di Silvia Sottile
Presentato fuori concorso alla 73^ Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di Venezia, Tommaso
vede il ritorno dietro la macchina da presa di Kim Rossi Stuart, dieci anni
dopo l’esordio alla regia con Anche
libero va bene. Questa sua seconda opera è in realtà strettamente collegata
alla prima, difatti il protagonista – il Tommaso del titolo – altri non è che
il bambino di Anche libero va bene che in Tommaso
ritroviamo cresciuto e alle prese con problemi affettivi ed esistenziali.
Tommaso (Kim Rossi Stuart) ha una relazione con Chiara
(Jasmine Trinca) ma fa di tutto per essere lasciato. Quando finalmente ci
riesce, pensa di essere libero di vivere le sue passioni, ma in realtà continua
ad essere ossessionato dalle figure femminili che incontra, commette gli stessi
errori e tutte le sue storie finiscono
sempre allo stesso modo: romanticismo e desiderio lasciano il posto alla paura
di impegnarsi. Sulla sua strada Tommaso incontra Federica (Cristiana Capotondi)
e Sonia (Camilla Diana), ma è solo quando si ritrova completamente solo e
disperato che si rende conto di dover affrontare i demoni del suo passato.
L’idea di partenza, ovvero la voglia di indagare le
difficoltà relazionali di un uomo che ha subìto un trauma nell’infanzia (l’abbandono
da parte della madre) è sulla carta uno spunto interessante. Peccato che la
messa in scena non lo sia altrettanto, risultando forzata e a tratti
imbarazzante. La rappresentazione di
questa realtà non appare credibile, persa tra sogni ad occhi aperti, psicanalisi,
suggestioni, allucinazioni e scene oniriche surreali. Ma soprattutto non aiuta
la recitazione del protagonista (il caso vuole che anche Tommaso sia un
attore), troppo sopra le righe, enfatica, tanto da far risultare evidente la
finzione. E così non si trasmette quel senso di realtà necessario per
immedesimarsi nelle vicende narrate sullo schermo.
Kim Rossi Stuart, nel ruolo
di regista, attore, autore di soggetto e sceneggiatura, costruisce un film su
di sé in cui lui stesso è protagonista assoluto, sogna, desidera, urla, si
muove, gesticola, si strugge, nei panni di un uomo insicuro, insoddisfatto e
disturbato. È sempre in scena, senza però essere in grado di trasmettere
profondamente le emozioni del suo personaggio. Sembra quasi che gridi i suoi
problemi piuttosto che sentirli davvero. In Tommaso
si nota una inconfondibile influenza morettiana, un’ispirazione tanto forte
ed evidente quanto inspiegabile, anche perché Rossi Stuart non è Nanni Moretti.
Il punto di vista sulla storia è sempre soggettivo e
maschile (fin troppo), mentre le figure femminili sono solo di supporto, dei corpi (spesso nudi), a
cui non viene dato il giusto spessore.
Va sottolineato, però, che ci sono alcuni
momenti divertenti, i personaggi infatti sono visti con una bonaria ironia. Dunque
il film vira più sulla commedia che sul dramma, ed alcune scene, talmente
surreali da risultare comiche, aiutano la scorrevolezza della pellicola.
A livello visivo è ben calibrata l’alternanza di interni ad
esterni (in particolare paesaggi di campagna), mentre la colonna sonora, che
avrebbe potuto aiutare nel trasmettere il pathos, risulta piuttosto anonima.
Tommaso, nelle
nostre sale dall’8 settembre, non riesce a convincere pienamente, perso tra
desiderio autoriale, poca coerenza e difficoltà a dare un senso di realtà.
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