di Roberto Caravello
Il
primo scopo di una narrazione è intrattenere un pubblico, sia esso un lettore,
un ascoltatore o uno spettatore. Dai “racconti intorno al fuoco” alla Divina Commedia la cifra originaria di
una narrazione è l’intrattenimento. Prima ancora che farti riflettere o
insegnarti qualcosa, un buon racconto ti intrattiene (dal latino tenere intra, vale a dire “far sì che il
pubblico rimanga dentro il teatro/cinema per tutto lo spettacolo”). Su questo
intrattenere, però, conviene fermarsi a fare chiarezza: il semplice “raccontar
bene una storia” non è un valore. Un'opera, infatti, per essere definita tale, non può limitarsi solo a raccontare: deve rimandare ad altro da se stessa, non
deve essere autoreferenziale, altrimenti sarebbe solo un prodotto commerciale.
Questa differenza fra opera d’arte (che non sia necessariamente un capolavoro!)
e prodotto commerciale si può osservare molto bene nel mondo del cinema.
Queste premesse sono utili per esprimere il dubbio che La moglie del cuoco di Anne Le Ny (Yvonne in Quasi amici e regista di alcuni film mai arrivati in Italia ma di gran successo in Francia) lascia alla fine della proiezione. La pellicola non è un capolavoro ma non si può propriamente definirla appena un prodotto commerciale.
Queste premesse sono utili per esprimere il dubbio che La moglie del cuoco di Anne Le Ny (Yvonne in Quasi amici e regista di alcuni film mai arrivati in Italia ma di gran successo in Francia) lascia alla fine della proiezione. La pellicola non è un capolavoro ma non si può propriamente definirla appena un prodotto commerciale.
La
trama ha la classicissima struttura della commedia romantica con tanto di
triangolo amoroso ed equivoci alla maniera di Plauto.
Marithé/Karin Viard, vincitrice di due
premi César e ottima attrice, che di mestiere aiuta le persone a scoprire la
propria vocazione lavorativa, conosce sul lavoro Carole/Emmanuelle Devos, anche lei doppio premio César e amatissima
dai francesi, la quale vorrebbe trovare la sua vera attitudine lavorativa.
Carole però non è una disoccupata ma anzi gestisce uno dei migliori ristoranti
di Francia insieme al marito e chef Sam/Roschdy
Zem, premio miglior interpretazione a Cannes nel 2006 per il suo ruolo in Indigènes di Rachid Bouchareb e noto al
pubblico internazionale per film come London
River e La fredda luce del giorno.
Essere sposata ad un grande chef come Sam è frustrante per la frivola Carole,
che si sente costantemente adombrata dallo charme del marito e per questo
motivo da anni intrattiene delle relazioni extraconiugali con alcuni uomini.
All’iniziale difficoltà di Marithé nel trovare una nuova sistemazione
lavorativa a una donna così superficiale e candidamente snob (il sistema
computerizzato propone inizialmente “falconiera”) si aggiunge anche
l’infatuazione che comincerà a provare proprio per Sam, conosciuto casualmente
il giorno stesso in cui incontra Carole.
La storia, come accennato, è un
succedersi di equivoci e situazioni esilaranti (si ride, o almeno sorride, per
tutto il film), ma non assistiamo ad un vero e proprio sviluppo. Tutto ruota
attorno a questo triangolo amoroso e la conclusione (tranquilli: niente
spoiler!) è abbastanza scontata. I personaggi fanno un percorso minimo e non necessariamente
positivo, ciò che evolve sono soltanto le circostanze.
Così
esposto La moglie del cuoco non è certo
un’opera d’arte, starete pensando. Forse.
In
un certo senso, infatti, il film funziona. Fa ridere senza essere volgare, cosa
rarissima, e i personaggi sono presentati molto bene, con una tecnica naturalistica
che ci permette di capirne la psicologia senza forzature o didascalie. Ad un
primo sguardo sembra che la regista Le Ny non voglia farci riflettere su
qualcosa in particolare ma divertirci con non troppa leggerezza e certamente in
serenità. Eppure è proprio in questa “non troppa leggerezza” che si può trovare
il valore del film. Come la stessa Carole, la pellicola esprime
un’inconsistenza consapevole, cioè dice da sé di essere frivola e un po’
inutile, un insieme di buone maniere e frasi di circostanza, il tutto buttato
giù con calcolata innocenza, eppure sui protagonisti aleggia una lieve
malinconia. Non sappiamo se questa sfuggente amarezza sia stata pensata e
calcolata però traspare da ogni fotogramma. Dalle mani della Le Ny la vita ne esce
ironica, pirandellianamente umoristica. La regista non vuole darci un giudizio
di valore sull’adulterio, la disoccupazione, il matrimonio o altro, ma dirci
con molto realismo e semplicità che il proprio posto nel mondo è fondamentale
per ciascuno.
Peccato
che alla fine sembra che i suoi personaggi si accontentino semplicemente dei
loro desideri, sicuramente di quelli più banali.
Sorprende
trovare questa serietà in una semplice commedia romantica come La moglie del cuoco, un film senza
troppe pretese ma certamente migliore della maggior parte delle pellicole
nostrane.
Touché
France!
Dal 16 ottobre nei cinema.
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