di Silvia Sottile
Il regista premio Oscar Martin Scorsese nel corso della sua
lunga e gloriosa carriera ha messo spesso al centro delle sue opere argomenti
e tematiche di natura fortemente religiosa, come ad esempio nel controverso L’ultima tentazione di Cristo (1988) e
in Kundun (1997), ma ne troviamo
comunque tracce in gran parte della sua filmografia.
Scorsese ha impiegato quasi trent’anni per realizzare Silence, basato sull’omonimo romanzo
dello scrittore giapponese di fede cattolica Shusaku Endo. Con questo film il regista prova ad esplorare il
rapporto dell’uomo con la fede ed in particolare esamina il problema spirituale
e religioso del silenzio di Dio di fronte alle sofferenze umane.
La storia di questa attesissima pellicola sulla fede e la
religione racconta del viaggio (sia fisico che spirituale) che due giovani
missionari portoghesi intraprendono per raggiungere il Giappone alla ricerca del loro mentore scomparso, padre
Ferreira (Liam Neeson), non credendo alle voci che lo danno convertito al
buddismo dopo aver abiurato il cristianesimo. Si tratta di un percorso irto di
pericoli e difficoltà perché in quel periodo (XVII secolo) in Giappone era in
atto una violentissima inquisizione che sottoponeva a persecuzioni e torture
tutti coloro che si professavano cristiani, costringendoli all’apostasia (ovvero a rinnegare la propria
fede) o ad essere condannati ad una morte lenta e dolorosa. Silence segue i due giovani preti
gesuiti, padre Rodrigues (Andrew Garfield) e padre Garupe (Adam Driver), che
nel corso della loro ricerca si ritrovano ad esercitare il loro ministero
presso gli abitanti di alcuni villaggi giapponesi perseguitati per il loro
credo religioso.
Silence è un’opera fortemente intrisa di spiritualità, tanto
da farne il suo cuore pulsante. Sicuramente non è un film per tutti, è ostico,
rigoroso e molto lungo (quasi tre ore). Oltretutto il ritmo è particolarmente
lento, cosa che appesantisce ulteriormente la visione, rendendola difficile e
quasi di nicchia. Eppure Silence non lascia
certo indifferenti, anzi: è intenso, intimo, profondo; i temi importanti e
carichi di interesse emotivo che vengono eviscerati fanno riflettere anche dopo
la visione, che lascia aperti molti dubbi e interrogativi che si prestano a
letture differenti e diverse interpretazioni anche in base all’animo dello spettatore
(e al suo essere credente o meno). Merito naturalmente della sapiente regia di Scorsese che
cambia spesso prospettiva, sottolineando non solo l’aspetto intimo della fede
ma anche l’utilizzo della religione da parte del potere, con un’accurata analisi
di quel particolare periodo storico.
La ricostruzione impeccabile dei villaggi rurali giapponesi del
XVII secolo è opera del nostro
straordinario Dante Ferretti, scenografo tre volte premio Oscar, giunto
alla nona collaborazione con Scorsese. Perfetta la colonna sonora ad opera dei
coniugi Kluge che fa un uso magistrale anche del silenzio; la fotografia di
Rodrigo Prieto toglie il fiato e riesce a far emergere la bellezza dei paesaggi.
Anche la montatrice Thelma Schoonmaker, vincitrice di tre Oscar, è una storica
collaboratrice del regista ma questa volta forse la scelta di un montaggio così
poco dinamico non è stata delle più azzeccate. Il cast invece è dei migliori,
in particolare il protagonista Andrew Garfield, grazie alla sua intensità e
alla sua grande capacità espressiva, regala un ottimo ritratto psicologico di
Padre Rodrigues e dimostra di essere maturato dai tempi in cui interpretava Spider-Man. A breve lo vedremo anche in Hacksaw
Ridge di Mel Gibson.
Silence, nelle
nostre sale dal 12 gennaio, non è un
film esente da difetti. Alcune immagini sono molto forti, come quando la camera
indugia troppo sulle macabre scene di tortura o addirittura post mortem; il personaggio di Kichijiro
(Yosuke Kubozuka) diventa a poco a poco quasi caricaturale tanto da rasentare involontariamente
il ridicolo, senza dimenticare la durata eccessiva, il ritmo pesante, alcuni
passaggi oscuri e contorti. Eppure questo film regala alcuni momenti di grande
cinema, è esteticamente meraviglioso, fa davvero riflettere sul rapporto
dell’uomo con la fede e tocca profondamente l’anima.
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