di Roberto Caravello
Distribuito dalla Dreamworks, arriverà
nelle nostre sale il 27 novembre I Pinguini di Madagascar, l’atteso spin-off sugli amatissimi
animali “carini e coccolosi”, per la
regia di Eric Darnell (creatore dell’omonima serie animata sui Pinguini,
co-regista di tutta la serie di Madagascar e anche dell’interessante Z la formica) e Simon J. Smith (regista del pessimo Shrek 4D e del peggiore Bee Movie).
La storia, inizialmente, ingrana bene: troviamo
sulla bianca banchisa artica Skipper, Kowalski e Rico che, ancora cuccioli,
rischiano le piume per salvare un uovo (che si scoprirà essere il piccolo
Soldato) scivolato via dalla colonia. Una volta lontani dal gruppo, i nostri decidono
di darsi all’avventura e al pericolo per tutta la vita. Successivamente, con un
balzo molto in avanti, veniamo trasportati proprio alla fine dell’ultimo Madagascar e tutto si complica: durante una delle
loro scorribande, infatti, gli intrepidi protagonisti vengono rapiti da un
polipo malvagio di nome Dave (chiamato nei modi più strani da Skipper, incapace
di ricordane il nome). Il tentacolato antagonista vuole vendicarsi di loro e
dell’intera specie dei pinguini: gli animali in smoking , infatti, da sempre
sono stati la causa della sua cacciata dagli zoo di tutto mondo perché lo
adombravano con la loro “carineria”. I Pinguini, però, riescono a scappare e
vengono salvati dall’improvvisa apparizione di 4 agenti segreti del Vento del
Nord (una specie di MI6 con la tecnologia dei MIB) proprio sulle tracce di Dave.
Da qui in poi (questi sono soltanto i
primi 20 minuti della pellicola!) la trama diventa un susseguirsi di azione e
siparietti comici senza pietà: si esce dalla sala frastornati dalla miriade di
scene, poco utili e poco chiare. Persino lo svolgimento e la soluzione finale
sono di difficile comprensione e poco interessanti, sembra che tutto sia stato
scritto in fretta e sotto stress! La consequenzialità logica della vicenda va
praticamente a farsi benedire a vantaggio delle scene comiche, che però non
arrivano al pubblico quanto dovrebbero.
Le battute, infatti, risultano troppo
semplici, quasi stupide, e le trovate divertenti che avevano caratterizzato i
pinguini negli altri film, come i piani allucinati di Skipper o le invenzioni
strampalate di Kowalski o i ka-boom di
Rico (qui non pervenuto), sono i grandi assenti ingiustificati di questo blockbuster.
Per di più anche il protagonismo di Soldato (che ad ogni occasione buona cerca
di dimostrare ai suoi compagni di non essere soltanto "carino e coccoloso") non è ben sfruttato e la parabola del suo
personaggio risulta banale e troppo prevedibile.
Questi ultimi Skipper, Kowalski, Rico e
Soldato sembrano, quindi, quasi la caricatura dei veri Pinguini di Madagascar che le vecchie pellicole ci hanno
insegnato ad amare: da parentesi comiche efficaci e puntuali inserite nella
narrazione principale, sono diventati protagonisti insulsi e prevedibili, senza
brio e senza mordente.
Novantadue minuti di risolini a denti
stretti e imbarazzo. Niente applausi.
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