto sporco.... Nel dipanarsi della vicenda (che vede sempre più coinvolta la moglie di Azzesi (Jennipher Rodriguez, venezuelana dalla «sensualità andalusa»), Umberto giocherà tutte le sue carte più meschine, perdendo inevitabilmente pezzi della sua vita e, interamente, se stesso. Solo quando il suo specchio umano gli restituirà l’immagine di ciò che è divenuto, la sua scelta sarà dirompente, liberatoria e definitiva.                      Girato tra Roma, Milano e Berlino, sostenuto giustamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in quanto riconosciuto di interesse culturale, La gente che sta bene esplora efficacemente la quotidianità di una umanità sbruffona e carrieristica che attraverso simpatiche bastardate e inconfessabili viltà si procura soldi e successo, ma anche autolesionismi e fragilità, autoiniettandosi inevitabilmente il virus di una disperazione da cui, per chi ne è consapevole, potrà nascere un nuovo e più equilibrato stile di vita.
Patierno conduce il dipanarsi della vicenda con taglio sereno, non critico, limitandosi ad osservare senza sentenziare; lo spettatore si affianca a Umberto e se ne distacca, non è mai neutrale: la simpatia del protagonista non viene accettata supinamente, ma viene percepita come passepartout per manipolare le altrui coscienze. Si ride anche, ma in tono misurato. Quello che il regista ci consegna è un Umberto iperattivo ma non macchiettistico, detestabile senza esserne cosciente («l’aborto è una decisione implementata»), tenero infine nel suo disorientamento.
L’ impianto narrativo, sorretto da una sceneggiatura frizzante ma mai eccitata, è apprezzabilmente realistico. Il dipanarsi della vicenda è ben strutturato, le situazioni e i personaggi appaiono credibili: la vita altalenante come un indice di borsa, il predatore che diviene preda, la caduta vista come generatrice di un’altra vita possibile. In passaggi che appaiono ben messi a fuoco, la commedia si fa gradualmente dramma. 
Il coinvolgimento dello spettatore è evidente, merito del regista, delle musiche adeguate e degli attori, piccoli grandi colossi italiani che sorreggono con bravura e visceralità l’impalcatura filmica. Perfetto il cameo finale di Carlo Buccirosso.
In questo notevole equilibrio narrativo e situazionistico e nella bravura degli interpreti c’è dunque il pregio del film che, senza aspirare a diventare un’icona della filmografia contemporanea, appare in linea con le aspettative di chi rifugge da banalità e gratuita sciatteria.

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