di Emanuela Andreocci
L’anno scorso erano arrivati a Roma con quello che avevano definito un work in progress, quest’anno ritornano con lo stesso, affermato spettacolo: Ficarra e Picone, in scena dal 10 al 15 dicembre al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, raccontano con tutta la simpatia che li caratterizza il loro esilarante Apriti cielo.
Con Apriti cielo, così come
nei vostri altri spettacoli, portate in scena la realtà quotidiana…
Salvatore Ficarra «Sì e no. Nel
primo pezzo siamo due tecnici che vengono chiamati da un signore per aggiustare
la tv, vanno a casa sua, trovano la porta aperta, cominciano a lavorare e non
si rendono conto che proprio ad un passo da loro il proprietario di casa è
morto: è stato ucciso e loro potrebbero essere chiamati a risponderne… per
fortuna non è un fatto quotidiano che capita a tutti! Loro, però, si ritrovano
in questa situazione anomala.»
Valentino Picone «Partiamo dal
presupposto che in scena facciamo finta di essere leggermente, ma proprio poco
poco, più stupidi di come siamo nella vita, e ci infiliamo in situazioni che
riteniamo comiche. Quando scriviamo partiamo sempre dal nostro divertimento: in
quanto comici, ci diverte metterci nei guai per poi tentare di uscirne.»
Qual è la vostra forza?
S.F. «Innanzitutto grazie per
aver detto “forza”. Ci piace molto la semplicità, ci diverte allo stesso modo
sentir ridere i bambini e gli adulti. La semplicità per noi è un punto di
arrivo: cerchiamo di fare delle cose che siano accessibili, comprensibili,
leggere per tutti. La risata è soggettiva, come la bellezza. Quante volte in un
concorso è capitato di pensare che chi è arrivata terza era più bella? Ci sono
persone a cui piace di più quella che è stata eliminata per prima. La risata è
così ed ognuno di noi poi ha una sua maniera di proporla. Se trova consenso
bene, altrimenti… beh, sicuramente è uno dei pochi mestieri in cui non può
esistere la raccomandazione!»
V.P. «Alla base di questo
mestiere c’è la grande fortuna, e non lo dico per modestia, di potersi far
conoscere, come è successo con “Zelig”. La nostra forza è continuare a fare
cose che ci divertono e più andiamo avanti, più questo sta diventando per noi
una regola. Non so se sia facile o difficile far ridere: noi lo facciamo. Ci
viene facile quando siamo i primi a ridere, non siamo dei matematici della
risata: siamo stati sempre molto di pancia».
Siete comici, attori, autori, sceneggiatori e anche registi…
V.P. «Queste definizioni si
possono sintetizzare in una sola: artigiani. L’artigiano fa tutto da solo: scriviamo
una cosa perché ci fa ridere e poi ci viene automatico rappresentarla ed
esserne i registi…»
S.F. «… nel senso che portiamo al
cinema ed in teatro le nostre cose: conoscendoci e sapendo cosa vogliamo,
proponiamo al pubblico una messinscena che è la nostra visione della storia che
raccontiamo. Ci accomuna la parola, ma c’è una chiara differenza tra noi e
Virzì o Tornatore: non siamo registi nel senso classico del termine.»
Modelli di
riferimento?
S.F. «Come tutti gli appassionati di comicità potrei citare
i classici, da Chaplin a Stanlio e Ollio a Peppino… Sono come antologie sulle
quali inconsapevolmente hai studiato: ti rimangono degli schemi dentro e,
sempre inconsapevolmente, li applichi.»
V.P. «Ormai Ficarra ha me e io ho lui… ci autoriferiamo!»
Visto che vi autoriferite, tre aggettivi per descrivere Picone?
S.F.«Squallido, inutile e
inqualificabile… glielo dico sempre, non mi piace parlare alle spalle!»
Per Ficarra?
V.P. « Ritardatario, onesto e
pignolo… nelle cose inutili!»
Il vostro ricordo più bello insieme?
V.P. «Quando succede che anche
noi, in scena, ci stupiamo di qualcosa. La risata nuova, per esempio, mi fa
impazzire, e ce ne sono di diversi tipi: la risata con risucchio e quella a intervalli
regolari, per esempio. Tutto questo mi diverte molto.»
S.F. « Il mio ricordo più bello
con Picone si rinnova spesso, per fortuna: è quando ci salutiamo e lui se ne va a casa sua…
è uno dei momenti più belli della giornata per me!»
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