di Carlo Anderlini
“I have a dream”, pensava Jeff Bridges venti anni fa, dopo
aver letto il libro The Giver (1993)
della statunitense Lois Lowry, in cui si racconta la ribellione esistenziale di
un adolescente residente in una Comunità totalitaria fortemente gerarchica,
guidata da una leader carismatica, che con pugno reazionario non tollera
dissidenti né pensiero indipendente e che si afferma tramite un progressivo e
costante plagio mentale dei cittadini.
Ed ora Jeff, l’indimenticato Drugo de Il grande Lebowski, ha realizzato
il sogno di produrre e interpretare sul grande schermo il primo volume (11 mln
di copie vendute, traduzione in 30 lingue, vincitore della prestigiosa Newbery
Medal) di quella quadrilogia per ragazzi distopica e post-apocalittica che
comprende, poi, La Rivincita, Il Messaggero, Il Figlio.
Dopo la Rovina dell’umanità avvenuta decenni prima, gli
umani vivono ora in una comunità che, al fine di evitare ulteriori future
catastrofi, ha scientificamente eliminato
i ricordi, i sentimenti, le emozioni, il dolore, il sesso, le stagioni,
i colori, il linguaggio articolato, le differenze sociali, le libertà
individuali, la possibilità di scelta. Lo Stato ordina senza spiegare, il
cittadino esegue senza porsi domande. Tutto è tranquillo, asettico, volutamente
monotono, apparentemente perfetto.
In questo fredda Pleasantville (aggancio inevitabile) Jonas
e gli altri dodicenni affrontano la
Cerimonia dei 12 anni nella quale il Comitato degli anziani assegna a ciascuno di
essi il tipo di lavoro che dovrà svolgere per tutta la vita. Unicamente ad un
solo di loro, poi, cioè a quello che si è distinto per la capacità di
"vedere oltre", il Comitato assegna talvolta la successione nell’
incarico di Custode delle Memorie dell’Umanità.
E stavolta il prestigioso incarico tocca a Jonas (l’acerbo
Brenton Thwaites), al quale viene assegnato il compito di recarsi
periodicamente nella tetra dimora del vecchio Custode (un cupo ed esausto Jeff
Bridges, ora nel nuovo ruolo di Donatore) per apprendere progressivamente (ma
custodire poi come un assoluto segreto) come l’umanità viveva nel mondo oramai
scomparso. Quel vecchio, consigliere della Comunità, è l’unico a detenere nella
sua mente la loro storia proibita, dono e maledizione al tempo stesso, e questo
lo rende rispettato e temuto.
Il regista australiano Philip Noyce (Ore 10 calma piatta, Il
collezionista di ossa) conduce per mano i due a rapportarsi, a confidarsi, a
scontrarsi e a compattarsi; ora è Jonas, come novello giovane Holden, a
prendere progressivamente conoscenza e coscienza. Che significa essere vivi? Le
passioni sono solo malattie? Il fine giustifica i mezzi? Come agiscono le
famiglie formate in laboratorio? Qual è la sorte che la Comunità assegna agli
anziani? Meglio sapere ed essere felici/infelici o non sapere ed essere
neutrali? E’ giusto essere tutti assolutamente uguali? Cercare ciascuno il
proprio orizzonte o fermarsi ai confini da altri stabiliti? A Jonas, per la
prima volta, il Donatore (come un Citizen Kane pregno di crudo dolore) consente
di fare simili domande.
Le risposte che riceve gli consentono di iniziare a
ricordare: alberi su colline ricoperte di neve, capelli al vento, lontane
risate; vede per la prima volta pareti piene di oggetti chiamati libri, ma vede
anche guerra e tanto dolore. E’ solo il
primo assaggio dell’ infatuazione che Jonas proverà per quel qualcosa che è
stato perso, quel qualcosa che sta oltre quel confine che Jonas vorrà ad ogni
costo attraversare per aprire gli occhi e vederne i colori. Farà a poco a poco
scoperte meravigliose ed angosciose e coinvolgerà nelle sue avventure i suoi
amici Fiona (Odeya Rush) e Asher (Cameron Monaghan). Il sistema
(impersonificato da una agghiacciante Meryl Streep) lo contrasterà e cercherà
di “perderlo”.
La trasposizione cinematografica è tecnicamente abile ed
equilibrata nell’affrontare il percorso di maturazione del protagonista, il suo
passaggio dal non posso al potrei al voglio: voler sapere cosa è il bene e cosa
è il male e non accontentarsi della ingegnerizzazione delle emozioni che
conferiscono solo insulsa tranquillità. Sfiora anche temi delicati come quello
dell’ eutanasia, prendendo posizione e inquadrandola in una ridefinizione
omicida. Le lanterne di carta che si alzano verso il cielo e le accattivanti
note di “Silent night” trainano furbescamente ad una rimeditazione sulla
necessità della fede, già soffocata dalla Comunità. Abile, il regista, anche
nel traghettare l’amicizia di Jonas per Fiona dalla delicatezza,
all’inquietudine, al sentimento amoroso. The Giver constata, senza dare
risposte, che quando le persone hanno la libertà di scegliere, scelgono male,
ma anche che la grande Utopia (vivere in un posto bello, senza odio e
instabilità) non può esistere e che il tentativo di realizzarla può dar luogo
solo a una aberrazione orwelliana.
Film ambizioso dunque, che investe problematiche
comportamentali, sessuali, religiose, politiche. Eccessive, a nostro parere.
Qualche scorciatoia frettolosa e qualche furbata da establishment. Meno intenso
e potente del libro, anche se travisato da spettacolari effetti speciali. La
casa-caverna sulla scogliera in cui vive il Donatore, l’ologramma onnipresente
del Supremo Capo, l’atmosfera inquietante della grande riunione allo stadio, il
bacio tra Jonas e Fiona, sono da post-it ma non da antologia. La monotonia del
contesto distopico contagia talvolta lo spettatore. L’uso del desaturato e il
progressivo riaffiorare del colore sono soluzioni già viste in altri film,
anche se qui si indossano alla vicenda con discreta eleganza. Jonas vince ma
non convince. Gli effetti speciali nell’ inseguimento finale fanno deragliare
la compattezza della storia, così come vi è caduta di stile quando si
infiltrano flash-back delle vicende di Tien-an-men, della primavera araba e di
Nelson Mandela. Anche l’uso della voce fuori campo non sempre si rivela
necessaria. Ad eccezione dei Premi Oscar Meryl e Jeff, alcuni attori stentano
poi a dare corpo ai loro personaggi. Girato interamente negli studi di Cape
Town e nelle location sudafricane, The Giver è un film che si può vedere,
dunque, alla fine dell’estate, in attesa dell’ arrivo della cavalleria
cinematografica autunnale.
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