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domenica 11 maggio 2014

"Pinuccio Lovero. Yes I can": di politica si può morire?

di Carlo Anderlini

Non se lo sarebbe mai aspettato, Pinuccio Lovero, custode del cimitero di Mariotto e poi di quello di Bitonto, di essere scovato nel 2007 dal regista Pippo Mezzapesa e divenire il protagonista del documentario Sogno di una morte di mezza estate che fu presentato con qualche successo al festival di Venezia e che proiettò per qualche tempo Pinuccio tra le braccia dei più noti anchormen televisivi. Quell’opera consegnò alla ribalta mediatica la quotidianità di un quarantenne che già da bambino conviveva tranquillamente con l’immagine della morte e sognava di divenire, da grande, “custode a livello cimiteriale”. Becchino, insomma.
Il filone dei film che esplorano le esistenze di oscuri anti-eroi della nostra epoca cattura da sempre l’attenzione dei cinefili più arditi con budget limitato, ed in quest’ultimo periodo tale fenomeno si è accentuato, testimoniato dal successo di critica, se non di pubblico, di opere pregevoli quali Sacro GRA e TIR. E quindi, ora che Pinuccio Lovero ha una compagna stabile con la quale fa seri progetti di vita, ha rinforzato il suo ego e ha tentato di fare, nel suo piccolo, il grande salto di farsi eleggere consigliere comunale presso il Comune di Bitonto, questa sua nuova avventura non poteva sfuggire al suo mentore, di nuovo Pippo Mezzapesa, che per un mese lo ha seguito nelle varie fasi della sua avventura elettorale, ricavandone “Yes I can”; un docu-fiction farsesco-paradossale di 70 minuti che è stato presentato e accolto con benevolenza da critica e pubblico al penultimo Festival del Cinema di Roma e che arriverà nelle sale il 15 maggio. 

Il programma elettorale di Pinuccio è tutto incentrato sui suoi interessi primari: cimitero più pulito, più loculi e ossari per tutti, nuove fontane per i fiori, panchine per gli anziani e bagni per i disabili; lo slogan “Pensa al tuo domani” condisce il tutto. Il regista pugliese (ZinanàCome a Cassano, L’Altra MetàIl Paese delle Spose Infelici) lo segue ovunque, nella sua sgangherata campagna elettorale per la SEL di Nichi Vendola. Di casa in casa, di parente in parente, il candidato si mostra amabile, genuino, sereno, si esprime con parole e gesti semplici (ha la terza media serale), e la sfida delle elezioni politiche ne esalta pregi e criticità. Vestito da becchino, Pinuccio fa propaganda e cerca voti attraverso contatti semplici con personaggi semplici, prima d’ora invisibili, in uno spaccato di minimale autenticità paesana, quasi una Macondo di marqueziana memoria. Si muove con vitalità ma con difficoltà e, tra meschinità di bottega e diffidenze dei compaesani, ci confida i suoi teneri desideri di paternità e le speranze di divenire attore (il cimitero è oramai la sua prigione). Durante la campagna elettorale, le votazioni e le post-elezioni, Mezzapesa cerca forse un po’ di svelare quale porzione del controverso Pinuccio c’è in noi, se i suoi sogni, i suoi trasformismi, i suoi crucci e i suoi fallimenti, pur nei diversi contesti, possono avere il DNA dell’universalità. Bitonto come l’Arizona, “terra di sogni e di chimere”. Cerca forse anche di smitizzare l’illusione della celebrità che è in noi tutti per ricondurla a consapevolezza di normalità; ci sarà tempo, per il nostro Pinuccio-Godot, per un altro sogno, perché “…il cuore è uno zingaro, e va”. Ma attraverso gli occhi del regista si vola basso soprattutto su un piccolo mondo antico, alla deriva, viscerale nella difesa dei suoi particolarismi, destinato inevitabilmente all’estinzione per eccesso di meschinità. Una testimonianza prima della sparizione, un voler dire “C’ero anch’io”, un appassionato inno d’affetto e di critica ad un mondo che forse già fu. 

Mezzapesa, che può per certi versi anche apparire indeciso nelle sue scelte e poco distaccato, sembra sussurrarci con dolcezza: osservate, non giudicate, magari, se potete, ricordate. Nel bene e nel male, egli registra attimi e pensieri, redige un documento di identità di uomini e luoghi dai ritmi leggeri e dilatati, pretendendo di consegnare un qualcosa alla memoria. Un piccolo diario attraverso gli occhi umidi e lo sguardo scanzonato di Pinuccio: metà uomo, metà maschera, multisfaccettato; da una parte, grottesca ed autentica animalità provinciale; dall’ altra, personaggio di Ionesco talvolta consapevole di essere in transito da se stesso. Il film-report è tutto qui, racchiuso tra le strette mura dei flash caratteriali e degli sguardi fuggenti:  è nell’impepata di cozze che la compagna di Pinuccio ha preparato, è nel portare in processione la statua di San Michele, è nei gesti scaramantici dei vicoli. Poco sembra importare, al regista, l’ approfondimento dei tanti personaggi o il tracciamento di un sentiero narrativo: egli testimonia e traghetta, con la sua musica bandistica funeraria, Pinuccio e l’intero paese all’impietoso funerale della politica, al fallimento del progetto di essere eletto, all’irreversibile estinzione di una cultura dal sapore malato. La clip finale di Nichi Vendola, seduto sui gradini a rincuorare Pinuccio, ha i ritmi lenti della campagna pugliese, dove “…prima viene la semina e poi il raccolto”. Ed infatti, contemporaneamente all’uscita nelle sale, la produzione lancerà un’impegnativa “Casa Lovero”, una giocosa web sit-com quotidiana, che continuerà a seguire il nostro, ormai consapevole, Truman bitontino nel suo quasi surreale ambiente. Forse lo vedremo anche partecipare al cast dell’ Isola dei famosi  e girare un film con Checco Zalone. 


Che dire allora? Pinuccio, yes, you can!

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