di Luca Zanovello

La
versione 2014 di Godzilla è affidata a Gareth Edwards - regista che aveva già
dimostrato di sapersi destreggiare bene in scenari “mostruosi” (Monsters, 2010)
- e tenta di rinnovare e risollevare la reputazione del leggendario ed
antesignano kaiju, riallacciandosi per molti aspetti proprio alle sue
primissime apparizioni, quelle made in Japan nei lontani anni 50.
Se
gli esiti catastrofici sulle metropoli e sui loro abitanti sono gli stessi, nel
film di Edwards la strada che conduce alla distruzione è più elaborata e particolare
di quella del suo predecessore (nonché di quasi tutti gli innumerevoli capitoli
della saga): quando due gigantesche e misteriose uova covate per decenni nel
sottosuolo danno vita a dei raccapriccianti e distruttivi parassiti
insettiformi, l’umanità è costretta ad armarsi fino ai denti per respingere
l’attacco. La
situazione sembra complicarsi ulteriormente con la comparsa di Godzilla,
preistorico lucertolone risvegliatosi dal fondo dell’oceano: la Natura ha però
strani modi di mantenere il suo millenario equilibrio e così, forse, Godzilla sarà
proprio il mezzo migliore per combattere i nuovi flagelli. Sullo sfondo di un
epico combattimento inter-mostri, l’umanità annaspa nel suo splendido e
autodistruttivo egocentrismo, sperando ancora una volta di sfuggire alle proprie
responsabilità.

Nonostante
qualche cliché da kolossal catastrofico, il nuovo Godzilla vince la scommessa
in un non facile mix fra tradizione e futuro, unendo budget ed effetti speciali
da urlo ad un’estetica e ad alcune dinamiche mutuate tout court dalla tradizione
del Gojira nipponico, a partire dall’aspetto del vero ed acclamato protagonista
della pellicola, un Godzilla mai così eroe, mai così “umano”. Se i comprimari
“Muti” sono spaventosi e del tutto malvagi, il lucertolone diventa una sorta di deus ex machina in un ruolo ben congegnato e di profonda empatia.
Era
legittimo avere qualche riserva sulle doti di Edwards, quasi esordiente, eppure
sotto la sua direzione la leggenda godzilliana non solo non naufraga, ma rinasce. Poco male se il 3D (come troppo spesso accade) non aggiunge nulla al dinamismo
e alla profondità del film: il regista vince sul versante tecnico con una regia
fluida e spettacolare e con un team grandioso che consegna una fotografia
elegantissima (Seamus McGarvey, We Need To Talk About Kevin, Anna Karenina) e le
suggestive scenografie di Owen Paterson (The Matrix, Priscilla La Regina Del
Deserto).

Una
manovra benevolmente populista, certo, ma che ha il merito di rilanciare una
leggenda lunga 60 anni e che, ultimamente, aveva perso un po’ di smalto.
Il momento che sintetizza meglio il fascino della pellicola è uno dei combattimenti finali fra Godzilla e i Muti: una spessa e tetra nube di polvere e detriti incornicia la lotta spettacolare e furibonda mentre in basso, tra le macerie, giace “l’arroganza dell’uomo di pensare di avere la natura sotto il proprio controllo e non l’esatto contrario”.
Il momento che sintetizza meglio il fascino della pellicola è uno dei combattimenti finali fra Godzilla e i Muti: una spessa e tetra nube di polvere e detriti incornicia la lotta spettacolare e furibonda mentre in basso, tra le macerie, giace “l’arroganza dell’uomo di pensare di avere la natura sotto il proprio controllo e non l’esatto contrario”.
complimenti, bella recensione, al film gli darò certamente un occhiata :)
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