di Carlo Anderlini

Asia Argento ha, nel 1984, 9
anni, e vivrà una grave crisi e lacerazione dalla separazione tra Dario Argento
e Daria Nicolodi, al tempo due mostri sacri dell’universo cinema italiano.
Inevitabile pensare, allora, ad una strettissima connessione con le vicende di
Incompresa, in cui vengono raccontate le tragiche avventure della piccola Aria
(la baby prodigio Giulia Salerno), al centro di un ciclone di violenze,
discrediti, accuse e rancori tra i suoi genitori separati. Autobiografico,
dunque, il terzo film di Asia Argento (anche se lei sembra sminuire), dopo i
dimenticabili Scarlet Diva del 2000 e il trash Ingannevole è il cuore più di
ogni cosa del 2004. Un titolo, Incompresa, che come una sinossi dell’infanzia
appare ironico e nostalgico, rievocativo di quell’Incompreso di Luigi
Comencini che nel 1967 fu presentato, come questo film, al Festival del Cinema di Cannes.
Aria dunque, nel 1984, non è
amata come lei vorrebbe. Il padre, divetto del cinema (un Gabriel Garko
superstizioso e collerico) e la madre, pianista (una Charlotte Gainsbourg
ninfomane e rabbiosa), sono inesorabilmente diversi tra loro. Sono ingombranti,
irragionevoli, disattenti, lontani. Tra una scenata e l’altra, sembrano amare
più le sue sorellastre, avute da precedenti unioni, che lei. Colpevolizzata per
ogni cosa, Aria assiste e tace, unica piccola luce in quell’ambiente
malato. Una separazione che Asia Argento osserva dal basso, dagli occhi della
vittima incolpevole, che deve gestire il suo abbandono da sola. Tra egoismi e
indifferenze no limits, non ascoltata, non capita, spesso neppure vista, Aria
cerca di tramutare l’incombente dramma in opportunità. Essa inizia la sua lunga
marcia, la strada è il suo rifugio e un gatto nero il suo confidente angelo
custode. Aria affronta la sfida con quel sapiente distacco che le consente
dapprima di acquisire immagini e suoni, poi elaborare consapevolezze e
propositi, infine proiettarsi verso l’ avventura dell’ adolescenza.

Asia Argento, con appassionato
impegno, calca la mano sulla povertà interiore e sulla confusione mentale degli
adulti, mentre il bambino, quel bambino che resta sempre in noi, cerca di
tenersi a galla alla ricerca di un approdo sicuro. L’intento di salvarlo è
evidente, come evidente è il ricordo doloroso di suoni antichi e familiari,
chissà quando uditi e in quali circostanze. Asia che tenta di salvare Aria,
Asia che vorrebbe essere la regista della sua adolescenza. Ma ciò che è nella
testa talvolta non si trasferisce in linguaggio cinematografico. L’intera
vicenda si sviluppa in immagini orizzontali, sovrapponibili, che si allineano
piatte come i seni di Aria. Diverse scene, anche forti, potrebbero essere
collocate al posto di altre, stesse le urla, stessi i rancori, stesse le
dinamiche. Come se, in fondo, quello che vive la protagonista fosse un unicum
indivisibile e acronologico. Anche i protagonisti adulti strepitano e si
sbattono, rullando sulla pista senza mai decollare; e senza decollo non si vola
e non c’è emozione. Anche se alcune immagini rimangono vigorose, la storia nel
suo insieme rimane confinata nell’oscurità, forse la stessa oscurità dei
ricordi sgradevoli dell’infanzia. Il vagare innocente della piccola
protagonista nella notte di Roma è descritto in maniera asettica e
stereotipata. L’inserimento di alcune scene shock (l’arresto dei genitori,
la festa dei bambini finita nel vandalismo) sono ingredienti non lievitanti se
non gratuiti. Il dramma vissuto dalla piccola Aria lo si legge chiaramente, ma
non lo si introietta. Si parteggia per lei, con tenerezza, ma senza passione.
Il mondo dei grandi, maschere di disamore e di egoismo, appare percepito dalla
bambina con troppa distaccata fissità, mentre l’ incombere della tragedia non
appare supportato da eventi decisivi.
Non un film per bambini, che
hanno ancora bisogno di supporti di mediazione per poter comprendere
comportamenti genitoriali così ostili; forse un film per il bambino che è
rimasto in noi, quel bambino che ora ha perdonato gli orchi cattivi di un tempo
lontano. Un film sospeso a metà tra la terra dei grandi e il cielo dei piccoli,
forse collocabile in quella nuvola grigia dell'infanzia dove pare essersi
fermata la nostra sincera Asia Argento.
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