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mercoledì 29 gennaio 2014

"Dallas Buyers Club": l'accettazione dell'impossibile

di Emanuela Andreocci

Si ha sempre una sorta di timore reverenziale nell'accostarsi ad un film pluricandidato all'Oscar, timore che cresce se è tratto da una storia vera che affronta il tema estremamente delicato ed importante dell'AIDS.
Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée, in arrivo nelle nostre sale il 30 gennaio, è una pellicola importante che merita e non delude le più positive aspettative. Si è parlato abbondantemente dei 20 kg persi dal protagonista Matthew McConaughey, ma non è questo l'argomento su cui focalizzare l'attenzione: la sua magistrale interpretazione va giudicata a prescindere dall'enorme calo di peso (tra l'altro non è stato certamente il primo a trasformarsi così tanto per un ruolo, basti pensare a Christian Bale per L'uomo senza sonno). Quello che sorprende fin dalle prime inquadrature è infatti la performance di un attore che, scrollatosi di dosso il pesante bagaglio della facile commediola a cui spesso viene associato, sta vivendo una nuova rinascita. Periodo assolutamente fortunato, infatti, per il bravo texano: un cameo assolutamente riuscito in The Wolf of Wall Street di Scorsese, una serie tv targata HBO che sembra promettere molto bene come True Detective, attualmente in onda, ed infine il cowboy Ron Woodroof in Dallas Buyers Club che gli è valso già il Golden Globe per il miglior protagonista in un film drammatico e che lo rende uno dei favoriti nella corsa all'Oscar.
Il film di Vallée racconta la drammatica ma determinata lotta di un uomo contro il tempo: Ron è un elettricista di professione, cowboy da rodeo per passione e allibratore all'occasione, un uomo duro, tutto d'un pezzo, rigido e assolutamente omofobo. Ci troviamo nell'estate del 1985, l'anno del "caso Rock Hudson": il tabù dell'omosessualità è radicato e l'AIDS è una piaga profonda della società soggetta a discorsi da osteria fatti di ignoranza, superficialità e qualunquismi. Da questo punto di vista Ron Woodroof è perfettamente integrato nel mondo in cui vive, condivide lo stesso pensiero della gente che frequenta finchè non scopre di essere malato di AIDS e di avere solo 30 giorni a sua disposizione. 
L'iniziale rabbia e non accettazione (in fondo lui non è come Rock Hudson, perchè dovrebbe avere la sua malattia?), lasciano pian piano spazio alla presa di coscienza e alla ricerca: Woodroof sperimenta l'evoluzione per disperazione, inizia a guardare il mondo con occhi diversi, più stanchi e affaticati certamente, ma al contempo più attenti e vigili. 
Complice il giovane transessuale Rayon (il candidato all'Oscar Jared Leto che delizia con un'intepretazione difficile, dolce, toccante e misurata già premiata col Golden Globe), in cui Woodroof sorprendentemente trova un improbabile amico e compagno di avventure e sventure (anch'egli infatti è malato), e sotto lo sguardo che "vede e non vede" della dottoressa Eve Saks (Jennifer Garner), il protagonista intraprende un percorso fatto di studio e di viaggi, prima oltre il confine, poi intercontinentali, un percorso di disintossicazione per la sopravvivenza e di lotta contro chi specula sulla malattia delle persone per vendere farmaci e trarne profitto. La sua lotta contro l'AIDS e contro l'azidotimidina, contro le cure per pochi e contro un sistema che invece cura solo il proprio tornaconto, lo portano ad essere una sorta di fuori legge, un trafficante che importa da altri paesi medicinali che sembrano funzionare ma che nel suo non sono approvati ed infine un imprenditore, fondatore del Dallas Buyers Club in cui chiunque, pagando la propria quota mensile, può ricevere le cure che gli servono. 
I cambi di registro sono sapientemente dosati ed equilibrati (lacrime e sorrisi si alternano magnificamente), le interpretazioni di McConaughey e Jared Leto mai eccessive ed assolutamente convincenti, la regia essenziale ma presente ed attenta: Dallas Buyers Club è un film che ti rimane nel cuore e che ti tocca nel profondo, come un lungo sibilo che di tanto in tanto fa capolino e grida "Attento!".

giovedì 23 gennaio 2014

"Tutta colpa di Freud": lo sapevate che la malattia più diffusa al mondo è l'amore?

di Emanuela Andreocci

Dopo esser approdato in libreria ad inizio anno, Tutta colpa di Freud, primo romanzo di Paolo Genovese, arriva anche al cinema dal 23 gennaio. Il regista di Immaturi racconta amori che sono familiari non solo perchè sperimentati da tutti, ma anche perchè vissuti, in forme e modi diversi, dai componenti di una stessa famiglia. 
Marta (Vittoria Puccini) è una libraia sognatrice e romantica che si innamora di un affascinante ladro di libri sordomuto e scontroso (interpretato da Vinicio Marchioni); Sara (Anna Foglietta) dopo esser stata lasciata dall'ennesima ragazza, decide di lasciare New York e di provare a diventare eterosessuale; Emma (Laura Adriani), la più piccola, deve sostenere ancora l'esame di maturità ma ha una storia con Alessandro (Gassmann), cinquantenne e per di più sposato. Ad una prima occhiata sembrano tre casi disperati, ma ce n'è un altro ben peggiore: quello di Francesco, loro psicoterapeuta di fiducia, nonché loro padre (Marco Giallini). Il povero malcapitato si trova costretto a fare gli straordinari ascoltando i problemi delle figlie che, sebbene tutti diversi, hanno come denominatore comune l'amore. Inoltre anche lui soffre di cuore: passati ben diciassette anni dall'abbandono della moglie, sembra aver finalmente trovato la donna giusta nel misterioso personaggio di Claudia Gerini, che però osserva solo da lontano, di nascosto. Quando finalmente riuscirà a conoscerla, capirà che forse tanto giusta non è...
Il film di Genovese esplora con freschezza i rapporti di coppia e di famiglia ed i problemi che possono insorgere quando si mischia troppo il lavoro con la vita personale. L'elenco di commedie sull'amore è infinito, così come il tentativo di delineare dei vademecum che possano essere utili in determinate circostanze, eppure l'idea di partenza è molto buona ed interessante. La pellicola scorre in maniera piacevole e si apprezzano in particolare le performance di Giallini, Gassmann (il loro incontro è esilarante) e di Anna Foglietta, eppure l'idea che si ha all'uscita dalla sala è di incompiutezza: sembra che manchi qualcosa o, forse, che ci sia troppo. L'idea di accumulare i problemi delle figlie e di riversarli sul padre è molto originale ed era sicuramente necessario puntare su qualcosa che, come avviene nel film, andasse oltre la normalità della vita (serviva, insomma, un insieme esagerato di casi estremi), ma si avverte l'esigenza di un maggiore approfondimento: non basta sapere un po' di tutto sui vari personaggi, bisogna conoscerli. Mettendo troppa carne al fuoco si perde nell'introspezione, cosa che una commedia come questa, non mirata alla risata facile ma ad una visione più riflessiva, deve invece tutelare. Si poteva, ad esempio, delineare meglio il personaggio di Marchioni, in grado comunque di regalare al pubblico momenti tendenti alla commozione con un'interpretazione breve ma toccante. 
Per quanto riguarda invece la colonna sonora, assolutamente mirata e indovinata è la canzone Tutta colpa di Freud, scritta e interpretata da Daniele Silvestri, che si pone come ottimo, giusto e necessario completamento delle immagini.
Dispiace veramente: bastava aggiungere poco per avere quel qualcosa in più che, invece, manca e mostra con forza la sua assenza. 

mercoledì 22 gennaio 2014

"The Wolf of Wall Street": Scorsese e Di Caprio esagerano e (si ) divertono

di Emanuela Andreocci

Eccessivo, smisurato, provocatorio, oltraggioso: accezioni che, se utilizzate per delineare velocemente The Wolf of Wall Street, il nuovo film di Martin Scorsese nelle nostre sale dal 23 gennaio, non risultano che blandi eufemismi. Ma forse è proprio quest'aspetto che coinvolge e convince fin dalle prime inquadrature dove un Leonardo Di Caprio, vincitore già del Golden Globe per la sua interpretazione e in sentore di Oscar, si rivolge direttamente al pubblico e lo trascina in un mondo che dichiaratamente non comprenderà fino in fondo.  
Basato sulla storia vera di Jordan Belfort, il film racconta la velocissima ascesa di un nuovo, promettente broker, il suo perdurare sulla cresta dell'onda ed infine il declino della sua carriera, il tutto senza mai entrare effettivamente dentro Wall Street (a differenza, per esempio, del film di Oliver Stone e del suo citato Gordon Gekko), ma minacciandola dal piccolo magazzino da cui parte tutto.
Jordan Belfort è un istrione, un portentoso imbonitore capace di vendere la qualunque col suo sorriso smagliante e la voce rassicurante, e deve tutto sì al suo innato talento per la frode, ma anche al fulmineo ma indimenticabile insegnamento del suo primo datore di lavoro cui Matthew Matthew McCounaghey dà vita in uno strepitoso cameo. Non sono, in fondo, molte le cose che serve ricordarsi: è chi vende che deve arricchirsi (non importa cosa succede ai compratori), il tempo è denaro e non si possono sostenere certi ritmi senza droghe e sesso (consigliatissimo, a tal proposito, l'autoerotismo). Il personaggio di Di Caprio, inizialmente tra il turbato ed il divertito di fronte a tali rivelazioni, in men che non si dica le fa sue e, perso il primo lavoro, si rimbocca le maniche e ricomincia a vendere: parte dal nulla per arrivare ad avere più di tutto.
Le sue telefonate sono vere e proprie performance e lezioni magistrali, le conversazioni (comprese quelle con il socio interpretato da Jonah Hill, candidato all'Oscar come miglior attore non protagonista) completamente surreali, lo stile di vita indescrivibile. Non si cerca un approfondimento psicologico, non si delinea un'evoluzione (o involuzione) dei rapporti tale da far entrare lo spettatore in empatia col protagonista ma semplicemente lo si esibisce: Scorsese passa dalla fascinazione della magia del cinema mostrata in Hugo Cabret alla fascinazione del potere e delle sue conseguenze. Non racconta, dunque, ma mostra, mette in vetrina tutto quello di cui un personaggio magnetico come Belfort è capace, senza mezzi termini o mezze misure. Tutto è eccessivo: l'enfasi nel lavoro (sua, dei soci e dei sottoposti), le feste, l'uso di droghe ed il sesso, spesso, ovviamente, combinati tra loro senza risparmiare nulla all'immaginazione. 
Eppure lo spettatore non si infastidisce, anzi: sa che dietro la macchina da presa c'è Scorsese, che tutte le scene quindi, compresi i nudi ostentati, ripetuti e mostrati in ogni dove, non sono lì per caso e che tutto ha un senso nella visione di un regista che ha regalato momenti di splendore al cinema moderno e contemporaneo. E allora si ride: per le battute, in primis, ma anche per gli avvenimenti, per le espressioni dei vari personaggi, per l'ironia che comunque trapela durante questa continua e incessante epifania che, in fin dei conti, ha come protagonista un geniale Braccio di Ferro che utilizza la droga al posto degli spinaci.
Un'unica pecca, purtroppo non trascurabile, il film però la presenta: nonostante la bravura dei protagonisti e le ottime scelte registiche, tre ore sono decisamente troppe e tutto lo smalto ed il mordente mantenuto nelle prime due alla lunga, inevitabilmente, si perde, trascinando lo spettatore difronte a diversi ipotetici finali senza apparentemente giungere mai a quello risolutivo.

martedì 21 gennaio 2014

"La gente che sta bene": la commedia si fa gradualmente dramma

di Carlo Anderlini

Dall’ultimo romanzo di Federico Baccomo (già autore nel 2009 di Studio illegale da cui venne tratto il film con Fabio Volo) esce nelle sale il 30 gennaio La gente che sta bene per la regia di Francesco Patierno.
Il film racconta le vicende di Umberto Dorloni (Claudio Bisio), avvocato d’affari di successo in un prestigioso studio internazionale, il quale, cialtrone sul lavoro e assente a casa, cavalca spavaldamente la sua carriera senza apparenti ostacoli, ignorando sia la crisi economica (che «in città si misura dallo stato di salute dei piccioni»), sia le vistose problematiche che incombono sulla moglie Carla (una inascoltata, ma misurata e solida Margherita Buy che su richiesta del marito ha lasciato il lavoro per intraprendere «la carriera genitoriale») e sui figli ( «Se si fanno in tarda età, come si fa a sgridarli?»).
Il successo e i soldi («Ci si realizza quando ti pagano») sono l’unico target possibile del nostro protagonista, lavoro e famiglia come unicum aziendale. 
Umberto ha sempre la battuta pronta, spesso fuori luogo, possiede energia e sfrontatezza, ascolta e accudisce solo se stesso, lavora la domenica pomeriggio, è simpatico e trascinante, ma sa essere anche subdolo, imbroglione, viscido, furbastro e cinico. Il regista lo affida al giudizio dello spettatore senza rete di protezione, sul filo della satira sociale più pungente. 
La storica commedia all’italiana – dove lo spettatore accetta di parlare dei propri difetti ma solo a patto che se ne rida – è assente, non c’è posto per essa  - nella visione dello scrittore prima e del regista poi – in questa Italia schiacciata dalla crisi, dove gli avvocati si ritrovano camerieri e dove si può restare a galla  – come nel recente film di Virzì  - solo attraverso amoralità e bassezze di ogni genere.
Anche Alberto è vittima della crisi che travolge uomini e mercati, e la sua intoccabilità viene spazzata via all’improvviso da un inaspettato licenziamento (tocca a lui ora sentirsi dire «Vedila come un’opportunità»). Ed è da qui che l’egocentrismo del personaggio e la sua ferrea volontà di farcela riveleranno i suoi lati più oscuri e scorretti. Tra i lupi della foresta, però, vi è un altro capobranco (l’ avvocato Azzesi, un poderoso Diego Abatantuono), al tempo stesso mastino e sciacallo, che sa leggere i labiali e che gioca altrettanto sporco.... Nel dipanarsi della vicenda (che vede sempre più coinvolta la moglie di Azzesi (Jennipher Rodriguez, venezuelana dalla «sensualità andalusa»), Umberto giocherà tutte le sue carte più meschine, perdendo inevitabilmente pezzi della sua vita e, interamente, se stesso. Solo quando il suo specchio umano gli restituirà l’immagine di ciò che è divenuto, la sua scelta sarà dirompente, liberatoria e definitiva.                      Girato tra Roma, Milano e Berlino, sostenuto giustamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali in quanto riconosciuto di interesse culturale, La gente che sta bene esplora efficacemente la quotidianità di una umanità sbruffona e carrieristica che attraverso simpatiche bastardate e inconfessabili viltà si procura soldi e successo, ma anche autolesionismi e fragilità, autoiniettandosi inevitabilmente il virus di una disperazione da cui, per chi ne è consapevole, potrà nascere un nuovo e più equilibrato stile di vita.
Patierno conduce il dipanarsi della vicenda con taglio sereno, non critico, limitandosi ad osservare senza sentenziare; lo spettatore si affianca a Umberto e se ne distacca, non è mai neutrale: la simpatia del protagonista non viene accettata supinamente, ma viene percepita come passepartout per manipolare le altrui coscienze. Si ride anche, ma in tono misurato. Quello che il regista ci consegna è un Umberto iperattivo ma non macchiettistico, detestabile senza esserne cosciente («l’aborto è una decisione implementata»), tenero infine nel suo disorientamento.
L’ impianto narrativo, sorretto da una sceneggiatura frizzante ma mai eccitata, è apprezzabilmente realistico. Il dipanarsi della vicenda è ben strutturato, le situazioni e i personaggi appaiono credibili: la vita altalenante come un indice di borsa, il predatore che diviene preda, la caduta vista come generatrice di un’altra vita possibile. In passaggi che appaiono ben messi a fuoco, la commedia si fa gradualmente dramma. 
Il coinvolgimento dello spettatore è evidente, merito del regista, delle musiche adeguate e degli attori, piccoli grandi colossi italiani che sorreggono con bravura e visceralità l’impalcatura filmica. Perfetto il cameo finale di Carlo Buccirosso.
In questo notevole equilibrio narrativo e situazionistico e nella bravura degli interpreti c’è dunque il pregio del film che, senza aspirare a diventare un’icona della filmografia contemporanea, appare in linea con le aspettative di chi rifugge da banalità e gratuita sciatteria.

domenica 19 gennaio 2014

"Khumba - Cercasi strisce disperatamente": quante strisce ci vogliono per fare una zebra?

di Luca Cardarelli

Khumba è una zebra nata con le strisce solo su metà del proprio corpo. Il branco, intimi a parte, accoglie questa sua peculiarità molto negativamente: obnubilato dalla superstizione, lo addita prima come causa della potente siccità che colpisce il gran deserto del Karoo dove vivono, poi della morte della madre.
Con l’aiuto di una mappa disegnatagli da una mantide e la speranza di ottenere le tanto agognate strisce mancanti,  Khumba decide allora di mettersi in viaggio alla ricerca della fonte miracolosa di cui gli aveva parlato la mamma prima di morire. Durante il percorso, fisico e di crescita, troverà due fidi compagni: Mama V, un grosso gnu materno, e Bradley, uno stravagante struzzo. I tre si imbatteranno in Phango, un leopardo feroce alla caccia proprio di Khumba...
Diretto dal sudafricano Anthony Silverston, già sceneggiatore e produttore di Zambezia (2012) per la casa di produzione Triggerfish, Khumba – Cercasi strisce disperatamente dipinge, in una CGI di livello abbastanza alto per un film indipendente, l’emarginazione del "diverso” e la conseguente ricerca dell’accettazione da parte della comunità di appartenenza in una storia che ricorda, con le dovute differenze, quella di Dumbo della Disney.
Khumba e Phango, protagonista e antagonista, hanno in comune proprio l’umiliazione dell’emarginazione dal gruppo: il primo per l’assenza delle strisce su metà del corpo, il secondo per la sua cecità parziale. Entrambi sono alla ricerca dell’affermazione personale e dell’accettazione da parte di terzi. Khumba capirà durante il viaggio che non è importante tanto il parere degli altri, quanto il fatto di accettarsi così come si è (esisteva realmente una specie di zebra ormai estinta, il Quagga, che presentava strisce solo su metà del corpo).
Bisogna sottolineare come ai registi sudafricani questi temi stiano particolarmente a cuore. Pensiamo a Neil Blomkamp, per esempio, e ai suoi District 9 ed Elysium: entrambi i film, infatti, si basano su storie di divisione sociale o etnica.
Silverston si rivolge al pubblico dei più giovani con l’intento di evidenziare come la diversità, in questo caso solo fisica, non sia un valido motivo per escludere qualcuno dal gruppo: ciò che può essere visto come una menomazione può invece rappresentare semplicemente una peculiarità o addirittura una preziosa caratteristica di cui andare fieri.
Oltre all’intento morale, il regista ha diretto Khumba col dichiarato scopo di far conoscere ed apprezzare le meraviglie che si celano dietro un paesaggio apparentemente arido ed inospitale come quello del Gran Deserto del Karoo: molti degli “anfratti” che si scorgono durante il viaggio di Khumba sono riproduzioni fedelissime della realtà. Ne viene fuori un bellissimo quadro che presenta, inoltre, una moltitudine di personaggi: il cane selvatico Skalk, la mantide che segue Khumba come se fosse il suo angelo custode (reminiscenze del collodiano Grillo Parlante), lo gnu materno Mama V e lo struzzo Bradley (personaggi assimilabili al mammut Manny e al bradipo Sid de L’era glaciale).
Risultano inoltre molto apprezzabili altri numerosi personaggi che danno vita a gag strapparisate:  il branco di antilopi “rugbyste”, la famiglia di suricati (talmente abituati ai turisti dei safari da mettersi addirittura in posa per le foto di rito!), il coniglio di fiume ribelle, la tribù di iraci delle rocce che venera una oscura aquila nera e la pecora pazza con un elmetto da ariete formano una collezione faunistica molto accurata nei dettagli, divertente e ben caratterizzata.
Tra i fattori che rendono molto piacevole la visione di Khumba troviamo certamente la colonna sonora, che alterna musiche tradizionali africane a pezzi moderni tendenti al country, ed il cast scelto per il doppiaggio originale: Liam Neeson ha prestato la propria voce a Phango, l’ex Iena Steve Buscemi al cane selvatico Skalk (un caso?) e Laurence Fishbourne (il Morpheus della trilogia di Matrix) al papà di Khumba, Seko.
Se dobbiamo proprio trovare un difetto, il cattivo è forse messo un po’ troppo in disparte: comparendo relativamente poco durante tutto il film, non crea la suspance che un leopardo in caccia dovrebbe suscitare ed anche il combattimento in chiusura finisce per risultare leggermente sbrigativo e poco emozionante.
Ci sentiamo di promuovere questo film d’animazione sia per quanto riguarda la grafica (più matura rispetto ai classici film sul genere di Madagascar), sia per la sceneggiatura che per i nobili intenti educativi.
Al cinema dal 6 febbraio.

lunedì 13 gennaio 2014

Golden Globe Awards 2014: vincitori e nominati per le serie tv

di Emanuela Andreocci

Dopo gli innumerevoli Emmy vinti (con una media di due l'anno), la 71esima edizione dei Golden Globe Awards non stupisce nell'assegnare il premio per la Migliore Serie Drama a Breaking Bad, terminata con la quinta ed ultima stagione nel 2013. Stupisce invece la scelta della Migliore Serie Comedy o Musical a Brooklyn Nine-Nine di Fox, nata da poco ma già sulle vette della tv americana. Ai rispettivi protagonisti, Brian Cranston e Andy Samberg, è stato assegnato il Golden Miglior Attore nelle due diverse categorie.
Prosegue il successo anche di Dietro i candelabri e del suo protagonista Michael Douglas.

Di seguito l'elenco dei vincitori (in grassetto) e delle nomination per ogni categoria.

MIGLIOR SERIE DRAMA
Breaking Bad
Downton Abbey
House of Cards
Masters of Sex
The Good Wife

MIGLIOR SERIE COMEDY O MUSICAL
Brooklyn Nine-Nine
Girls
Modern Family
Parks and Recreation
The Big Bang Theory

MIGLIOR ATTORE IN UNA SERIE DRAMA
Brian Cranston in Breaking Bad
Liev Schreiber in Ray Donovan
Michael Sheen in Masters of Sex
Kevin Spacey in House of Cards
James Spader in The blacklist

MIGLIOR ATTRICE IN UNA SERIE DRAMA
Robin Wright in House of Cards
Julianna Margulies in The Good Wife
Tatiana Maslany in Orphan Black
Taylor Schilling in Orange is the new black
Kerry Washington in Scandal

MIGLIOR ATTORE IN UNA SERIE COMEDY O MUSICAL
Andy Samberg in Brooklyn Nine-Nine
Jason Bateman in Arrested Development
Don Cheadle in House of Lies
Michael J. Fox in The Michael J. Fox Show 
Jim Parsons in The Big Bang Theory

MIGLIOR ATTRICE IN UNA SERIE COMEDY O MUSICAL
Amy Poehler in Parks and Recreation
Zooey Deschanel in New Girl
Lena Dunham in Girls
Edie Falco in Nurse Jackie
Julia Louis-Dreyfuss in Veep

MIGLIOR MINISERIE O FILM TV
Dietro i candelabri
American Horror Story: coven
Dancing on the Edge
The White Queen
Top of the Lake

MIGLIOR ATTORE IN UNA MINISERIE O FILM TV
Micharl Douglas in Dietro i candelabri
Matt Demon in Dietro i candelabri
Chiwetel Ejiofor in Dancing on the Edge
Idris Elba in Luther
Al Pacino in Phil Spector

MIGLIOR ATTRICE IN UNA MINISERIE O FILM TV
Elisabeth Moss in Top of the lake
Helena Bonham Carter in Burton & Taylor
Rebecca Ferguson in The White Queen
Jessica Lange in American Horror Story: Coven
Helen Mirren in Phil Spector

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA IN UNA SERIE, MINISERIE O FILM TV
Jon Woight in Ray Donovan
Josh Charles in The good wife
Rob Lowe in Dietro i candelabri
Aaron Paul in Breaking Bad
Corey Stoll in House of Cards

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA IN UNA SERIE, MINISERIE O FILM TV
Jacqueline Bisset in Dancing on the edge
Janet McTeer in The white queen
Hayden Panattiere in Nashville
Monica Potter in Parenthood
Sofia Vergara in Modern Family

Golden Globe Awards 2014: vincitori e nominati per le categorie Cinema

di Emanuela Andreocci

Grande trionfo per American Hustle ai Golden Globes 2014. I membri della Hollywood Foreign Press Association hanno infatti assegnato tre premi alla pellicola diretta da David O. Russell: Miglior film commedia, Migliore attrice protagonista per Amy Adams e Miglior attrice non protagonista per Jennifer Lawrence. Il film è stato il più premiato dell’edizione 2014. Come prevedibile, 12 Years a Slave di Steve McQueen è stato riconosciuto Miglior film drammatico, mentre La grande bellezza del nostro Paolo Sorrentino ha trionfato come Miglior film straniero... e continua la strada verso gli Oscar! 

Di seguito l'elenco dei vincitori (in grassetto) e delle nomination per ogni categoria.

MIGLIOR FILM DRAMMATICO
12 Years a Slave
Captain Phillips 
Rush 
Philomena 

Gravity 

MIGLIOR FILM COMMEDIA O MUSICALE
American Hustle 
Inside Llewyn Davis
Nebraska
The Wolf of Wall Street 

Her

MIGLIOR REGISTA
Alfonso Cuaron con Gravity
Paul Greengrass con Captain Phillips 
Steve McQueen con 12 Years a Salve 
Alexander Payne con Nebraska 
David O. Russell con American Hustle 


MIGLIOR ATTORE IN UN FILM DRAMMATICO
Matthew McConaughey in Dallas Buyers Club
Chiwetel Ejiofor in 12 Years a Slave
Tom Hanks in Captain Phillips
Robert Redford in All is Lost
Idris Elba in Mandela: Long Walk to Freedom 


MIGLIOR ATTRICE IN UN FILM DRAMMATICO
Cate Blanchett in Blue Jasmine
Sandra Bullock in Gravity 
Judi Dench in Philomena 
Emma Thompson in Saving Mr Banks 
Kate Winslet in Labor Day


MIGLIOR ATTORE IN UN FILM COMMEDIA O MUSICALE
Leonardo Di Caprio in Wolf of Wall Street
Bruce Dern in Nebraska 
Oscar Isaac in Inside Llewyn Davis 
Joaquin Phoenix in Her 

Christian Bale in American Hustle

MIGLIOR ATTRICE IN UN FILM COMMEDIA O MUSICALE
Amy Adams in American Hustle
Julie Delpy in Before Midnight 
Greta Gerwig in Frances Ha 
Julia Louis-Dreyfus in Enough Said 
Meryl Streep in August: Osage County


MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Jared Leto in Dallas Buyers Club
Barkhad Abdi in Captain Phillips
Daniel Brühl in Rush
Bradley Cooper in American Hustle
Michael Fassbender in 12 Years a Slave


MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA
Jennifer Lawrence in American Hustle
Sally Hawkins in Blue Jasmine 
Lupita Nyong’o in 12 Years a Slave 
Julia Roberts in August: Osage Country 
June Squibb in Nebraska


MIGLIOR CANZONE ORIGINALE
"Ordinary Love" U2 (Mandela: The Long Walk to Freedom)
"Atlas" Coldplay (Hunger Games Catching Fire)
"Let It Go" Idina Menzel (Frozen - il regno di ghiaccio)
"Please Mr Kennedy" Justin Timberlake, Oscar Isaac, Adam Driver (Inside Llewyn Davis)
"Sweeter Than Fiction" Taylor Swift (One Chance)


MIGLIOR FILM IN LINGUA NON INGLESE
La grande bellezza
La vita di Adele
Jagten
Il passato 
The wind rises (Kaze Tachinu)

MIGLIOR SCENEGGIATURA
Her
Nebraska
Philomena
12 Years a Slave
American Hustle

MIGLIOR COLONNA SONORA ORIGINALE
All is lost
12 Years a Slave
The Book Thief
Gravity
Mandela: long walk to freedom

MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE
Frozen - il regno di ghiaccio
Cattivissimo me 2
I Croods

mercoledì 8 gennaio 2014

Con "Sapore di te" i Vanzina festeggiano i trent'anni da "Sapore di mare"


di Emanuela Andreocci

Sapore di mare, il film che lanciò definitivamente le carriere dei Vanzina, nell'immaginario collettivo del pubblico che ama questo tipo di commedia, è un cult del genere con vette difficili da riproporre. 
A distanza di trent'anni con Sapore di te, in uscita il 9 gennaio, i due fratelli portano sullo schermo quello che è un nostalgico omaggio al loro film più famoso riproponendone la struttura narrativa, vicende simili e l'inconfondibile ambientazione della Versilia che fa da sfondo alle storie e agli amori, ricambiati e non, dei protagonisti.
Il film girato negli anni '80 narrava gli anni '60 con un veloce tuffo finale nella contemporaneità, lo stesso succede oggi: si raccontano gli anni '80 (dunque quelli in cui eravamo rimasti) per poi concludere la storia trent'anni dopo e capire cosa è successo ai protagonisti. 
Tra le musiche di una colonna sonora fortemente d'immedesimazione e le spiagge che ben conosciamo si svolgono le vicende della famiglia Proietti (Nancy Brilli, Maurizio Mattioli e Katy Saunders), dei coniugi De Marco (Vincenzo Salemme e Valentina Sperlì), di Anna e Armando (Martina Stella e Giorgio Pasotti), di Luca e Chicco (Eugenio Franceschini e Matteo Leoni), della soubrette Susy Acampora (Serena Autieri) e del bagnino Renato (Paolo Conticini). Un cast dunque estremamente ricco per un trama che, in fin dei conti, è estremamente povera, fatta di amori e tradimenti, amicizie e bugie, qualche goliardia (decisamente minori per quantità e qualità rispetto a Sapore di mare) e tanto tanto già visto. 
Nonostante tutto, il film risulta lo stesso abbastanza piacevole, forse perché il mare e i balli alla Capannina mettono in qualche modo di buonumore riportando alla memoria tempi ormai passati, forse perché si coglie dell'autoironia (difficile dire se riuscita o meno) nel nominare più volte i vecchi film e le combriccole di Jerry Calà o forse semplicemente perché nel marasma del caos di relazioni di cui il film è costellato (lo sfortunato Chicco che non riesce a concludere con nessuna ragazza, Luca che invece, inarrestabile e irresistibile, non riesce a tenersene una, l'onorevole De Marco che è un impunito ma dichiarato farfallone e l'antiquario Armando che tenta con fatica di mettere la testa a posto) risplende la felicissima coppia romana formata dalla Brilli e Mattioli. I due sono gli unici protagonisti completamente positivi del film, puri e buoni: si vogliono bene e lo dimostrano, agiscono de core e de panza e regalano risate genuine che alzano decisamente la media, contrastando una velata quanto amara malinconia di fondo che sembra riproporsi ogni estate. Ci sono cose che non cambiano mai anche se, forse, dovrebbero.
 

domenica 5 gennaio 2014

"Il capitale umano" eccellente noir d'autore di Paolo Virzì


di Emanuela Andreocci

Il capitale umano: ovvero un invisibile codice a barre tatuato sulla pelle per determinare il valore economico di una vita. 
Il nuovo film di Paolo Virzì, libero adattamento del thriller di Stephen Amidon,  trasporta le vicende dall'originario Connecticut alla nostrana Brianza,  "un luogo esotico, ricco, misterioso e affascinante" come Virzì stesso ha affermato "non essendo mai andato, cinematograficamente parlando, oltre Pisa". Ambientato in una nebbiosa e scura provincia del nord Italia, la pellicola pone lo spettatore davanti ad un netto cambiamento del regista livornese che si sperimenta con successo in un noir corale di respiro internazionale, dalle tinte del thriller americano e del dramma francese, allontanandosi dallo schema della sempre dolce-amara e luminosa commedia d'autore all'italiana a cui ci aveva abituato. 
Un misterioso incidente alla vigilia delle feste natalizie, un colpevole da trovare e personaggi ingabbiati in una vita che, seppur ricca e agiata, viene condotta con superficialità all'insegna di una dubbia morale e dell'egoismo più meschino, il tutto condito da punti di vista differenti che scandiscono la narrazione e che dettano i capitoli in cui sono riportati gli stessi avvenimenti. 
La regia impeccabile scandaglia con impietosa attenzione gli animi umani delineando per ogni protagonista punti di forza e debolezze, gli incastri sono sostenuti con sapiente maestria grazie anche alla sceneggiatura scritta da Virzì insieme a Francesco Bruni e Francesco Piccolo. "A 50 anni abbiamo scoperto l'ellissi!" hanno scherzato in sede di conferenza stampa "E' il lavoro più impegnativo fatto finora: un divertente gioco di scomposizione non fine a se stesso. Nel nostro cinema è raro agire in modo non convenzionale".
Per sostenere un lavoro del genere, peso non facile da sopportare, era necessario un cast che già sulla carta fosse in grado di farlo e bene. "Il segreto è scegliere quelli bravi!" ha rivelato simpaticamente il regista che si è permesso il lusso di scritturare alcuni grandi attori per utilizzarli in ruoli non convenzionali in cui, comunque, sapeva sarebbero brillati. E così, in effetti, è stato: per quanto riguarda gli uomini, sconcertante l'interpretazione di Fabrizio Bentivoglio, agente immobiliare di professione e viscido di natura, con velleità di ascesa sociale che lo portano a fare molto più di quanto potrebbe e dovrebbe; fuori dagli schemi il ruolo di Fabrizio Gifuni, che si toglie i panni dell'uomo retto e integerrimo per vestire quelli di un protagonista torvo e meschino che vince scommettendo sulla rovina del proprio Paese; figura marginale ma calzante e complementare agli altri quella interpretata da Luigi Lo Cascio, un professorino colto ma disilluso, triste nel suo essere apparentemente positivo, imperturbabile e serio anche nel surreale amplesso al cospetto del maestro Carmelo Bene. Poi abbiamo le donne: Valeria Bruni Tedeschi che interpreta la moglie di Gifuni, un ex attrice sola e infelice, sexy ed ingenua allo stesso tempo, che cerca di rimettere in piedi la sua vita proprio come il teatro che prende in gestione, ed il personaggio di Valeria Golino, compagna per finzione di Bentivoglio, unica presenza realmente positiva nel film, ambasciatrice di un messaggio di ipotetica speranza. Accanto agli illustri veterani di cui abbiamo finora tessuto le lodi, compaiono anche i giovani e promettenti Guglielmo Pinelli, Giovanni Anzaldo (l'unico ad aver già recitato) e Matilde Gioli che, nei panni di Serena Ossola, rappresenta il trait d'union tra le due diverse famiglie e sperimenta sulla propria pelle le sofferenze e meschinità accumulate dagli adulti.    
Il capitale umano è un film amaro, ironico e spietato che invita a riflettere sulla vita e sul suo valore: ogni scelta, anche la più apparentemente banale, porta con sé una conseguenza con la quale bisogna fare i conti.
Dal 9 gennaio nei cinema.