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domenica 19 gennaio 2014

"Khumba - Cercasi strisce disperatamente": quante strisce ci vogliono per fare una zebra?

di Luca Cardarelli

Khumba è una zebra nata con le strisce solo su metà del proprio corpo. Il branco, intimi a parte, accoglie questa sua peculiarità molto negativamente: obnubilato dalla superstizione, lo addita prima come causa della potente siccità che colpisce il gran deserto del Karoo dove vivono, poi della morte della madre.
Con l’aiuto di una mappa disegnatagli da una mantide e la speranza di ottenere le tanto agognate strisce mancanti,  Khumba decide allora di mettersi in viaggio alla ricerca della fonte miracolosa di cui gli aveva parlato la mamma prima di morire. Durante il percorso, fisico e di crescita, troverà due fidi compagni: Mama V, un grosso gnu materno, e Bradley, uno stravagante struzzo. I tre si imbatteranno in Phango, un leopardo feroce alla caccia proprio di Khumba...
Diretto dal sudafricano Anthony Silverston, già sceneggiatore e produttore di Zambezia (2012) per la casa di produzione Triggerfish, Khumba – Cercasi strisce disperatamente dipinge, in una CGI di livello abbastanza alto per un film indipendente, l’emarginazione del "diverso” e la conseguente ricerca dell’accettazione da parte della comunità di appartenenza in una storia che ricorda, con le dovute differenze, quella di Dumbo della Disney.
Khumba e Phango, protagonista e antagonista, hanno in comune proprio l’umiliazione dell’emarginazione dal gruppo: il primo per l’assenza delle strisce su metà del corpo, il secondo per la sua cecità parziale. Entrambi sono alla ricerca dell’affermazione personale e dell’accettazione da parte di terzi. Khumba capirà durante il viaggio che non è importante tanto il parere degli altri, quanto il fatto di accettarsi così come si è (esisteva realmente una specie di zebra ormai estinta, il Quagga, che presentava strisce solo su metà del corpo).
Bisogna sottolineare come ai registi sudafricani questi temi stiano particolarmente a cuore. Pensiamo a Neil Blomkamp, per esempio, e ai suoi District 9 ed Elysium: entrambi i film, infatti, si basano su storie di divisione sociale o etnica.
Silverston si rivolge al pubblico dei più giovani con l’intento di evidenziare come la diversità, in questo caso solo fisica, non sia un valido motivo per escludere qualcuno dal gruppo: ciò che può essere visto come una menomazione può invece rappresentare semplicemente una peculiarità o addirittura una preziosa caratteristica di cui andare fieri.
Oltre all’intento morale, il regista ha diretto Khumba col dichiarato scopo di far conoscere ed apprezzare le meraviglie che si celano dietro un paesaggio apparentemente arido ed inospitale come quello del Gran Deserto del Karoo: molti degli “anfratti” che si scorgono durante il viaggio di Khumba sono riproduzioni fedelissime della realtà. Ne viene fuori un bellissimo quadro che presenta, inoltre, una moltitudine di personaggi: il cane selvatico Skalk, la mantide che segue Khumba come se fosse il suo angelo custode (reminiscenze del collodiano Grillo Parlante), lo gnu materno Mama V e lo struzzo Bradley (personaggi assimilabili al mammut Manny e al bradipo Sid de L’era glaciale).
Risultano inoltre molto apprezzabili altri numerosi personaggi che danno vita a gag strapparisate:  il branco di antilopi “rugbyste”, la famiglia di suricati (talmente abituati ai turisti dei safari da mettersi addirittura in posa per le foto di rito!), il coniglio di fiume ribelle, la tribù di iraci delle rocce che venera una oscura aquila nera e la pecora pazza con un elmetto da ariete formano una collezione faunistica molto accurata nei dettagli, divertente e ben caratterizzata.
Tra i fattori che rendono molto piacevole la visione di Khumba troviamo certamente la colonna sonora, che alterna musiche tradizionali africane a pezzi moderni tendenti al country, ed il cast scelto per il doppiaggio originale: Liam Neeson ha prestato la propria voce a Phango, l’ex Iena Steve Buscemi al cane selvatico Skalk (un caso?) e Laurence Fishbourne (il Morpheus della trilogia di Matrix) al papà di Khumba, Seko.
Se dobbiamo proprio trovare un difetto, il cattivo è forse messo un po’ troppo in disparte: comparendo relativamente poco durante tutto il film, non crea la suspance che un leopardo in caccia dovrebbe suscitare ed anche il combattimento in chiusura finisce per risultare leggermente sbrigativo e poco emozionante.
Ci sentiamo di promuovere questo film d’animazione sia per quanto riguarda la grafica (più matura rispetto ai classici film sul genere di Madagascar), sia per la sceneggiatura che per i nobili intenti educativi.
Al cinema dal 6 febbraio.

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