Parliamo di...

mercoledì 25 marzo 2015

"Ho ucciso Napoleone" - commedia dark fuori dagli schemi

di Silvia Sottile

La regista Giorgia Farina, al suo secondo lungometraggio dopo il buon esordio con Amiche da Morire racconta ancora una volta una storia a tinte forti. Ho ucciso Napoleone è un film molto particolare, una commedia noir, sopra le righe, moderna e spiazzante.

Anita (Micaela Ramazzotti) è una single e brillante manager in carriera, fredda e calcolatrice che alla vigilia di una promozione si ritrova licenziata e incinta di Paride (Adriano Giannini), il suo capo sposato e con figli.  Ma Anita non si piange addosso, lei ha un cuore di ghiaccio (anzi, per usare le sue parole, come “un sofficino congelato”) e vuole solo riottenere il suo posto di lavoro, la cosa più importante del mondo ai suoi occhi. Con mente lucida e spietata, inizia allora ad ordire un preciso e diabolico piano di vendetta contro i suoi ex-colleghi e il suo capo. Viene aiutata da Biagio (Libero De Rienzo), timido e goffo avvocato,  e soprattutto da uno squinternato gruppo di donne che incontra al parco sotto l’ufficio ovvero la spacciatrice Olga (Elena Sofia Ricci) e le sue clienti: Gianna (Iaia Forte), Enrica (Thony) e Filippa (Monica Nappo). Riuscirà in questa impresa matematicamente pianificata? L’imprevisto è sempre in agguato anche perché nessuno è come sembra, con continui colpi di scena - uno su tutti - che stravolgeranno le carte in tavola. E allora ecco un secondo piano di vendetta: perché Anita non crolla, lei “è così”!

La protagonista assoluta è Anita, una brava Michaela Ramazzotti tutta d’un pezzo, versione Crudelia De Mon, con acconciature diaboliche e persino una ciocca rosso sangue. Una donna diversa dalle solite, odiosa ma anche affascinante, che non perde mai di vista il suo obiettivo e anche se (solo a tratti) ha cenni di dolcezza nei confronti della sua bambina, non diventerà mai la madre perfetta. Del resto sia lei che gli altri protagonisti hanno alle spalle situazioni familiari deleterie (interessante a questo proposito l’inserimento di flashback) che li hanno resi così come sono.
Il tema di fondo è la vendetta ma anche il bel rapporto di amicizia al femminile con questa complicità che si crea tra donne (tutte bravissime attrici tra l’altro). Ne esce male la gravidanza, vissuta come un incidente con Anita che continua a bere e fuma persino marijuana.

Tirando le somme possiamo definire decisamente positive l’originalità, la freschezza e l’impronta di internazionalità data dalla giovane regista, che ha il merito di spiazzare lo spettatore, forse anche troppo. Indubbiamente tutto il film è recitato sopra le righe, i personaggi sono delle caricature portate all’eccesso. Costumi, acconciature, fotografia, montaggio contribuiscono a dare un ritmo pulp quasi da fumetto. L’innovazione è sicuramente un merito. La Farina non ha paura di osare anche a costo di apparire cinica.

Nella prima ora, nonostante la poco realistica trama (che volendo ci può stare, siamo ben consapevoli dell’ironia di fondo) si ride piacevolmente. La seconda parte del film invece, dopo un netto taglio dovuto a un incredibile colpo di scena, perde nettamente di ritmo ed è troppo discontinua, facendo dimenticare quanto di buono visto prima. Peccato.

Ma alla fine, chi è Napoleone? È possibile scoprirlo direttamente al cinema: Ho ucciso Napoleone sarà nelle nostre sale dal 26 marzo.

lunedì 23 marzo 2015

"Home - A casa": un’indimenticabile avventura fantascientifica per tutta la famiglia.

di Silvia Sottile

Dopo un 2014 non particolarmente positivo (vuoi per il mezzo flop de I pinguini di Madagascar, vuoi per la delusione del mancato Oscar a Dragon Trainer 2, andato al rivale Big Hero 6 targato Disney), la DreamWorks Animation cerca il riscatto con questo piccolo capolavoro di animazione per famiglie.

Home – A casa, diretto da Tim Johnson (Z la Formica), è l’adattamento cinematografico del romanzo per ragazzi The True Meaning of Smekday di Adam Rex. I Boov sono una razza aliena perennemente in fuga dai temibili Gorg e alla ricerca di un pianeta in cui trasferirsi per essere al sicuro. Il loro capo, il cinico e vigliacco Capitano Smek (doppiato da Steve Martin in versione originale), individua come luogo adatto il Pianeta Terra: per impadronirsene tutti gli esseri umani vengono catturati e rinchiusi in una sorta di riserva umana in Australia. Tra i Boov, tendenzialmente poco socievoli ed egoisti, ce n’è uno che invece ha tanta voglia di fare amicizia: si tratta di Oh (Jim Parsons), un piccolo alieno viola, pasticcione e sbadato, che dopo aver commesso l’ennesimo guaio (che stavolta rischia davvero di  causare la distruzione della sua razza!) è costretto a scappare dai suoi simili in quanto ricercato per essere eliminato. Durante la fuga si imbatte in Tip (Rihanna), una ragazzina umana scampata alla cattura (insieme al suo gatto Pig), che vuole disperatamente ritrovare sua madre (Jennifer Lopez). 

Ha così inizio un avvincente giro del mondo su un’auto volante (alimentata da coloratissime bibite aromatizzate) tra bolle di sapone, monumenti fluttuanti, divertenti e rocambolesche avventure on the road. Condividendo la ricerca della mamma di Tip e la voglia di Oh di riparare al suo errore, nasce un’improbabile quanto affettuosa amicizia interrazziale tra il piccolo alieno e la ragazza, che poi è il messaggio principale del film: ciò che è diverso da sé inizialmente fa paura, ma conoscersi e comprendersi  può far scoprire di essere molto simili e di condividere addirittura gli stessi sentimenti. L’amicizia e i legami familiari sono il motore più forte di tutto, gli errori rendono umani (non bisogna essere perfetti) e piuttosto che scappare è meglio affrontare le cose con coraggio.  

La trama è piuttosto lineare ma mai scontata grazie ad alcune frizzanti trovate e a sapienti colpi di scena. Siamo nel mondo della fantascienza (ben mixata all’animazione per bambini) e il richiamo a ET di Spielberg, anche legato al desiderio dei Boov di trovare un luogo da chiamare "Casa", non è assolutamente casuale.

Decisamente coinvolgente la colonna sonora, ricca di brani inediti dal ritmo pop realizzati e interpretati da Rihanna che, oltre alla voce, a guardar bene sembra prestare anche i lineamenti a Tip. Persino gli alieni non riescono a trattenersi dal ballare! Questa musica invitante si sposa alla perfezione con le immagini vivacissime dai mille colori sgargianti che ricordano  parecchio i fumetti. Spettacolari i monumenti di tutto il Mondo che fluttuano grazie alle bolle e davvero carine le chicche visive per i più piccoli come ad esempio i Boov che cambiano colore a seconda delle emozioni (Oh diventa verde quando dice le bugie).

A ben vedere c’è un piccolo cambiamento di rotta da parte della DreamWorks, che per prima indirizzò i film di animazione anche ad un pubblico adulto, grazie a diversi livelli di lettura.  Home – A casa è più orientato verso i bambini a cui si rivolge principalmente, facilitandoli anche nella comprensione dei messaggi, salvo poi riuscire ad emozionare tutta la famiglia. E in questo fa centro: il piccolo alieno Oh è adorabile e conquista subito con la sua simpatia, la sua sbadataggine e il suo bisogno di affetto che lo rendono simile a tutti noi.

Home – A casa , nelle nostre sale dal 26 marzo, diverte e commuove grandi e piccini. Consigliato per un piacevole pomeriggio in famiglia al cinema durante le imminenti vacanze di Pasqua.


giovedì 19 marzo 2015

"Fino a qui tutto bene": frizzante esperimento cinematografico sulla convivenza universitaria

di Silvia Sottile

Vincitore nel 2014 del premio del pubblico al Festival Internazionale del film di Roma, Fino a qui tutto bene ha stupito positivamente per l’ottimo risultato ottenuto con un budget davvero limitato. L’idea vincente del regista (Roan Johnson) è stata quella di realizzare il film a costo quasi zero grazie alla collaborazione tecnica di amici e pagando i giovani e brillanti attori con una compartecipazione agli utili anziché con un cachet vero e proprio. I protagonisti hanno davvero vissuto tutti insieme nella stessa casa come coinquilini durante le riprese.

La  storia, ambientata a Pisa, racconta gli ultimi tre giorni insieme di cinque studenti universitari prossimi a lasciare l’appartamento che hanno condiviso durante gli studi. La trama si sviluppa sia proiettandosi nel futuro incerto di questi giovani che dovranno affrontare le difficoltà della vita vera (mentre fino a quel momento si sono sentiti protetti) sia ricordando quanto accaduto nei mesi e negli anni precedenti. Cioni (Paolo Cioni), il più stralunato del gruppo, resterà a Pisa ma rientrando in casa dei genitori, Ilaria (Silvia D’Amico), dalla vita sessuale disinibita, ritrovandosi incinta è costretta a tornare dalla famiglia nella provincia laziale e a cercare il supporto degli amici intorno a lei. C’è poi Vincenzo (Alessio Vassallo), laureato in vulcanologia, a cui viene offerta una cattedra in Islanda. Questo metterà in crisi la sua storia con Francesca (Melissa Anna Bartolini) che invece preferisce rimanere in Italia a cercare la sua strada. Infine Andrea (Guglielmo Favilla) che vuole viaggiare per il mondo anche per dimenticare la rottura con Marta (Isabella Ragonese, la sua è una partecipazione amichevole), l’unica del gruppo teatrale di cui facevano parte, "I poveri illusi", ad aver avuto successo nel mondo dello spettacolo. Aleggia ancora la presenza di Michele, un loro amico,  suicidatosi un anno prima.

Chi ha vissuto qualche anno da fuori sede non tarderà a ritrovarsi nelle credibili e realistiche vicissitudini della convivenza: risate, liti, amicizie, amori, crisi, nottate sui libri per gli esami con relative feste da sballo il giorno dopo, divisione dei costi delle bollette telefoniche, sughi scaduti e mitici pranzi o cene a base di ‘pasta col nulla’ ovvero con quel che di commestibile si recupera in frigo.  Da un lato dunque il desiderio di restare ancorati a questi anni di divertimento, dall’altro l’angoscia del mondo là fuori che li aspetta. Affiora una certa incoscienza da parte di questi ragazzi nell’affrontare i problemi della vita ma sicuramente emerge anche la voglia di non mollare, di non arrendersi di fronte alle difficoltà e piuttosto ‘continuare a remare’ con coraggio e fiducia.
Con questo film,  al cinema dal 19 marzo, si ride e si riflette, alternando allegria ad amarezza. Unica pecca forse l’aver messo troppa carne al fuoco, ovvero troppi spunti che in 80 minuti non possono certo essere approfonditi come dovrebbero e quindi rimangono un po’ superficiali insieme a qualche scena goliardica di troppo, ma nell’insieme, visto il budget ridotto, possiamo dire che si tratta di una scommessa vinta e un esperimento riuscito.  

Dal punto di vista tecnico salta subito all’occhio un grande utilizzo di piani sequenza a mano sfruttando la luce naturale, il che conferisce un’atmosfera molto viva e reale. La colonna sonora, che si sposa bene con la trama e le immagini, è del gruppo pisano "I Gatti Mézzi".

Fino a qui tutto bene  si regge sulla sceneggiatura, la regia e la bravura del cast (gli attori, per quanto giovani, si sono formati all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica o al Centro Sperimentale di Cinematografia). Nel suo piccolo si rivela un buon prodotto, credibile e godibile: uno spaccato di vita universitaria al giorno d’oggi, con i pregi e i difetti della convivenza, un forte legame di amicizia e la paura per il futuro. Si può quasi immaginare il film come una sorta di prequel ideale delle tante commedie che prendono spunto dalla difficile situazione lavorativa giovanile causata dalla crisi.

mercoledì 18 marzo 2015

"La solita commedia - Inferno": la comicità demenziale di Biggio & Mandelli

di Silvia Sottile

Sapevamo cosa aspettarci da La solita Commedia – Inferno,  il film comico del duo Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli  (I soliti Idioti) e purtroppo è andata esattamente come previsto. Anche la più piccola speranza di salvare qualcosa si è rivelata vana. Ad essere onesti non sentivamo il bisogno dell’ennesimo prodotto di basso livello che, distribuito da Warner Bros in oltre 400 copie, arriva nelle nostre sale il 19 marzo.
Lo spunto di partenza, nelle intenzioni degli autori, non vuole essere tanto una parodia della Divina Commedia quanto della società contemporanea ma la spinta critica si rivela sterile e banale e si esaurisce praticamente subito nel susseguirsi di scenette una dietro l’altra che spesso girano a vuoto.
L’inferno è nel caos: Minosse non riesce a gestire i nuovi peccatori perché non sa in quale girone mandarli. Chiede aiuto a Lucifero, che a sua volta va da Dio che convoca un consiglio di Santi dal quale emerge una geniale soluzione: mandare Dante (Mandelli) sulla terra per catalogare tutti i nuovi peccati e creare nuovi gironi, del resto sembra la persona adatta allo scopo dato che se ne occupò secoli prima. Dunque Dante si ritrova catapultato in una città del nord Italia (sembrerebbe Milano) al giorno d’oggi, dove Virgilio (Biggio), trentenne impiegato di un supermercato, gli fa controvoglia da guida nel caos quotidiano.
Da qui sembra quasi emergere l’assunto che l’inferno sia la vita di tutti i giorni, la realtà che ci circonda. Ne escono una serie di sketch assurdi, più o meno comici, molto surreali e ben poco divertenti (probabilmente nelle intenzioni avrebbero dovuto far ridere molto di più) in cui gli stessi Biggio e Mandelli, con parrucche,  travestimenti e trucchi posticci, insieme ad un piccolo manipolo di altri attori (Tea Falco, Marco Foschi, Paolo Pierobon, Daniela Virgilio e Gianmarco Tognazzi, nel ruolo, tra gli altri, di Padre Pio), interpretano innumerevoli personaggi. Abbiamo gli hacker, il tiratore di pacchi, il maniaco dell’ordine e della pulizia, gli adoratori di tragedie, i tecno incontinenti (ovvero dipendenti da smartphone che addirittura vanno in un centro di recupero), i consumatori di bruttezza, gli incapaci del wi-fi, ecc., distribuiti in pseudo gironi quali il bar alle 8 del mattino, il traffico all’ora di punta, il supermercato o il condominio. Ci ritroviamo dunque di fronte ad un’accozzaglia di sketch, neanche ben collegati tra loro, che sulla carta dovrebbero essere divertenti ma dai quali emerge una comicità demenziale fine a se stessa, fiacca, sterile e con poco mordente che stanca quasi subito. Che poi, a dirla tutta:  ma si tratta davvero di peccati che meritano l’Inferno?

Tralasciando la descrizione dell’aldilà ai limiti della blasfemia (Dio che fuma e beve e si riempie di psicofarmaci, Gesù moccioso e viziato, Lucifero all’ultima moda e i Santi che litigano tra di loro) e l’uso eccessivo di parolacce senza una reale necessità, fa tanta tristezza anche l’immagine dello stesso Dante, spaesato, che parla in rima. Probabilmente si starà rivoltando nella tomba.
Neanche le note di Vivere di Vasco Rossi sul finale riescono a risollevare la situazione. Una cosa però bisogna riconoscerla: la canzone dei titoli di coda, Vita d’Inferno, presentata quest’anno al Festival di Sanremo, resta in testa anche se controvoglia.

Possiamo augurarci che questo film rimanga un prodotto unico e che, per omaggiare La Divina Commedia, non ne facciano una trilogia. 

"Latin Lover": Un omaggio al grande cinema italiano e a Virna Lisi

di Silvia Sottile

La regista Cristina Comencini torna al cinema dopo quattro anni. E lo fa con Latin Lover, una commedia corale al femminile con un ricco cast internazionale. Un film che racconta e omaggia il grande cinema italiano del passato, quello dei miti, attraverso l’immaginaria figura di Saverio Crispo (Francesco Scianna), un divo degli anni d’oro del cinema italiano con la fama di latin lover, una famiglia allargata e una figlia per ogni donna (ognuna in un paese diverso). Questo personaggio d’altri tempi ricorda un po’ Tognazzi, Mastroianni, Gassman. Ma al di là del mito c’è anche l’uomo e soprattutto il padre, visto con gli occhi delle sue donne, delle sue figlie, che come tutte le figlie generalmente tendono a idealizzare la figura paterna.

Dieci anni dopo la morte di Saverio Crispo viene organizzata una commemorazione nel suo paesino pugliese d’origine. Nella casa di famiglia si riuniscono tutte le donne della sua vita. Le due vedove: Rita (Virna Lisi), la prima moglie italiana che se lo è ripreso e lo ha accudito in vecchiaia, e Ramona (Marisa Paredes), l’attrice spagnola che lo aveva sposato ai tempi dei western all’italiana. Naturalmente arrivano anche le figlie, tutte di madri e nazionalità diverse: Susanna (Angela Finocchiaro), la prima figlia, italiana, che da 25 anni ha una storia segreta con Walter (Neri Marcorè), il montatore storico dei film di Saverio; l’insicura e nevrotica Stephanie (Valeria Bruni Tedeschi), frutto della “parentesi” francese, accompagnata dal più piccolo dei tre figli avuti da tre uomini diversi; Segunda (Candela Peña ) , la spagnola, unica ad essere sposata, giunta con il marito Alfonso (Jordi Molla), un impenitente traditore; infine l’ultima figlia che non ha quasi mai visto il padre, la svedese Solveig (Pihla Viitala). Manca ancora all’appello Shelley (Nadeah Miranda), la figlia americana riconosciuta solo grazie alla prova del DNA. Nessuna ha mai realmente conosciuto il grande padre che ognuna però ha mitizzato e amato nelle diverse epoche della sua brillante carriera. Continuano dunque a cercare la sua approvazione e il suo affetto anche dopo la sua scomparsa. Nel bel mezzo dei festeggiamenti arriva Pedro (Lluis Homar), lo stuntman, che sembra conoscere Saverio meglio di tutti gli altri e mescola le carte in tavola. Sullo sfondo la presenza del critico Picci (Toni Bertarelli), il giornalista a caccia di gossip (Claudio Gioè) e Saveria (Cecilia Zingaro).
La convivenza  tra tutte le donne del latin lover, per quanto si tratti solo di pochi giorni, porta naturalmente a galla le rivalità mai sopite, gli scontri, le rivendicazioni, soprattutto tra le sorelle, in un accusarsi reciprocamente di aver rubato l’una alle altre l’affetto del padre. Ma emerge anche la figura dell’uomo grazie alle rivelazioni di segreti mai confessati che lo rendono più umano: finalmente queste donne riusciranno a liberarsi dallo sguardo paterno, da questa sorta di subalternità affettiva, per riprendere in mano le proprie vite e andare avanti con la giusta prospettiva e lucidità.  

Latin Lover sarebbe potuto essere un film dai toni ben più drammatici, dati i temi trattati e i sentimenti in gioco,  ma in realtà ci viene sempre presentato sotto forma di commedia, una commedia  divertente e sentimentale, che commuove, fa ridere (anche grazie ad un pizzico di follia e alle situazioni tragicomiche che si vengono a creare) e soprattutto emoziona.
Bellissima e risolutiva la scena serale in salotto, totalmente catartica, che vede un confronto importante tra madri, figlie, sorelle e che infine esplode in una fragorosa risata liberatoria grazie alla straordinaria bravura di Virna Lisi, a cui il film è dedicato. Superba l’ultima interpretazione della grande attrice da poco scomparsa, in un ruolo che rende giustizia al suo talento. Anche noi vogliamo ricordarla col suo sorriso.

Il grande cast internazionale di questa commedia corale annovera altre bravissime attrici tra le quali spiccano Marisa Paredes (che dà un tocco alla Almodòvar grazie anche al nutrito gruppo di artisti spagnoli) e Valeria Bruni Tedeschi. Ma tutti gli attori (e sono davvero tanti) danno il loro importante contributo rendendo credibili i propri personaggi.
Oltre all’ottimo cast, regia, sceneggiatura originale (in un momento in cui quasi tutti i film sono tratti da romanzi o sono remake di altri film è indubbiamente un grande merito) della stessa Cristina Comencini e di Giulia Calenda, merita una menzione lo splendido montaggio di Francesca Cavelli, soprattutto nell’assemblare le immagini che costituiscono il filmato commemorativo finale di Saverio Crispo: un susseguirsi di scene tratte da ipotetici film del grande attore, di generi e con costumi diversi a costituire un meraviglioso e nostalgico omaggio al cinema d’altri tempi e in fondo anche a Scianna che lo interpreta  e che (ce lo ha rivelato in sede di conferenza stampa) l’ha vissuto come un regalo.
Le  musiche di Andrea Farri contribuiscono alla creazione dell’atmosfera. Le canzoni Quando quando quando e Tornerai che concludono il film (quasi fosse un musical) sono cantate da Nadeah Miranda (cantante australiana oltre che attrice) e dallo stesso Scianna.


Latin Lover, nelle nostre sale dal 19 marzo, è un film che merita di essere visto: per le emozioni e i sorrisi che regala e indubbiamente per omaggiare il ricordo del grande cinema italiano e della straordinaria Virna Lisi.

mercoledì 11 marzo 2015

"Cenerentola" - La magia di una fiaba senza tempo

di Silvia Sottile 

Cenerentola, diretto da Kenneth Branagh, rientra nel recente progetto della Disney di rifare in live action (ovvero con attori in carne ed ossa) le fiabe classiche, in passato già portate al successo dalla stessa casa con i film di animazione che tutti conoscono:  lo scorso anno abbiamo avuto Maleficent (una rivisitazione de La bella Addormentata nel bosco) e per lo stesso filone si prevede La bella e la bestia.

La fiaba di Cenerentola – c’è bisogno di dirlo? - è la storia di una fanciulla che perde da piccola la madre e il cui padre si risposa con Lady Tremaine, una donna senza cuore che ha già due figlie. Alla morte del padre la ragazza si trova a fare da serva in casa propria e a subire le cattiverie della crudele matrigna e delle acide (e stupide) sorellastre. Ma grazie alla fata madrina e naturalmente ad un pizzico di magia, Cenerentola (il cui nome è Ella) riesce a vivere un sogno: la zucca si trasforma in una carrozza e i topolini in splendidi cavalli bianchi, partecipa al ballo con un vestito scintillante e danza col principe (Kit) che si innamorerà di lei. Purtroppo allo scoccare della mezzanotte Cenerentola deve fuggire perché la magia svanirà e tutto tornerà come prima. È così che nella fuga perde la scarpetta di cristallo grazie alla quale il principe riuscirà a ritrovarla, si sposeranno e vivranno per sempre felici e contenti.

Kenneth Branagh non si lascia tentare da visioni cupe o rivisitazioni a tutti i costi, al contrario: la sua ‘Cenerentola’ recupera la versione classica della fiaba per bambini e si ispira direttamente al film di animazione del 1950 creando un’opera a dir poco sontuosa per scenografie, immagini, costumi e, naturalmente, attori. La favola rivive come per incanto e torna ai suoi antichi fasti e splendori  portandoci nel suo magico mondo: basta lasciarsi andare e credere nella magia. La mano del grande regista shakespeariano si vede in alcuni tocchi personali e magistrali che danno una chiave di lettura diversa. Fondamentale la scena (del tutto nuova) in cui Cenerentola e il suo principe si incontrano nel bosco, prima del ballo: è qui che si conoscono, si scelgono e scatta la scintilla. Molto bello e approfondito il legame di Ella con i genitori e anche quello di Kit con suo padre. Inoltre la protagonista, durante tutto il film tiene bene a mente le parole della madre e cerca di vivere portando avanti questa missione: ‘sii gentile ed abbi coraggio’ in un elogio della bontà come stile di vita. Il messaggio importante, che fa davvero bene, è proprio questo: bisogna essere gentili ed avere coraggio… e magari credere nella magia!

Branagh ha messo insieme un cast d’eccezione: davvero bravi e incantevoli i giovani Lily James e Richard Madden che danno spessore e spirito moderno a Cenerentola e al Principe Azzurro. Promettono di fare grandi cose in futuro. La perfida matrigna ha le fattezze del premio Oscar Cate Blanchett, una vera cattiva di gran classe che a tratti ruba la scena. La simpatica fata madrina è affidata ad Helena Bonham Carter, concentrato di bontà e divertimento che ci regala la mitica sequenza in cui la zucca diventa una carrozza, i topolini cavalli, le lucertole valletti, l’oca un cocchiere e la creazione dello scintillante abito per il ballo e le scarpette di cristallo di Cenerentola. I momenti in cui la magia compie le sue trasformazioni sono davvero da togliere il fiato. Come anche la scena del ballo tra Cenerentola e il Principe. Ottimi gli effetti speciali, i paesaggi da sogno con le regali scenografie di Dante Ferretti, gli abiti sontuosi di Sandy Powell. Sembra davvero di vivere una favola e basta lasciarsi trasportare per tornare bambini.

Cenerentola  è il classico film della Disney per famiglie, adatto a tutti, grandi e piccini, consigliato particolarmente alle bambine e a tutte le donne che sebbene un po’ cresciute desiderano sentirsi ancora una volta delle principesse. Naturalmente l’abilità di Branagh lo rende molto interessante anche per tutti gli amanti del bel cinema d’autore.


Il film, in sala dal 12 marzo, è preceduto dal divertente cortometraggio Frozen Fever che farà impazzire i più piccoli ma strapperà più di una risata anche agli adulti.

martedì 10 marzo 2015

"Suite Francese" – struggente racconto di una grande storia d’amore durante la guerra

di Silvia Sottile

Suite francese è l’adattamento cinematografico del celebre romanzo di Irène Némirovsky, un capolavoro dalla genesi tragica e travagliata: l’autrice lo scrisse durante i primi anni della seconda guerra mondiale ma non riuscì a portarlo a termine perché fu deportata e morì ad Auschwitz. La figlia Denise lo trovò tra gli appunti della madre solo dopo oltre sessant’anni. 

Il regista Saul Dibb porta sullo schermo questo preciso affresco di guerra vissuta al femminile raccontando con delicatezza ma allo stesso tempo con realismo e con accuratezza storica le vicende della bella Lucile Angellier  (Michelle Williams), sposatasi per volere del padre. La giovane convive con la suocera, Madame Angellier (Kristin Scott Thomas),  donna dispotica e meschina, in attesa di ricevere notizie del marito Gaston, partito per il fronte. 

Siamo in Francia, nel 1940, in un villaggio vicino Parigi,  che viene sconvolto dall’occupazione tedesca. Iniziano ad arrivare in massa i profughi dalla capitale e insieme a loro arriva anche il nemico, l’esercito tedesco. In casa Angellier si stabilisce l’ufficiale Bruno Von Falk (Matthias Schoenaerts), un giovane con la passione per la musica. Inizialmente viene ignorato, ma a poco a poco Lucile, ascoltando la malinconica e romantica melodia suonata al pianoforte da Bruno (e da lui stesso composta), inizia ad avvicinarsi a lui e tra i due nasce un profondo sentimento d’amore. Scoppia così una travolgente passione sulle note di una musica (la suite francese del titolo) che tocca il cuore e scioglie l’anima. Un amore struggente, a dispetto delle atrocità della guerra con cui però deve fare i conti, una passione contrastata dai protagonisti stessi, che non riescono o non possono mettere da parte gli ideali in cui credono.

Sullo sfondo il ritratto fedele di un paese che deve convivere con le truppe d’occupazione: interessante e accurato lo spaccato storico che emerge anche dai personaggi di contorno, che poi tanto secondari non sono, sebbene tutto ruoti principalmente intorno a Lucile. La differenza di classi sociali e di reazioni viene delineata in maniera precisa: abbiamo il Visconte de Monmort (Lambert Wilson) che in quanto nobile, ricco e sindaco della città pensa di essere intoccabile e collabora con i tedeschi, viceversa il contadino Benoit Labarie (Sam Riley) e sua moglie Madaleine (Ruth Wilson) si mostrano insofferenti all’occupazione dando il via alla resistenza. La giovane Celine (Margot Robbie) è la prima a rendersi conto che in fondo non è tutto bianco o nero. E ancora vediamo chi denuncia i propri vicini mentre c’è chi con coraggio e bontà nasconde i ribelli e i bambini ebrei per sottrarli alla deportazione e alla morte.
Il tutto è raccontato in maniera assolutamente perfetta, intensa, avvincente, appassionante, che conquista lo spettatore e lo tiene col fiato sospeso dal primo all’ultimo istante. E c’è estrema attenzione ai dettagli, in ogni cosa: dagli abiti all’arredamento delle case, dai colori al linguaggio. Un’accuratezza davvero rara ma del resto prevedibile dato che il regista ha chiamato all’appello collaboratori candidati e/o vincitori di premi Oscar per scenografia, montaggio, costumi, trucco e acconciature. 

Un discorso a parte meritano le musiche: se la colonna sonora è stata affidata al talento emergente di Rael Jones, il brano principale che riveste un ruolo fondamentale ai fini della trama e dell’innamoramento tra i due protagonisti è stato scritto dal pluripremiato compositore Alexandre Desplat.

Il cast artistico è d’altissimo livello, spiccano principalmente le interpretazioni femminili: la splendida Michelle Williams incarna una Lucile fragile e forte al tempo stesso, appassionata, che scopre la gioia e l’intensità dell’amore velate dalla sofferenza della guerra. È affiancata da un partner all’altezza, un Matthias Schoenaerts che mette nel suo Bruno tutta la malinconia e la passione ma anche la fermezza richieste dal suo personaggio. La bravissima Kristin Scott Thomas interpreta magistralmente Madame Angellier  accompagnandola nella sua evoluzione: inizialmente fredda, acida e spietata, rivelerà di avere un cuore e di saper bene ciò che è giusto fare. Margot Robbie e Ruth Wilson completano il poker di grandi donne e come tutti gli altri interpreti sono assolutamente calate nei propri ruoli. Un grande cast internazionale, quindi, per un film ambientato in Francia ma recitato in lingua inglese proprio per dare alla storia il respiro  universale che merita.

Sì, Suite Francese ha tutte le carte in regola per essere definito un capolavoro. 
Al cinema dal 12 marzo. Da non perdere.


lunedì 9 marzo 2015

"Foxcatcher": Una storia americana

di Silvia Sottile

Il sottotitolo italiano di Foxcatcher  è Una storia americana e già questo, per quanto possa sembrare banale, inquadra chiaramente lo scenario focalizzandosi su un mondo tipicamente USA. Il film di Bennett Miller racconta fatti realmente accaduti: è l’adattamento cinematografico dell’autobiografia di Mark Schultz Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia. Storia legata al mondo dello sport (nel caso specifico la lotta libera) con una passione che supera i limiti della follia.

Protagonisti della drammatica vicenda sono lo stesso Mark Schultz (interpretato da Channing Tatum) e suo fratello maggiore Dave (Mark Ruffalo), campioni olimpici di lotta libera nel 1984. 

Dopo aver vissuto un’infanzia difficile e dopo la straordinaria vittoria alle Olimpiadi, i due fratelli sono molto legati nella vita e soprattutto nello sport. Si allenano anche insieme ma Mark si sente spesso oscurato dalla fama del fratello maggiore (di pochi anni), nonostante Dave (decisamente più maturo, non solo in riferimento all’età) sia in realtà molto affettuoso e protettivo nei confronti del fratello minore, quasi un padre. 

A mutare gli equilibri e a sconvolgere profondamente questa situazione interviene John du Pont (Steve Carell), un eccentrico e psicopatico miliardario, eccessivamente patriottico, appartenente ad una nota ed antica dinastia americana. Convinto di avere il mondo ai suoi piedi grazie al denaro, pensa di poter comprare tutto e tutti con i soldi: perfino carri armati, mitragliatrici dall’US Army…  e le persone, appunto. Du Pont vive in una sconfinata tenuta in Pennsylvania dove decide di allenare una squadra di lotta libera (Team Foxcatcher, dal nome della sua tenuta). Mark accetta subito (riuscendo a vincere i Mondiali) mentre Dave non vuole sradicare la sua famiglia e inizialmente rifiuta. Scopriamo che Du Pont ha i suoi gravi problemi a causa del rapporto conflittuale con l’anziana madre (Vanessa Redgrave) e cerca da sempre di ottenere la sua approvazione senza mai riuscirci. La simbiosi tra Mark e il suo mentore non va nel migliore dei modi: se all’inizio si pone oltre che come allenatore anche come una figura paterna per il ragazzo, in seguito Du Pont arriva addirittura ad iniziare all’uso della cocaina il suo giovane protetto che, senza più una valida guida, si perde in una parabola discendente.  Poi, rendendosi conto che i risultati sportivi non sono quelli sperati, il miliardario decide di richiamare Dave e farlo trasferire a Foxcatcher con moglie (Sienna Miller) e figli al seguito. Solo il supporto del fratello, che si scontra con Du Pont, può aiutare un Mark psicologicamente fragile e distrutto a qualificarsi per un soffio alle Olimpiadi del 1988. La storia si evolve così, con estrema lentezza e angoscia, fino al tragico epilogo che naturalmente non riveliamo. I fatti successivi alla drammatica conclusione del film sono raccontati in poche righe prima dei titoli di coda.

Centotrentaquattro minuti che non passano mai per un dramma già intenso e deprimente di suo ma narrato in maniera particolarmente lunga, noiosa, fredda e pesante. I dialoghi sono spesso fatti solo di poche sillabe e manca del tutto un collante, una qualsiasi cosa che dia fluidità e che riesca a tenere desta l’attenzione dello spettatore.
E pensare che questa pellicola ha ricevuto 5 nomination agli Oscar! Si vede che agli americani piace, a noi decisamente meno. Per dovere di cronaca vanno segnalate le magistrali prestazioni degli attori, unica salvezza del film: spicca la camaleontica bravura di Steve Carell (profondamente trasformato per l’occasione e meritatamente candidato come miglior attore protagonista) ed anche Mark Ruffalo (nominato come miglior attore non protagonista) è bravissimo e toccante nel suo ruolo. Channing Tatum, tutto muscoli ma mono-espressivo e sempre ingrugnito, è perfetto per la parte solo grazie alla sua fisicità.

La cosa più triste e tragica di Foxcatcher, al cinema dal 12 marzo, è proprio il fatto che si tratta di una storia vera.