di Luca Cardarelli
L'estate, si sa, non è
stagione per uscite cinematografiche di spessore, salvo rarissime eccezioni. I
pochi film che vengono proposti, spesso lasciano il tempo che trovano. Ci
eravamo illusi che Mai così vicini (And so it goes il
titolo originale) del buon vecchio Rob Reiner (regista di perle assolute come Stand by me- Ricordo di un'estate e Harry ti presento Sally,
solo per citarne alcuni) potesse interrompere questo incantesimo che rende
oltremodo lunghe e cariche di attesa per l'autunno le estati cinematografiche.
Invece, come vedremo, anche questo film non si discosta di molto dal trend
negativo del cinema sotto il solleone.
Oren Little (Michael
Douglas) è un agente immobiliare col pelo sullo stomaco, cinico e insensibile
in procinto di andare in pensione previa vendita della casa in cui ha vissuto
con la moglie e il figlio Luke (Scott Shepherd), la prima ora defunta e l'altro
sparito chissà dove e alle prese con problemi di droga. Oren vive in un
complesso di villette a schiera che egli stesso amministra e ha come vicina
Leah (Diane Keaton), con cui non ha un bel rapporto. La vita dei due cambia
quando il figlio di Oren spunta fuori dal nulla con una ragazzina di dieci anni, Sarah (Sterling Jerins), avuta da un rapporto fugace con un'altra sbandata di
cui il nonno non era affatto al corrente. Il motivo della visita? Luke vuole
affidare la figlia al nonno prima di iniziare un periodo di 10 mesi di
detenzione per un crimine (non) commesso.
Dopo un'accoglienza
che definire fredda sarebbe oltremodo riduttivo, la piccola riesce a far
breccia nel cuore del nonno facendo sì che questi si avvicini a Leah, vedova
con la passione per il canto che da una parte non si dà pace per la morte del
marito, ma dall’altra vorrebbe riuscire a staccarsi dal passato per iniziare un
capitolo nuovo della propria vita.
Le premesse per un
buon film vi erano tutte, la più grande era, ovviamente quella data dal cast
tecnico e artistico, con due stelle luminosissime come Diane Keaton e Michael
Douglas, entrambi premi Oscar, diretti da un regista che non ha bisogno di
presentazioni. Ma la storia che ci viene raccontata scade molto facilmente
nella banalità e nella prevedibilità, nonchè nel déjà vu. Un uomo, una donna,
una bambina, l'amoreodio/odioamore, e vissero tutti felici e contenti. Nessun
colpo di scena, dialoghi privi di verve che per far ridere (in una commedia di
solito un po' si deve ridere, o per lo meno sorridere!) hanno bisogno di facili
allusioni sessuali. E così via, per tutto il film.
Un film, Mai
così vicini, che rischia di creare un mare di polemiche con una scena di
pochissimi secondi in cui Oren, deciso a liberarsi della nipotina, una volta
rintracciata la madre di questa, le porta la piccola. Ma, una volta appurate le
condizioni allucinanti in cui versano sia la madre che il quartiere in cui la
donna vive, gliela ristrappa dalle braccia e decide di tenersi la nipotina, e
tanti saluti. Chi scrive, come probabilmente chi gli era accanto durante la
proiezione, dopo la visione di tale crudeltà visiva, ha provato il desiderio di
alzarsi e lasciare la sala. E quello che fa ancora più male è l’indifferenza
della bambina nonostante la consapevolezza che quella persona che l’ha
abbracciata, anche se consumata visibilmente dagli effetti dell'eroina, sia sua
mamma: non si pone nessuna domanda né rimane assolutamente colpita dalla
situazione, un bel sorriso e la vita continua spensierata come se nulla fosse
successo.
Una scena la cui
crudeltà è inversamente proporzionale alla sua durata. Una scena che non può
che avere un unico effetto su tutto il film, ovvero renderlo inguardabile e
immettere nello spettatore l'irrefrenabile desiderio di dimenticarsi di averlo
visto.
Nelle sale dal 10
luglio.
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