di Silvia Sottile
Il sottotitolo italiano di Foxcatcher è Una storia americana e già questo, per
quanto possa sembrare banale, inquadra chiaramente lo scenario focalizzandosi su
un mondo tipicamente USA. Il film di Bennett Miller racconta fatti realmente
accaduti: è l’adattamento cinematografico dell’autobiografia di Mark Schultz Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue
e follia. Storia legata al mondo dello sport (nel caso specifico la lotta
libera) con una passione che supera i limiti della follia.
Protagonisti della drammatica vicenda sono lo stesso Mark
Schultz (interpretato da Channing Tatum) e suo fratello maggiore Dave (Mark
Ruffalo), campioni olimpici di lotta libera nel 1984.
Dopo aver vissuto
un’infanzia difficile e dopo la straordinaria vittoria alle Olimpiadi, i due
fratelli sono molto legati nella vita e soprattutto nello sport. Si allenano
anche insieme ma Mark si sente spesso oscurato dalla fama del fratello maggiore
(di pochi anni), nonostante Dave (decisamente più maturo, non solo in
riferimento all’età) sia in realtà molto affettuoso e protettivo nei confronti
del fratello minore, quasi un padre.

A mutare gli equilibri e a sconvolgere profondamente questa
situazione interviene John du Pont (Steve Carell), un eccentrico e psicopatico
miliardario, eccessivamente patriottico, appartenente ad una nota ed antica
dinastia americana. Convinto di avere il mondo ai suoi piedi grazie al denaro, pensa
di poter comprare tutto e tutti con i soldi: perfino carri armati, mitragliatrici
dall’US Army… e le persone, appunto. Du
Pont vive in una sconfinata tenuta in Pennsylvania dove decide di allenare una
squadra di lotta libera (Team Foxcatcher, dal nome della sua tenuta). Mark
accetta subito (riuscendo a vincere i Mondiali) mentre Dave non vuole sradicare
la sua famiglia e inizialmente rifiuta. Scopriamo che Du Pont ha i suoi gravi
problemi a causa del rapporto conflittuale con l’anziana madre (Vanessa
Redgrave) e cerca da sempre di ottenere la sua approvazione senza mai riuscirci.
La simbiosi tra Mark e il suo mentore non va nel migliore dei modi: se
all’inizio si pone oltre che come allenatore anche come una figura paterna per
il ragazzo, in seguito Du Pont arriva addirittura ad iniziare all’uso della cocaina
il suo giovane protetto che, senza più una valida guida, si perde in una
parabola discendente. Poi, rendendosi
conto che i risultati sportivi non sono quelli sperati, il miliardario decide
di richiamare Dave e farlo trasferire a Foxcatcher con moglie (Sienna Miller) e
figli al seguito. Solo il supporto del fratello, che si scontra con Du Pont,
può aiutare un Mark psicologicamente fragile e distrutto a qualificarsi per un
soffio alle Olimpiadi del 1988. La storia si evolve così, con estrema lentezza e
angoscia, fino al tragico epilogo che naturalmente non riveliamo. I fatti
successivi alla drammatica conclusione del film sono raccontati in poche righe
prima dei titoli di coda.
Centotrentaquattro minuti che non passano mai per un dramma
già intenso e deprimente di suo ma narrato in maniera particolarmente lunga,
noiosa, fredda e pesante. I dialoghi sono spesso fatti solo di poche sillabe e
manca del tutto un collante, una qualsiasi cosa che dia fluidità e che riesca a
tenere desta l’attenzione dello spettatore.
E pensare che questa pellicola ha ricevuto 5 nomination agli
Oscar! Si vede che agli americani piace, a noi decisamente meno. Per dovere di
cronaca vanno segnalate le magistrali prestazioni degli attori, unica salvezza
del film: spicca la camaleontica bravura di Steve Carell (profondamente
trasformato per l’occasione e meritatamente candidato come miglior attore
protagonista) ed anche Mark Ruffalo (nominato come miglior attore non protagonista)
è bravissimo e toccante nel suo ruolo. Channing Tatum, tutto muscoli ma mono-espressivo
e sempre ingrugnito, è perfetto per la parte solo grazie alla sua fisicità.
La cosa più triste e tragica di Foxcatcher, al cinema dal 12 marzo, è proprio il fatto che si
tratta di una storia vera.
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