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mercoledì 29 aprile 2015

“I 7 nani” – mix di fiabe per bambini

di Silvia Sottile

Dal 30 aprile tornano al cinema I 7 nani  in un nuovo film di animazione pensato per le famiglie e destinato soprattutto ai più piccoli. Si tratta di una fantastica avventura nel mondo delle fiabe. Ad essere precisi è più una rivisitazione che mescola varie fiabe classiche (come va adesso molto di moda) partendo principalmente da Biancaneve e i 7 nani e La bella addormentata nel bosco.

L’idea di una trasposizione animata dei 7 nani è del produttore Douglas Welbat che li aveva già portati sugli schermi tedeschi con due commedie in live action: 7 Zwerge – Männer Allein Im Wald(2004) e 7 Zwerge – Der Wald Ist Nicht Genug(2006). Si tratta dunque di un progetto totalmente tedesco, la regia è stata affidata all’attore Boris Aljinovic e all’ideatore di personaggi d’animazione Harald Siepermann (Mulan, Tarzan, Come d’incanto) che purtroppo è venuto a mancare nel 2013 e non ha potuto vedere l’opera ultimata.

Chi sono allora i protagonisti di questa avventura? Non  i classici nani che ben conosciamo,  ma i nuovi Cremolo, Nuvolo, Splendolo, Rambolo, Sveltolo, Muscolo e il piccolo Bobo. È proprio Bobo, il più giovane e sbadato dei sette nani, a dare il via alla storia pungendo per sbaglio la principessa Rose (anche conosciuta come “La bella addormentata”). Si avvera così il maleficio della strega Perfidia da cui Rose si era dovuta difendere fin dall’infanzia. La principessa piomba nel sonno e con lei si addormenta tutto il regno di Fantabulosa. Solo il bacio del vero amore potrà salvare Rose ma il suo innamorato (Jack, sguattero delle cucine di corte) è tenuto prigioniero dal drago Barny, al servizio di Perfidia. Ha così inizio l’avventuroso e rocambolesco viaggio dei sette nani verso il castello della strega nell’eroico e coraggioso tentativo di liberare Jack e riportarlo dalla sua amata. Naturalmente ci saranno tanti ostacoli, disavventure, aiuti inaspettati e soprattutto divertenti incontri con simpatici personaggi.

Lo spunto di partenza è davvero carino ma va sottolineato che rimane un prodotto per bambini nonostante il tentativo di inserire alcune gag moderne per il pubblico adulto che stridono e risultano un po’ forzate come ad esempio Biancaneve in minigonna o Cappuccetto Rosso in versione giornalista infastidita dal lupo. Più azzeccati invece i tritoni che fanno musica rap e mettono il loro video su una sorta di youtube e la scena della preparazione dei nani alla battaglia che richiama platealmente lo stesso momento de Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate.

La trama è prevedibile e i personaggi sono piuttosto stereotipati con caratteri poco sviluppati. Fanno eccezione il piccolo e tenero Bobo combina guai, davvero adorabile, tanto coraggioso  quanto goffo, che non sa ancora allacciarsi le scarpe, e Barny, il nano ballerino, stufo di servire la strega e con una irrefrenabile passione per il tip-tap (del resto sono loro due i protagonisti principali). Onestamente ci aspettavamo qualcosa di più in quanto ad originalità ma l’improbabile quanto affettuosa amicizia tra il nanetto Bobo e il drago Barny che porterà al commovente e necessario lieto fine piacerà tanto ai bambini, specialmente ai più piccoli. 

I colori sgargianti, le musiche di Daniel Welbat  (figlio del produttore) e le canzoni dal ritmo pop che accompagnano questa simpatica avventura mettono di buon umore. Per lo spettacolare numero di ballo di Barny, gli animatori si sono ispirati addirittura a Fred Astaire mentre per le fattezze di Perfidia, la strega dei ghiacci, hanno pensato alla rockstar Nina Hagen, che ha anche dato la voce in originale al personaggio.

I 7 nani  ha riscosso un grande successo di pubblico in Germania. Piacerà anche alle famiglie italiane? Di sicuro i bambini adoreranno il piccolo Bobo.


lunedì 27 aprile 2015

I Nirvana tornano a vivere in "Cobain: Montage of Heck"

di MsLillaRoma

Dopo il kitsch ed il rock melodico degli anni ottanta, arrivano gli anni novanta ed il Grunge, rivisitazione del Puck Rock anni settanta con look trasandato da barbone. Massimi esponenti della scena musicale: i Nirvana, i Peal Jam, gli Alice in Chains ed i Soundgarden. Luogo: Seattle, USA. Un grande valore musicale e spesso anche vocale (Eddie Vedder, Chris Cornell, ecc) sposa una lirica diretta ed intima fino alla violenza. Tra le band ed i musicisti, i Nirvana e il loro leader Kurt Cobain spiccano e ne diventeranno il simbolo. Ad oggi, dichiarare di essere fan dei Nirvana fa status, quelli contro, quelli profondi ecc. L’ispiratore di questa tendenza forse non ne sarebbe stato felice però: lui era davvero contro le tendenze, e con violenza! 

Affetto da patologie psichiatriche mai curate e da tossicodipendenza, Kurt Cobain ci ha lasciato il 5 Aprile del 1994, un mese dopo l’ultimo concerto dei Nirvana a Roma dove peraltro tentò il suicidio con “67 pillole di Rohypnol” (dice la moglie, Courtney Love, musicista). 

Sin dai primi albori dei Nirvana, Kurt Cobain appare un leader magnetico, adolescenza turbolenta e solitaria, tendenze distruttive, abuso di droga, eroina. È un anti-eroe che non ama la fama, rifiuta le etichettature con rabbia e non si asservisce alle logiche di "band famosa" sebbene sposi Courtney Love finendo invischiato nel gossip. I due soffrono enormemente la rappresentazione mediatica della loro vita, tentano di sfuggire alla confusione e al disordine affettivo nel matrimonio ed hanno una bambina, Frances Bean Cobain, produttrice di questo documentario. 

Brett Morgen, regista di Cobain: Montage of Heck unisce filmini di famiglia, l’enorme documentazione esistente sui Nirvana ed alcune registrazioni originali di Cobain e soci. Il materiale girato a casa è molto interessante: non siamo al livello dei selfies e della moda attuale di riprendere/fotografare tutto e tutti, ma Kurt e Courtney ci si avvicinano molto… incluse le scene intime. In questo film, conosciamo Kurt figlio, Kurt marito e padre, Kurt sofferente, amorevole, malinconico ma sempre assente, con la mente perennemente altrove.

L’evoluzione artistica e psicologica è quasi interamente lasciata ai disegni ed al sonoro delle registrazioni inedite dello stesso Cobain, il quale esprimeva se stesso in vari modi, musica, parole, disegni, graffiti e, più raramente, veri e propri quadri. Le animazioni in stili diversi sono, in questo, molto efficaci e ricostruiscono buchi nella storia di Kurt alternati alle interviste a familiari ed amici. La storia dell’uomo è percorsa quasi giorno per giorno, dettagliatamente, quasi eccessivamente (i certificati di nascita erano necessari?). Tutto ciò allunga la parte iniziale rendendola noiosa ma quando il film parte veramente diventa emozionante. Inseguiamo un personaggio, un artista con mille volti e mille misteri. Fragile e tanto amato dagli estranei quanto poco accudito dai chi gli stava vicino.

Montage of Heck è un gioiellino per gli amanti dell’arte visiva e della musica (non solo Nirvana) con il brano inedito dei Nirvana “Rainforest”. Sebbene sia incentrato su Kurt come individuo piuttosto che sulla sua arte, il film emoziona e racconta un po’ di storia, gli anni novanta, dove la rabbia veniva espressa a voce alta e non via tweets o sms… che nostalgia!

Nelle nostre sale il 28 e 29 aprile.


mercoledì 22 aprile 2015

"Le frise ignoranti": uno spot on the road per la Puglia

di Silvia Sottile

Le Frise Ignoranti, scritto e diretto da Antonello De Leo e Pietro Loprieno, è un road-movie tra Puglia e Basilicata, probabilmente sulla scia di Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo (senza però poter avere le stesse aspirazioni) e forte anche del supporto che la Regione Puglia sta dando negli ultimi anni al cinema italiano. Il titolo (che è anche il nome della band protagonista del film) omaggia il tipico pane pugliese, le “frise” appunto, e ovviamente il noto e impegnato film di successo di Ferzan Özpetek: Le fate ignoranti.

La trama è abbastanza semplice. Luca (William Volpicella) è infelicemente sposato con Caterina (Eva Riccobono). Per fortuna può contare sui suoi amici: Franchino (Nicola Nocella), Nicola (Davide Donatiello) e Willy (Giorgio Gallo) con cui suona nello sgangherato gruppo Le Frise ignoranti. Durante la tournée (decisamente di serie B, organizzata dal manager Salvatore/Dario Bandiera) Luca viene a sapere che suo padre Mimmo (Francesco Pannofino), scapestrato e inaffidabile, ha un tumore all’ultimo stadio ed è sparito nel nulla, facendo temere che voglia suicidarsi. A questo punto Luca (con l’aiuto dei suoi amici) molla tutto e si mette alla sua ricerca percorrendo la Puglia in lungo e in largo, incontrando quelli che l'hanno visto negli ultimi giorni con la speranza di ritrovarlo prima che sia troppo tardi. 
Seguendo i vari indizi, in questa strampalata avventura, i quattro ragazzi si imbattono in personaggi quanto meno bizzarri e decisamente comici: la psicologa motivazionale Pizzuto (Federica Cifola), insicura e fuori di testa, la tatuatrice Maggie (Rosanna Sparapano) e soprattutto il Cavalier Lanotte, uno sfegatato neoborbonico che ricostruisce le battaglie rinascimentali a modo suo, interpretato da Lino Banfi. Poteva mai mancare l’attore pugliese per eccellenza? Il viaggio servirà ai protagonisti anche a riflettere sulla loro vita e a maturare, in una sorta di picaresco percorso di formazione. Nel nutrito cast anche Rosanna Banfi e Federica Sarno.

Protagonista assoluta è la Puglia, con i suoi colori, i suoi paesaggi, il mare, le bellezze artistiche e architettoniche e il cibo: durante il film viene davvero fame, con una voglia incredibile di gustare tutte le  prelibatezze della tradizione pugliese che vengono mostrate. Senza dubbio l’aspetto di promozione del territorio gioca un ruolo importante, specie dal punto di vista turistico.

Lo spunto di partenza potrebbe anche essere interessante ma non basta: si tratta di un film divertente, scanzonato, goliardico, con bei paesaggi, belle musiche, splendidi colori vivaci (quasi da fumetto) che però pecca parecchio nella sceneggiatura, esile e poco sviluppata. Sì, c’è verve comica (anche se a tratti un po’ volgare) ma nell’insieme risulta troppo dispersivo, disomogeneo e sembra non decollare mai del tutto. Gli sketch, anche se slegati, sono comunque molto divertenti: il cameo di Lino Banfi, nei panni del neoborbonico Cavalier Lanotte, dai tempi comici perfetti, fa ridere di gusto e da solo vale la visione.


Le Frise Ignoranti sarà nelle nostre sale dal 23 aprile, in 100 copie con un occhio di riguardo al Sud. Promette un intrattenimento leggero, senza troppe pretese.

martedì 21 aprile 2015

“Avengers: Age of Ultron” - Vendicatori senza padroni

di Luca Cardarelli

Dopo aver digerito lo Shawarma ingurgitato di gusto, dopo aver messo a ferro e fuoco il mondo in Marvel's The Avengers e dopo lo scioglimento dello S.H.I.E.L.D. avvenuto in seguito allo scontro tra Captain America e Winter Soldier, i nostri Vendicatori si trovano cani sciolti a combattere contro l'Apocalisse che, in questo caso, è impersonata da Ultron (un programma informatico creato da Tony Stark con lo scopo di portare la pace perenne nel mondo) e un esercito di robot da esso dipendente. 
La creatura di Stark, prendendo coscienza della propria potenza, degenera: da semplice sistema operativo si evolve in personaggio d'acciaio e bulloni ed escogita un contro-piano di pace che prevede l'estinzione dell'intero genere umano. 

La Marvel sforna il suo ennesimo Kolossal supereroistico (nel 2015 usciranno inoltre il nuovissimo Ant-Man e un nuovo reboot de I Fantastici 4) di cui si chiacchiera dal 2012, anno che ha visto sbancare ai botteghini di tutto il mondo il primo capitolo della Saga dei The Avengers con Iron Man/Robert Downey Jr (protagonista assoluto di altri tre film), Thor/Chris Hemsworth, Captain America/Chris Evans e Hulk/Mark Ruffalo (due film a testa per ognuno e, per quanto riguarda il Dio del Tuono e il primo Vendicatore, almeno un altro in fase di realizzazione), Black Widow/Scarlet Johansson e Occhio di Falco/Jeremy Renner, supervisionati da Nick Fury/Samuel L. Jackson. Squadra che vince non si cambia e quindi Joss Whedon torna a dirigerli dopo il primo episodio. 

Questo capitolo, girato in parte in Italia, per la precisione a Bard in Val d'Aosta, dove è presente un maestoso forte medievale protagonista di numerose scene, è un concentrato di azione adrenalinica mista a momenti di riflessione da parte dei protagonisti. Si parte subito a mille all'ora con un inseguimento alla Fast & Furious che Whedon usa magistralmente per introdurre i personaggi con un sapiente mix di ralenty (mai abusato) e acrobazie mozzafiato. La prima mezz'ora tiene incollati alla poltrona, ed assistiamo anche all'introduzione di due "nuovi" personaggi: Quicksilver/Aaron Taylor-Johnson e Witch Scarlett/Elisabeth Olsen, alias Pietro e Wanda Maximoff, entrambi mutanti presi in prestito dall'altrettanto applaudita saga Marvel degli X-MenDopodiché il ritmo sembra fermarsi di colpo (effettivamente 141 minuti con lo stesso elevatissimo andamento sarebbero stati eccessivi): Whedon vuole dare una parvenza di umanità ai tre personaggi forse più controversi della squadra dei Vendicatori e così scopriamo che Occhio Di Falco è un bravissimo e premurosissimo Padre di famiglia, con tanto di moglie e bambini, e che Hulk e Vedova nera vivono un rapporto ai limiti tra estrema amicizia e amore, in cui l'eroe verde riesce a controllare la sua rabbia solo in presenza della bellissima Natasha Romanoff. 
Ecco, forse qui Whedon esagerà un pochino nei convenevoli e nelle scene melodrammatiche con dialoghi a volte stucchevoli che, francamente, rischiano di annoiare. Anche perché il Cattivo, Ultron/James Spader, sta nel frattempo imperversando minacciando l'esistenza dell'intero genere umano. C'è bisogno degli Avengers, il mondo chiede il loro aiuto. Ed eccoli finalmente, massici e inc...avolati (altrimenti poi chi lo sente l'integerrimo Steve Rogers???) scendere in campo con i nuovi due membri più un terzo, ovvero Visione (Paul Bettany), la versione buona di Ultron nonché suo figlio secondo la "legenda" dei personaggi Marvel. 

La guerra è innanzitutto una guerra fatta di Virus e controvirus informatici (Stark qui l'ha veramente combinata grossa, mettendo a repentaglio il mondo col suo piano di pace). Chi avrà la meglio? Beh, è una domanda retorica. Ma, essendo questo un episodio di transizione (già si conosce il titolo e la data di uscita del terzo, diviso in due parti come si conviene oggi per una Trilogia), non bisogna mai dare le cose per scontate.

La parte finale di The Avengers - Age of Ultron va come un missile (come quella iniziale) ed assistiamo ad una battaglia ancora più infuocata ed adrenalinica di quella del primo film, caratterizzata da incredibili sequenze che faranno gridare "WOW" e che non hanno nulla da invidiare quanto ad esplosività ad un film di Michael Bay. Il divertimento abbraccerà lo spettatore anche grazie alle numerose gag disseminate lungo la pellicola, alcune delle quali veramente esilaranti, e non lo lascerà più fino alla fine, in cui però forse Whedon esagera col voler commuovere lo spettatore e nell'anticipare un telefonatissimo colpo di scena nei capitoli successivi con protagonista... Non ve lo diciamo! Guardate il film armati di popcorn e relative bevande gassate e godetevi lo spettacolo!
Nota dolente (ormai abbastanza ricorrente): la visione del film in 3D si rivela alquanto inutile, seppur non fastidiosa. 


The Avengers - Age of Ultron sarà nelle sale dal 22 aprile.

domenica 19 aprile 2015

“BLACK SEA”: claustrofobico thriller sottomarino

di Silvia Sottile

È uscito il 16 aprile nelle nostre sale Black Sea, il thriller claustrofobico del regista premio Oscar Kevin MacDonald (Un giorno a settembre, L’ultimo re di Scozia). Un intenso Jude Law è il protagonista di questa adrenalinica avventura mozzafiato e senza esclusione di colpi a bordo di un sommergibile nelle gelide e profonde acque del Mar Nero alla ricerca dell’oro dei nazisti.

Il Capitano di sommergibili Robinson è un uomo che ha perso tutto: un divorzio difficile alle spalle, un figlio con cui non ha nessun rapporto e un licenziamento improvviso da parte della società di recupero relitti per cui ha lavorato una vita intera. Decide allora di riscattarsi con una straordinaria impresa senza precedenti: recuperare il carico d’oro che giace sul fondo del Mar Nero custodito dentro un sommergibile tedesco affondato nel 1941. Si tratta di un’impresa disperata, quasi suicida, dove in gioco c’è persino la vita. Robinson trova un finanziatore, Lewis (Tobias Menzies), e assolda in gran segreto un ristretto numero di uomini (inglesi e russi) promettendo di dividere l’oro in parti uguali. Man mano che il sottomarino scende in profondità e si avvicina al tesoro, anche l’anima di ogni singolo membro dell’equipaggio va a fondo in un crescendo di rivalsa, egoismo e soprattutto avidità che prende il sopravvento spegnendo le luci della ragione in un gioco al massacro alla fine del quale potrà restarne soltanto uno.

Un carico d’oro da recuperare, un equipaggio pericoloso, ancor più della missione stessa già rischiosa di suo, l’incomunicabilità tra inglesi e russi, un collegamento con la seconda guerra mondiale, il mistero degli abissi marini, la paura di morire: ci sono tutti gli elementi classici dei film d’avventura ambientati in un sottomarino, perfetti per costruire un buon prodotto del genere, ricco di azione. Macdonald è abile a mixare sapientemente tutti questi elementi, in fin dei conti non particolarmente innovativi se non addirittura scontati, sommando anche l’aspetto prettamente psicologico. Riesce così ad ottenere un thriller lento e adrenalinico al tempo stesso, carico di tensione (sempre presente) che tiene col fiato sospeso fino all’ultimo istante. Riuscirà qualcuno (e chi) ad uscire vivo dal sottomarino? Indubbiamente la tragedia del Kursk (affondato nel 2000 con oltre 100 uomini intrappolati a bordo) ha giocato un ruolo importante nella genesi del film. Su un’altra cosa il regista ha pienamente colto nel segno, probabilmente grazie alla sua esperienza con i documentari da cui deriva una grande attenzione ai dettagli: buona parte del film è stata girata all’interno di un vero sommergibile russo (il Black Widow, di proprietà di un collezionista inglese) e il resto su una fedele ricostruzione in studio. Gli spazi stretti aumentano esponenzialmente l’effetto claustrofobico che voleva evidenziare, riuscendoci perfettamente. Anche l’illuminazione è ridotta al minimo, l’oscurità proviene dall’esterno (ovvero dal paesaggio sottomarino che per certi versi somiglia molto allo spazio dei film di fantascienza) ma anche dall’interno, sia del sommergibile (quasi privo di luci) che degli uomini:  il buio come una metafora dell’animo umano.

E poi c’è lui, Jude Law, straordinario protagonista assoluto, bravissimo nel ruolo del carismatico Capitano Robinson, un anti-eroe, concentrato più sul tesoro come rivalsa personale (vediamo anche dei flashback con la moglie e il figlio) che sulle diatribe tra i suoi uomini, ossessionato dall’oro salvo poi dimostrarsi capace di atti eroici. Un ruolo intenso, interpretato magistralmente, che gli consente ancora una volta di mostrare il suo talento e di reggere gran parte del film sulle sue spalle. È affiancato da comprimari all’altezza: tutto il cast di contorno è stato scelto con cura e si mostra di alto livello, sia tra gli “inglesi” (tra cui spiccano l’australiano Ben Mendelsohn che interpreta il folle sommozzatore Fraser, l’americano Scoot Mcnairy nei panni dell’avvocato Daniels e il giovane Bobby Schofield/Tobin) che tra i “russi” (davvero russi, tra i migliori attori del loro paese, su tutti Konstantin Khabenskiy nel ruolo dell’interprete Blackie e Grigoriy Dobrygin ovvero Morozov).


Black sea, un concentrato di tensione e adrenalina, riesce a tenere desta l’attenzione per tutte le due ore della sua durata, regalando un piacevole intrattenimento agli amanti del genere. È sicuramente un bel film, realizzato anche bene, ma non va tralasciato un dettaglio: lascia addosso un senso di angoscia e claustrofobia nello spettatore. Alla fine della visione si sente un forte bisogno di spazio, luce e soprattutto aria. E se fosse una cosa voluta? Noi lo mettiamo in conto.

giovedì 9 aprile 2015

"Humandroid" ovvero il robot con il cuore di Blomkamp

di Emanuela Andreocci

Esce oggi nelle sale italiane Humandroid, il terzo film di Neill Blomkamp che, dopo District 9 ed Elysium, offre allo spettatore un altro nuovo mondo ed una nuova visione di esso approdando in una futuristica, sebbene quasi contemporanea, Johannesburg, la sua città. La capitale economica del Sudafrica, tormentata da criminalità estrema, ha trovato la sua salvezza negli Scouts, i poliziotti robot affidabili, precisi ed integerrimi prodotti dalla Tetra Vaal con a capo Michelle Bradley, una Sigourney Weaver che lega a doppia presa il film con Alien (Blomkamp dirigerà, infatti, la prossima pellicola della saga).

All'interno della società troviamo due scienziati agli antipodi: Deon Wilson (Dev Patel), convinto di riuscire a donare ai droidi un'anima in modo da renderli senzienti e indipendenti dal controllo umano, e Vincent Moore (un inedito e cattivo Hugh Jackman) che farebbe di tutto per ostacolare un progresso così potenzialmente pericoloso per l'umanità ma soprattutto per la sua carriera.

Ovviamente Deon riesce nel suo progetto, ma nel momento in cui il suo esperimento Chappie (effettuato su un droide fallato e destinato alla mortalità) viene rapito dalla banda formata da NINJA e ¥O-LANDI VI$$ER (due dei tre membri di un conosciuto gruppo rap locale), le cose si complicano: Chappie non può essere utilizzato per estorsioni o rapine, non può far male alla gente, al limite la può solo far addormentare. Ma Chappie è come un piccolo cucciolo, un bambino facile preda della psicologia inversa; ci vuole poco a fargli credere che con i soldi di un eventuale colpo potrà avere un corpo nuovo con una batteria sostituibile al posto di quella fallata donatagli dal suo creatore, che quindi passa ai suoi occhi come il cattivo di turno.


Con l'aspetto di un Robocop meno palestrato con le fattezze e la voce di Sharlto Copley ("prestate" tramite motion capture) e l'animo di un Baymax, Chappie ispira profonda simpatia e affetto: decisamente divertenti risultano gli allenamenti e i successivi risultati che fanno del droide un vero e proprio gangster, con tanto di tatuaggi, collane e andamento molleggiato, tenerissimo risulta il rapporto che si instaura con la ragazza (che comincerà a chiamare "Mamy") e con gli altri membri del gruppo, che a loro modo dimostreranno affetto nei suoi confronti finchè anche lo strampalato boss non diventerà "Papy".

Chappie (queesto è il titolo originale) è sicuramente un'opera particolare, uno sci-fi che talvolta cede il passo ai più moderni videogame e che in altri casi si concede il sapore di una lacrima e di un po' di sano sentimentalismo, una pellicola che porta in scena un dilemma che, se pur trito e ritrito, non risulta mai banale: potranno un giorno le macchine sostituire gli uomini? Saranno esse in grado di pensare e di provare sentimenti? Blomkamp si diverte a mettere tutto questo ed altro in un potpourri di personaggi ed eventi che non portano da nessuna parte ed allo stesso tempo portano dovunque, strizzando l'occhio allo spettatore che troverà il modo di divertirsi e di riflettere sul significato di umanità e di coscienza. 

Un film che può piacere o no, in alcuni casi, forse, addirittura annoiare (soprattutto nella prima parte della pellicola), ma che sicuramente rimarrà nel cuore. Ed il merito, per chi scrive, è tutto da attribuire nella caratterizzazione dei personaggi e nei legami che si instaurano tra loro. In questo il regista africano ha veramente fatto centro. Ed anche se fosse l'unico, è certamente un buon motivo per vedere un film che compie il suo dovere: intrattenere.   



martedì 7 aprile 2015

“Se Dio vuole” – divertente commedia all’italiana con Giallini & Gassmann in grande spolvero

di Silvia Sottile
Se Dio vuole è il film d’esordio alla regia per Edoardo Falcone,
che ne firma anche la sceneggiatura (insieme a Marco Martani). Un esordio vincente a nostro avviso.

Tommaso (Marco Giallini) è uno stimato cardiochirurgo sicuro di sé, sposato con Carla (Laura Morante), un tempo affascinante e “pasionaria”, oggi sfiorita come gli ideali in cui credeva. La coppia – che vive in un meraviglioso attico con vista su Castel Sant’Angelo – ha due figli: Bianca (Ilaria Spada) è una trentenne senza interessi  né idee né occupazione – una simpatica mentecatta – sposata con Gianni (Edoardo Pesce), un agente immobiliare definito “il pusillanime” dal suocero; Andrea (Enrico Oetiker) è invece un ragazzo brillante, iscritto a medicina per seguire le orme del padre, con suo grande orgoglio. 
Però ultimamente Andrea sembra cambiato. Tommaso pensa che il figlio sia gay e naturalmente questo per lui non sarebbe un problema, ma il giorno del “coming out” riserva una sorpresa: Andrea rivela alla famiglia che vuole diventare sacerdote! 
Tommaso, ateo convinto, non riesce ad accettare questa realtà, un figlio prete proprio non lo vuole e decide di agire in qualche modo: finge di appoggiarlo ma lo segue ed assiste allo show di Don Pietro (Alessandro Gassmann), un prete “sui generis”, moderno e coinvolgente. Si convince che sia lui il nemico da battere, colui che ha fatto il lavaggio del cervello ad Andrea: dunque a Tommaso non resta che avvicinare Don Pietro e screditarlo agli occhi del figlio… ovviamente le cose non vanno mai come ci si aspetta e questo piano strampalato dà il la ad una serie di eventi che cambiano la vita di tutti.
Se Dio vuole si rivela una piacevole commedia all’italiana che diverte, fa ridere di gusto ma fa anche riflettere e commuovere. Difatti affronta con leggerezza e delicatezza temi importanti senza mai essere volgare né banale. Il film si regge molto sull’ottima sceneggiatura, curata fin nei dettagli, che scorre in maniera fluida e coerente senza cadere nei soliti cliché. Da evidenziare la perfezione dei dialoghi con i giusti tempi comici (cosa davvero non facile da mantenere per novanta minuti, eppure qui ci si riesce per tutta la durata del film). 
Senza dubbio la bravura degli attori riveste un’importanza fondamentale: tutti ci regalano delle interpretazioni impeccabili e soprattutto si rivela vincente la scelta di Marco Giallini e Alessandro Gassmann come protagonisti principali, di nuovo insieme dopo Tutta colpa di Freud. L’affiatamento tra i due salta subito all’occhio e non sorprende, data la professionalità di entrambi. È forse nata una nuova coppia della commedia italiana? Fa molto piacere vedere Gassmann recitare in romanesco e sganciarsi dal ruolo di sbruffone arrogante che ha spesso interpretato di recente. Il suo Don Pietro è un sacerdote che più che predicare, agisce, aiuta e fa del bene in maniera concreta. Giallini si mantiene saldo e credibile durante tutto il percorso del suo personaggio che smussa alcuni aspetti  del suo carattere. La Morante (non avevamo dubbi) e Ilaria Spada (piacevole sorpresa) danno prova del loro talento.
Meritano di essere segnalate anche le musiche di Carlo Virzì che ben si adattano alle varie scene e allo svolgersi della trama. Sembrerà strano, ma il finale con le canzoni di Francesco De Gregori e Gigi D’Alessio, nonostante il particolare abbinamento, non stona affatto.

Un’opera prima è generalmente un punto interrogativo. Falcone - promosso a pieni voti - ci dimostra ancora una volta che una bella commedia, scritta, diretta e interpretata bene è sempre godibile. Ci auguriamo che continui così. Se Dio vuole, nelle nostre sale dal 9 Aprile, è davvero un buon prodotto del cinema italiano. Consigliato.

mercoledì 1 aprile 2015

“LA SCELTA” di Michele Placido non convince

di Silvia Sottile

Il regista Michele Placido non ha evidentemente un buon rapporto con Pirandello, almeno per quel che riguarda la sua trasposizione sul grande schermo. Difatti è la seconda volta che si ispira allo scrittore siciliano e nella precedente occasione (Ovunque sei) venne fischiato al Festival del Cinema di Venezia. Questa volta Placido prende spunto dalla commedia drammatica L’innesto scritta da Luigi Pirandello nel 1919. In effetti non è nelle sue corde neanche il genere drammatico/sentimentale: il tono del film appare eccessivamente pesante senza però andare nella profondità del dramma.

Laura (Ambra Angiolini) e Giorgio (Raoul Bova) sono una coppia all’apparenza normale e felice, lui gestisce un’enoteca, lei insegna canto ai bambini. Sono molto innamorati e desiderano tanto avere un figlio che però non arriva. Un giorno Laura subisce violenza e poco dopo scopre di essere incinta. Lei vuole a tutti i costi tenere il suo bambino, anche se potrebbe essere dello stupratore. Il marito non riesce inizialmente ad accettare questa decisione, sentendosi ferito. Riuscirà il loro amore ad affrontare e superare un evento così traumatico ed una scelta di tale portata?

Da quel momento il film scorre solo sulla psicologia di Laura e Giorgio e si sviluppa sull’evoluzione del loro pensiero nell’affrontare il dramma e la conseguente scelta d’amore, senza però renderli credibili e senza dare allo spettatore emozioni, empatia e neanche possibilità di comprensione. Si ha addirittura l’impressione di trovarsi di fronte ad atteggiamenti contraddittori e surreali. I protagonisti vorrebbero essere intensi ma si ritrovano spaesati, in un girare intorno senza senso con pochi dialoghi e parole campate in aria. Si vede che Bova e la Angiolini ci hanno messo davvero molto impegno, ma non basta: risultano comunque fuori luogo, non tanto per l’ interpretazione quanto per il contesto. Demerito da non imputare dunque esclusivamente a loro ma all’impostazione registica, alla sceneggiatura e anche al montaggio: tutto stona. 
Non aiutano i personaggi di contorno, quasi inesistenti, a volte slegati dalla trama e con loro storie già di per sé molto particolari. Francesca (Valeria Solarino) è la sorella di Laura, convive alla luce del sole con due uomini, in un vero e proprio ménage a trois: il marito (nonché padre delle sue due bambine) e l’amante.  Poi c’è il maresciallo dei carabinieri che trova Laura dopo la violenza e la riaccompagna a casa, interpretato dallo stesso Michele Placido. 

Senza dubbio la scelta del regista di portare al cinema L’innesto di Pirandello, che all’epoca fece molto scalpore, si rivela coraggiosa, come a voler dire che le dinamiche in fondo non sono poi molto cambiate e purtroppo molti casi di cronaca nera che leggiamo sui giornali lo dimostrano. Ma si tratta di una scelta anche molto anacronistica a nostro avviso. Non convince soprattutto la decisione di ambientarlo ai giorni nostri senza però assolutamente contestualizzarlo: stride difatti l’atteggiamento molto antico con la nostra mentalità moderna. Perché non attualizzare tutto il testo oppure realizzare un film in costume ambientato un secolo fa? Anche l’aspetto fin troppo teatrale non si sposa bene con il grande schermo,  facendo a tratti sembrare finta la storia.


Cosa salvare de La scelta (al cinema dal 2 Aprile)? Forse le musiche di Luca D’Alberto che - sebbene un po’ martellanti - accompagnano le emozioni dei due protagonisti meglio di tutto il resto.