di Silvia Sottile
Presentato al Festival di Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs,
Fai bei sogni è liberamente ispirato all’omonimo romanzo autobiografico di
Massimo Gramellini (pubblicato da Longanesi), enorme successo letterario (e
commerciale) del 2012.
Il regista Marco Bellocchio sceglie di mantenersi piuttosto
fedele alla storia narrata, modificando giusto ciò che serve necessariamente alla
trasposizione dalla carta stampata al mezzo cinematografico. Dettagli comunque
non così tanto marginali che chi ha letto il romanzo non può non notare, così
come salta subito agli occhi una differenza (non solo fisica ma anche
caratteriale) del protagonista nel
passaggio dal libro al film.
Massimo (Nicolò Cabras da bambino, Dario Delpero da
adolescente e Valerio Mastandrea da adulto) perde l’amatissima madre (Barbara
Ronchi) in tenera età, quando aveva solo 9 anni. Crescendo con questo vuoto dentro, con
la mancanza della figura più importante in assoluto e con l’alone di mistero
che circonda questa scomparsa (le cui circostanze si disveleranno solo nel
finale), sviluppa una forma di difesa chiudendosi ai sentimenti per proteggersi
dall’angosciante sensazione di assenza con cui è costretto a convivere. Intanto
seguiamo la sua carriera professionale che lo porta a diventare un affermato
giornalista di un noto quotidiano nazionale (La Stampa), mentre sul piano personale si va dal rapporto con un
padre autoritario e a tratti anaffettivo (Guido Caprino) all’incontro con la
dottoressa Elisa (Bérénice Bejo), l’unica persona che fa finalmente scattare
qualcosa in lui. Da segnalare la partecipazione straordinaria di Fabrizio
Gifuni, Piera Degli Esposti e del Maestro Roberto Herlitzka che, anche solo per
un piccolo cameo, lascia il segno.
Partiamo dal presupposto che non è mai facile adattare per
il grande schermo un romanzo, specie se di grande successo, come in questo caso.
Oltretutto Fai bei sogni è di suo un
libro molto difficile da trasporre per immagini, dato il suo carattere
introspettivo: affronta, infatti, il percorso emotivo di Massimo, i suoi
ricordi e soprattutto la sua difficilissima elaborazione del lutto lunga oltre
30 anni.
Bellocchio costruisce il suo film impostando molto bene i
vari piani temporali e i flashback, con una prima parte prettamente riferita al
passato e una seconda al presente, pur non essendo poi così netta la suddivisione.
E aggiunge anche un tocco quasi gotico dando uno spazio non indifferente alla
figura di Belfagor, aiutato in questo
dalla cupa fotografia di Daniele Ciprì.
Mentre le musiche di Carlo Crivelli
sottolineano maggiormente i passaggi emozionali tra i momenti felici e gioiosi
– come nei ricordi di Massimo bambino con la mamma – e l’angoscia vissuta per
tutta la vita dopo il dolore della perdita.
Altra caratteristica
interessante della pellicola è la ricostruzione storico-sociale attraverso
alcuni momenti salienti (sport, cronaca, programmi televisivi Rai), dell’Italia
nel corso di questi trent’anni.
Fai bei sogni è
dunque un film struggente, in cui la sofferenza intima del protagonista è
espressa con i silenzi e l’impeccabile interpretazione di Mastandrea e Caprino nonché
dei giovanissimi Cabras e Delpero. Quello
che invece manca – e che conoscendo il materiale di partenza ci saremmo
aspettati – è una maggiore capacità di coinvolgere emotivamente lo
spettatore. Sembra quasi che per evitare
di cadere nella trappola di una facile commozione, Bellocchio abbia mantenuto i
toni leggermente più freddi del previsto.
Inoltre la durata del film (134 minuti) è decisamente eccessiva: la
prima parte è caratterizzata da un ritmo lento e prolisso mentre alcune sequenze
della seconda metà, per quanto interessanti, risultano superflue ai fini della
narrazione, appesantendo l’insieme.
Pur con questi difetti, Fai
bei sogni, nelle nostre sale dal 10 novembre, rimane un buon film che
delinea un intenso affresco
esistenziale, il cui unico insormontabile problema sta nell’inevitabile confronto
con il meraviglioso romanzo di Gramellini.
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